CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 gennaio 2020, n. 1863
Tributi – Processo tributario – Errore del giudice di primo grado – Violazione di norme di diritto – Riesame integrale in appello sia in rito che nel merito – Deducibilità dell’errore come mezzo di cassazione – Esclusione – Effetto sostitutivo del giudizio di appello
Rilevato che
Con ricorso tributario F. M. impugnava l’avviso di pagamento prot. A22327, per l’importo di euro 2.795.667,44, emesso nei suo confronti dalla Agenzia delle Dogane di Arezzo.
La pretesa fiscale traeva origine da indagini, anche penali, svolte sul territorio nazionale circa l’immissione in commercio di prodotti alcolici e birra in violazione della disciplina in materia di accisa.
L’Ufficio delle Dogane di Arezzo, ricevuta la segnalazione, avviava un controllo nei confronti della ditta F. M. individuando a seguito di controllo la quantità della merce sottratta al pagamento delle imposte ed attivando la procedura di recupero della accisa evasa e degli accessori.
Si costituiva in giudizio l’ufficio delle Dogane di Arezzo.
La Commissione tributaria di Arezzo con la sentenza n. 94/2016, respingeva il ricorso.
Tale sentenza era impugnata dal F., presso la Commissione Regionale di Firenze, la quale confermava la sentenza appellata.
Avverso la predetta sentenza proponeva ricorso presso la Suprema Corte il F. M. affidandosi ad un unico motivo così sintetizzabile:
i) violazione e falsa applicazione degli artt. 24 della Costituzione, art. 31 co. 1 e 2 D.Lvo n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione ed erronea applicazione degli artt. 2727, 2729 c.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..
Resisteva con controricorso l’agenzia delle Dogane e dei Monopoli, chiedendo il rigetto del ricorso e spiegando ricorso incidentale in ordine alle spese erroneamente non liquidate.
Considerato che
Il motivo è infondato. Per quello che qui interessa , il ricorrente si duole che il giudice di appello non abbia annullato la sentenza di primo grado, sebbene l’udienza di discussione era stata svolta in violazione del termine di trenta giorni o che avrebbe dovuto intercorrere tra la comunicazione della data di trattazione e l’udienza stessa ai sensi dell’art. 31 co. 1 del D.lvo n. 546/1992.
Costituisce principio di diritto pacifico, che, in genere per la sua ovvietà rimane sottinteso, anche se nel caso in esame pare che sia stato pretermesso dal ricorrente, secondo cui la sentenza di appello produce un effetto sostitutivo della pronuncia di primo grado e tenuto conto del principio secondo cui le nullità delle sentenze soggette ad appello si convertono in motivi di impugnazione, ne consegue che l’errore in cui sia incorso il giudice se commesso nel primo grado del giudizio, non potrà essere dedotto come mezzo di cassazione della sentenza di secondo grado quando sebbene abbia formato oggetto di motivo del gravame rivolto al giudice di appello, comunque nessuna lesione del diritto di difesa vi è stata visto che per l’effetto ampiamente devolutivo dei motivi proposti vi è stato un riesame completo del merito. Ai fini della denuncia con ricorso per cassazione della violazione di norme di diritto, possono essere considerate solo le statuizioni del giudice di appello. Nel caso concreto il giudizio di appello è consistito in un riesame integrale – tenuto conto dell’effetto pienamente devolutivo dei motivi di gravame proposti – di tutta la vicenda sostanziale e processuale, sia in rito che nel merito. La decisione del giudice di appello non è condizionata o limitata dall’attività del giudice di primo grado, ma si esercita direttamente e immediatamente su tutto l’oggetto della controversia, avendo il potere-dovere di valutare le prove raccolte e di esprimere il proprio convincimento in ordine ai fatti rilevanti per la decisione. In definitiva proprio perché, in applicazione del principio che i motivi di nullità si convertono in motivi di gravame, il giudice di secondo grado, investito di tale censura, non può limitarsi a dichiarare la nullità, ma deve decidere nel merito (Cass. 25 maggio 1992 n. 6243). E, dato l’effetto sostitutivo della sentenza di secondo grado (Cass.19 novembre 1983 n. 6899; 24 agosto 1981 n. 4982; 26 gennaio 1979 n. 601), non può essere denunciato in cassazione un vizio della sentenza di primo grado, quando la sentenza di appello ha riesaminato il merito, o comunque era necessario dedurre (e provare) che la mancata dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado aveva comportato una lesione nella valutazione dei fatti lesiva del suo diritto (circostanza non solo non provata ma neppure dedotta). L’interesse ad impugnare con il ricorso per cassazione discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole, quindi la parte non doveva solo denunziare l’errore processuale in cui era incorso il primo giudice ma anche il merito esaminato, dal secondo giudice, sostitutivo della sentenza di primo grado.
Per quanto riguarda l’appello incidentale proposto dalla Agenzia delle Dogane e Dei Monopoli, circa l’errore di diritto commesso nel non liquidare le spese processuali a seguito della soccombenza, appare fondato. Va rilevato che la sentenza di Cassazione indicata nella sentenza impugnata, e posta, quale precedente, a base del diniego di corrispondere le spese processuali all’Agenzia delle Dogane che si era costituita “autonomamente” con proprio funzionari senza assistenza tecnica, si riferisce a caso completamente diverso da quello in esame in quanto il principio era stato affermato nell’ambito di giudizio relativo ad opposizione a sanzioni amministrative. Del resto la disciplina del processo tributario prevede espressamente la liquidazione delle spese processuali a favore della Amministrazione, ai sensi dall’art. 15 d.lgs. n. 546/1992. Tale normativa consentendo alla amministrazione finanziaria di utilizzare propri funzionari per lo svolgimento effettivo di una assistenza tecnica, presuppone che gli stessi abbiano profuso la medesima attività intellettuale che avrebbe profuso il difensore tecnico.
L’obbligo posto dall’art. 15 suddetto, comma 2-bis quindi, rappresenta il rimborso del costo di detta attività, che il legislatore ha ritenuto opportuno far recuperare (in ipotesi di avversa soccombenza in giudizio) a causa della corrispondente sottrazione di attività lavorativa utilizzabile altrimenti in compiti interni d’ufficio, tenuto conto dell’identità di preparazione e di competenza professionale del funzionario rispetto al “difensore abilitato” di cui all’art. 12 cit..
Tale normativa ha peraltro agevolmente superato il giudizio di legittimità visto che la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione con l’ordinanza n. 292 del 4/10/2010.
Pertanto in accoglimento del ricorso incidentale, cassa sul punto la sentenza impugnata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, accoglie quello incidentale, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale che, in altra composizione, dovrà decidere la controversia uniformandosi ai superiori principi e regolare altresì le spese di ogni fase e grado.
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