CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 aprile 2022, n. 13646
Prestazioni previdenziali – Pensione per cecità parziale – Diritto all’indennità speciale per i ciechi parziali – Riconoscimento
Rilevato che
G.B., affetto da cecità parziale congenita, dava corso a pignoramento presso terzi, citando davanti al Tribunale di Reggio Calabria l’Inps, in esecuzione della sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria n. 1444 del 2010 che aveva riconosciuto in capo allo stesso il diritto alla pensione per cecità parziale a decorrere dal primo giorno successivo alla domanda amministrativa (1 agosto 1987), ma non anche il diritto all’indennità speciale per ì ciechi parziali (cd. ventesimisti) di cui all’art. 3 della l. n.508 del 1988, sostenendo che all’epoca (e fino al 1998) il ricorrente non ne avrebbe avuto diritto perché minorenne;
il Tribunale accoglieva l’opposizione all’esecuzione proposta dall’Inps e disponeva la liberazione delle somme pignorate;
G. B. proponeva gravame, deducendo che il riconoscimento del diritto alla pensione non poteva non prevedere altresì l’implicito riconoscimento del diritto all’indennità speciale per ciechi parziali, riconosciuta d’ufficio a chi fosse stato titolare di pensione alla data di entrata in vigore della legge;
la Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato G. B. non legittimato ad agire in executivis nei confronti dell’Inps per la somma di euro 10.930,96, pari al valore dell’indennità speciale rivendicata dall’interessato, rilevando che la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria n. 1444 del 2010 era passata in giudicato;
ha, infine, compensato le spese del doppio grado di opposizione;
la cassazione della sentenza è domandata da G.B. sulla base di quattro motivi, illustrati da successiva memoria;
l’Inps ha depositato tempestivo controricorso.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., parte ricorrente denuncia “Violazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 324 cpc, nonché dell’art. 3 della legge n. 508/88, in quanto, nel caso di specie, la sentenza passata in giudicato per la cui esecuzione ha agito il ricorrente, fa stato fra le parti, loro eredi ed aventi causa e copre il dedotto e il deducibile: in particolare il riconoscimento, a favore del ricorrente, della pensione per ciechi parziali dal 27 luglio 1987 comprende il riconoscimento dell’indennità speciale che è corrisposta, ai sensi del secondo comma dell’art. 3 della L. n. 508/88, d’ufficio ai beneficiari della pensione non reversibile di cui all’art. 14 septies del decreto-legge 30 dicembre 1979 n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33.”;
sostiene che in forza del giudicato di cui alla sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria n. 1444 del 2010 e dell’art. 3 della l. n. 508 del 1988, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto riconoscergli il diritto all’indennità speciale, dal momento che la domanda di attribuzione della pensione (dedotta) dovrebbe comportare l’estensione della forza di giudicato al deducibile, nel caso di specie rappresentato dal riconoscimento dell’indennità speciale spettantegli di diritto;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., contesta “Violazione dell’art. 111 della Costituzione, che prevede l’economicità di giudizio e un giusto processo contenuto in tempi ragionevoli, dell’art. 2 della Costituzione, che garantisce la solidarietà sociale nella sua accezione di correttezza e buona fede”;
lamenta il pregiudizio subito in ragione dell’irragionevole durata dei giudizi di cognizione ed esecutivo, causata da un’opposizione infondata perché diretta a negare il diritto al cieco parziale a vedersi corrisposta un’indennità (speciale) che la legge gli riconosce per il sol fatto di essere titolare di pensione;
col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.4 cod. proc. civ., deduce “Nullità della sentenza impugnata nella parte in cui statuisce per la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio per violazione degli artt. 91 e 92, comma 2 cpc”;
contesta la compensazione integrale delle spese per i due gradi di merito eccependo che, pur considerando la soccombenza reciproca, il giudice dell’appello avrebbe dovuto tener conto che il valore della causa in fase di esecuzione, era stato individuato in una somma superiore (euro 57.556,10) rispetto a quella inferiore (euro 10.930,96) a cui la sentenza ha fatto riferimento in concreto;
il quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., contesta “Illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui statuisce per la compensazione delle spese dei due gradi di giudizio, per violazione degli artt. 3, 36 e 111 della Costituzione, dell’art. 2907 cc, in quanto la compensazione delle spese non riconosce il lavoro della difesa del B. in proporzione della quantità e qualità dello stesso, e, comunque, non tutela il diritto richiesto dal B. in quanto, dovendo pagare per l’opera professionale si vede decurtato il proprio diritto in modo sproporzionato”;
il primo motivo è inammissibile;
esso manca di specificità, perché parte ricorrente non produce e non trascrive la sentenza n. 1444 del 2010, né trascrive o produce l’atto di riassunzione dell’opposizione all’esecuzione e l’atto di appello dai quali possa evincersi con precisione l’oggetto della domanda;
in ragione dei principi di specificazione e di allegazione di cui agli artt. 366 n. 4 e 369 n. 6 cod. proc. civ. in conformità a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, il ricorso per cassazione deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n.11603 del 2018; Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);
il secondo motivo è assorbito, in virtù dell’inammissibilità del primo;
il terzo e il quarto, da esaminarsi congiuntamente per logica connessione, sono infondati, atteso che nella motivazione della Corte territoriale non si ravvisa la violazione del principio generale di soccombenza, e che, sotto gli altri profili dedotti nelle censure, la decisione di merito è insindacabile in questa sede;
secondo il pacifico orientamento di legittimità, «In tema di spese processuali, la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito è sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, posto dall’art. 91 cod. proc. civ., di porre anche parzialmente le spese a carico della parte vittoriosa o nel caso di compensazione delle spese stesse fra le parti adottata con motivazione illogica o erronea, mentre in ogni altro caso e in particolare ove il giudice, pur se in assenza di qualsiasi motivazione, abbia compensato le spese o al contrario le abbia poste a carico del soccombente, anche disattendendone l’espressa sollecitazione a disporne la compensazione, la statuizione è insindacabile in sede di legittimità, stante l’assenza di un dovere del giudice di motivare il provvedimento adottato, senza che al riguardo siano configurabili dubbi di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 111 Cost.» (Cass. n. 17692 del 2003; Cass. n.2730 del 2012);
nel caso in esame, la statuizione di compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio di opposizione non viola le norme richiamate in epigrafe, né la motivazione di reciproca soccombenza può dirsi errata e/o illogica;
l’esito del giudizio di opposizione si è cristallizzato intorno alla statuizione di merito secondo cui l’odierno ricorrente ha un titolo valido per agire esecutivamente in relazione al valore della pensione ma non invece in relazione all’importo dell’indennità speciale per i ciechi cd. ventesimisti, alla quale ha, di fatto, rinunciato, non avendo chiesto l’accertamento del relativo diritto nell’atto di appello, ove ha chiesto genericamente il riconoscimento dell’indennità economica prevista dalla legislazione” (p. 6 sent.); la motivazione rimarca a tal fine l’autonomia delle due domande, con ciò legittimamente confutando la tesi dell’odierno ricorrente, la quale vorrebbe far discendere automaticamente la seconda dall’istanza di attribuzione della pensione;
in conclusione, la sentenza impugnata ha proceduto d’ufficio – legittimamente – ad un nuovo regolamento delle spese processuali dei due gradi del giudizio di opposizione, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, di parziale riforma della sentenza di primo grado, ripartendo gli oneri in ragione dell’esito complessivo della lite (Cass. n. 14916 del 2020);
in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 a titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della l. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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