CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 marzo 2019, n. 8857
Tributi – IVA – Acquisto di prodotti sottocosto – Fornitori aventi natura di società cartiere – Responsabilità solidale dell’acquirente per l’iva non versata dai fornitori
Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti della I. S. E. s.r.l., in liquidazione, per gli anni 2006 e 2007, quale coobbligata solidale ai sensi dell’art. 60 bis d.p.r. 633/1972 con le società E. s.r.l. e N. H. s.r.l., inserite in una frode “carosello”, per Iva non versata dalle due fornitrici, in relazione a prodotti venduti a prezzi inferiori a quelli di costo.
2. Proponeva ricorso la società per la violazione delle garanzie offerte dall’art. 12 legge 212/2000, per non avere l’Agenzia concluso le operazioni con la consegna di un processo verbale di constatazione ai sensi dell’art. 51 comma 2 n 2 d.p.r. 633/1972, emettendo, quindi, l’avviso di accertamento senza attendere il decorso del termine di sessanta giorni dall’ultimo verbale di contraddittorio. Inoltre, le merci oggetto di compravendita non erano ricomprese tra quelle indicate nell’elenco di cui all’art. 60 bis comma 1 d.p.r. 633/1972.
3. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso, omettendo di pronunciare sulle eccezioni sollevate.
4. Con l’appello la società reiterava le doglianze in ordine all’art. 12 comma 7 legge 212/2000 e sulla estraneità delle merci acquistate rispetto all’elenco di cui all’art. 60 bis comma 1 d.p.r. 633/1972, indicate con il D.M. 22-12-2005, in quanto i prodotti acquistati (“Silicon Wafer 8 WFR800-185KN-X” e “Semiconductor Astra ADC500A819”) non erano componenti di computer, ma semilavorati compresi in una ben determinata voce della tariffa doganale di cui al D.M. 22-12-2005.
5. La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello proposto dalla contribuente, rilevando che le due società venditrici acquistavano merci da operatori intracomunitari, in regime di sospensione Iva, rivendendole, comprensive di Iva, alle imprese italiane, tra cui la contribuente. L’iva non veniva versata dalle società cartiere consentiva la vendita dei prodotti sotto costo, con prezzo anche del 15 % inferiore a quello di acquisto.
6. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società.
7. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce “violazione dell’art. 112 c.p.c., e pertanto nullità della sentenza, per omessa pronuncia sulla domanda volta all’accertamento della nullità degli avvisi di accertamento per violazione dell’art. 12 comma 7 legge 212/2000, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.” in quanto la Commissione regionale, si è limitata a decidere nel merito il gravame, rigettandolo, senza pronunciare sulla questione preliminare relativa al mancato rispetto del termine di sessanta giorni prima dell’emissione dell’avviso di accertamento ai sensi dell’art. 12 comma 7 legge 212/2000. Infatti, secondo la ricorrente vi sono stati tre incontri con la redazione di processi verbali di contraddittorio nelle date 19-4-2011, 7-6-2011 e 21-6-2011, oltre ad un accesso breve il 3-9-2009, mentre l’avviso di accertamento è stato emesso il 28-7-2011. Se si volesse ritenere che il processo verbale di contraddittorio del 21-6-2011 costituisse anche un processo verbale di chiusura delle operazioni, l’Agenzia avrebbe dovuto rispettare il termine di sessanta giorni rispetto a tale momento. Il termine di sessanta giorni, peraltro, deve essere osservato anche per gli accertamenti “a tavolino”, quindi non preceduti da accesso presso i locali commerciali.
1.1. Tale motivo è infondato.
Invero, è chiaro che avendo la Commissione regionale rigettato per intero l’appello articolato dalla società, vi è stato il rigetto implicito anche delle doglianze relative alla violazione di norme procedimentali.
Pertanto, non non v’è stata omessa pronuncia, ma al più omessa motivazione della decisione, sicché, attenendo la doglianza a questione di puro diritto, può essere trattata dalla Corte in sede di legittimità (Cass., Sez.Un., 20 febbraio 2017, n. 2731).
Sul punto si rileva che è pacifico che l’avviso di accertamento da parte della Agenzia delle entrate è stato preceduto da un accesso istantaneo in data 3-9- 2009 e da tre incontri con la società, con invito a fornire documentazione, per i quali sono stati redatti distinti processi verbali di contraddittorio (il 19-4-2011, il 7-6-2011 ed il 21-6-2011), con emissione di avviso di accertamento il 28-7- 2011, quindi prima del decorso dei sessanta giorni dal 21-6-2011.
Pertanto, per questa Corte, il termine dilatorio di cui all’art. 12 comma 7 legge 212/2000 non opera nell’ipotesi di accertamento “a tavolino” (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27420).
Infatti, il termine di sessanta giorni tra il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo e l’emissione dell’avviso di accertamento, con la sanzione, in caso di violazione, della illegittimità dell’avviso di accertamento (Cass., Sez.Un., 29 luglio 2013, n. 18184), deve essere rispettato solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali dell’impresa.
Tra l’altro, nella specie, risulta anche espletato il contraddittorio con la contribuente in relazione all’iva, quale tributo armonizzato.
Va precisato, sul punto, che, in caso di tributi armonizzati, la violazione dell’obbligo del preventivo contraddittorio comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto una opposizione meramente pretestuosa (Cass., 27 luglio 2018, n. 20036; Cass. Sez.Un., 24823/2015).
Va anche aggiunto che, in caso di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento non sussiste per gli accertamenti cd. “a tavolino”, senza che, peraltro, l’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, possa essere interpretato nel senso che la consegna della documentazione contabile spontaneamente effettuata dal contribuente presso gli uffici dove viene eseguita la verifica possa essere equiparata a quella compiuta presso la sede della società e successivamente proseguita, ai sensi del comma 3 di detta disposizione, negli uffici dell’amministrazione (Cass., 14 marzo 2018, n. 6219).
1.2. La peculiarità della vicenda, però, consiste nella circostanza che i tre processi verbali di contraddittorio del 2011, sono stati anticipati da un accesso breve presso i locali dell’impresa in data 3-9-2009. La società nel primo motivo di gravame, in realtà, non chiede il rispetto del termine di sessanta giorni in relazione a tale accesso breve, ma pretende di applicare tale termine all’ultimo verbale di contraddittorio del 21-6-2011, da parificare al verbale di chiusura delle operazioni di cui all’art. 12 comma 7 legge 212/2000.
Tale argomentazione non può essere condivisa.
Infatti, l’avviso di accertamento è stato emesso sicuramente dopo il decorso dei sessanta giorni dall’accesso breve, per il quale è previsto sia il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, sia il rispetto del termine di sessanta giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento (Cass., 21 novembre 2018, n. 30026; Cass., 3060/2018; Cass., 7843/2015; Cass., 2593/2014; Cass. 15624/2014), verificatosi ben due anni prima. Non si può, quindi, a seguito dei successivi verbali di contraddittorio spostare avanti tale termine sino all’ultimo processo verbale di contraddittorio del 21-6-2011, in quanto la ratio dell’art. 12 comma 7 legge 212/2000 è quella, oltre che di evitare alla Amministrazione di formulare inutilmente rilievi e pretesi che attraverso la collaborazione del contribuente possono risultare del tutto infondati, anche di consentire al contribuente che ha subito un accesso presso i locali dell’impresa di poter produrre osservazioni, in modo da riequilibrare le posizioni delle parti, altrimenti sbilanciate a favore dell’amministrazione che ha il potere di invadere la sfera riservata al privato con l’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche, alla diretta ricerca di elementi probatori a lui sfavorevoli (Cass., 11471/2017).
Nel caso, in esame, però tale squilibrio, verificatosi al momento dell’accesso breve del 2009, è stato successivamente ricomposto in virtù dei tre incontri con la parte del 2011, tutti chiusi con un processo verbale di contraddittorio, nel corso dei quali la contribuente ha potuto disquisire, o comunque avrebbe potuto farlo, anche in relazione ai documenti acquisiti in precedenza con l’accesso breve del 2009.
In tal senso questa Corte ha affermato che il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 non deve essere rispettato anche nell’ipotesi in cui, dopo la chiusura del processo verbale, l’ufficio proceda autonomamente ad ulteriori verifiche sulla base di una istruttoria interna, quale aggiuntiva ed autonoma attività rispetto all’accesso presso i locali del contribuente medesimo (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27732).
2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente denuncia “violazione dell’art. 60 bis d.p.r. 633/1972, per avere la sentenza ritenuto sufficiente a determinarne l’applicazione nel caso di specie la circostanza che il cedente non versi l’iva all’erario, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.” in quanto la Commissione regionale non ha tenuto conto della circostanza che l’art. 60 bis comma 1 d.p.r. 633/1972, consente la solidarietà nel pagamento dell’Iva solo per le operazioni che attengono ai beni indicati con il D.M. 22-12-2005, tra i quali non possono essere inseriti quelli di cui alle fatture emesse dalle due società “cartiere”, trattandosi non di componenti per il computer, indicati nella tabella ministeriali alla lettera c dell’art. 1 del D.M. 22-12-2005 (personal computer, componenti ed accessori v.d. 84.71; v.d. 84.73), ma di semilavorati, che non sono “specificatamente o esclusivamente progettati per personal computer e relativi accessori”, come da relazione di un professionista di fiducia della società.
2.1. Tale motivo è inammissibile.
2.2. Anzitutto, si rileva che l’art. 21 della sesta direttiva del Consiglio (17-5- 1977 n. 388) prevede che “quando l’operazione imponibile è effettuata da un soggetto passivo residente all’estero gli Stati membri possono adottare disposizioni secondo cui l’imposta è dovuta da una persona diversa. A tale scopo possono in particolare essere designati un rappresentante fiscale o il destinatario dell’operazione imponibile. Gli Stati membri possono altresì prevedere che una persona diversa dal soggetto passivo sia tenuto in solido al versamento dell’imposta”.
2.3. La Corte di giustizia Ue (sentenza 11 maggio 2006, causa C-384/04), sul punto, ha affermato che “l’articolo 21, numero 3, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso permette ad uno Stato membro di adottare una normativa, quale quella di cui alla causa principale, ai sensi della quale un soggetto passivo, a favore del quale è stata effettuata una cessione di beni o una prestazione di servizi e che era a conoscenza del fatto, o aveva ragionevoli motivi per sospettare, che la totalità o parte dell’Iva dovuta per tale cessione o tale prestazione, ovvero per qualsiasi altra cessione o qualsiasi altra prestazione precedente o successiva, non sarebbe stata versata, può essere obbligato a versare tale imposta in solido con il debitore. Tuttavia una tale normativa deve rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico comunitario, quali, in particolare, i principi di certezza del diritto e di proporzionalità”.
2.4. L’art. 60 bis d.p.r. 633/1972 (solidarietà nel pagamento dell’imposta) prevede che “con decreto del ministro dell’economia e delle finanze, su proposta degli organi competenti al controllo, sulla base di analisi effettuate su fenomeni di frode, sono individuati i beni per i quali operano le disposizioni dei commi 2 e 3”.
Ai comma 2 , poi, si dispone che “in caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale, il cessionario soggetto agli adempimenti ai fini del presente decreto, è obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta”.
Il comma 3, quindi, stabilisce, quanto alla prova contraria consentita al contribuente, che “l’obbligato solidale di cui al comma 2 può tuttavia documentatamente dimostrare che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta“.
Pertanto, ai fini dell’applicazione della solidarietà passiva nella obbligazione tributarie ex art. 60 bis d.p.r. 633/1972 occorrono quattro condizioni: 1) che la cessione si riferisca a determinati beni da individuare con decreto ministeriale; 2) che la cessione dei beni sia effettuata ad un prezzo inferiore al loro valore normale; 3) che il cessionario sia soggetto passivo Iva; 4) che il cedente non abbia versato l’imposta relativa alla cessione effettuata.
Con decreto ministeriale 22-12-2005 sono stati indicati i beni cui si applica la disciplina dell’art. 60 bis d.p.r. 633/1972. Tra tali beni rientrano personal computer, componenti ed accessori (v.c. 84.71; v.d. 84.73).
Inoltre, per questa Corte, ove il cedente non versi l’imposta relativa a cessioni di autovetture effettuate a prezzi inferiori al valore normale, il cessionario è obbligato solidalmente al pagamento, senza che sia necessaria nei suoi confronti alcuna attività accertativa, ferma la possibilità, per lo stesso, di impugnare la cartella di pagamento emessa nei suoi confronti (Cass., 28 giugno 2018, n. 17171; Cass., 31 gennaio 2019, n. 2853, ove si precisa che l’art. 60 bis presuppone l’effettività della operazione, sia sul piano oggettivo che soggettivo, sicché è consentito al cessionario portare in detrazione l’imposta non versata dal cedente e per la quale è stato chiamato al pagamento come obbligato solidale).
2.5.In ordine al “valore” normale non vi è motivo di ricorso e la Commissione regionale ha accertato che il prezzo praticato al contribuente era inferiore di circa il 15 % rispetto al prezzo pagato dalle società fornitrici per l’acquisto del medesimo, essendo a tal fine sufficiente l’obiettiva divaricazione fra il prezzo sostenuto e quello di mercato (Cass., 16 gennaio 2019, n. 877).
2.6.Si evidenzia, poi, che nella tariffa doganale 84.71 sono inclusi: “macchine automatiche per l’elaborazione dell’informazione e loro unità; lettori magnetici ed ottici, macchine per l’inserimento di informazioni su supporto in forma codificata e macchine per l’elaborazione di queste informazioni, non nominate né comprese altrove:- macchine automatiche per l’elaborazione dell’informazione, analogiche o ibride;- macchine automatiche per l’elaborazione dell’informazione, numeriche, che comportano, in uno stesso involucro, almeno una unità centrale di elaborazione, anche combinate, una unità di entrata o di uscita”.
Nella tariffa doganale 84.73 sono ricompresi: “parti ed accessori – diversi dai cofanetti, dagli involucri e simili – riconoscibili come destinati esclusivamente o principalmente alle macchine ed apparecchi delle voci 8469 e 8472”.
2.7.Invero, la ricorrente, pur indicando nella rubrica la censura di violazione di legge, in realtà chiede una rivalutazione degli elementi probatori addotti in giudizio tra le parti, non consentita, in questa sede, tanto più che la sentenza è stata depositata in data 26-1-2015, quindi dopo la modifica dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., ad opera del d.l. 83/2012.
Inoltre, non può essere dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. il vizio di omesso esame di un fatto decisivo della controversia per la mancata considerazione di una perizia stragiudiziale, in quanto la stessa costituisce un mero argomento di prova (Cass., 8621/2018).
3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., e pertanto nullità della sentenza, per contraddittorietà, manifesta illogicità, quindi inesistenza della motivazione, in ordine alla natura e alla qualità dei beni oggetto delle cessioni da Exim s.r.l. e N. Hiusing s.r.l., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.” in quanto la Commissione regionale si sarebbe limitata ad affermare che la merce acquistata dalla contribuente, in quantitativi rilevantissimi, era stata descritta in modo del tutto generico nelle fatture, non consentendo di comprendere le disposizioni di legge violate. Né la Commissione regionale ha tenuto conto della perizia Tosi.
3.1. Tale motivo è infondato.
Invero, la Commissione regionale, seppure con una stringata motivazione, ha affermato in modo lineare e coerente che la contribuente ha acquistato un quantitativo molto rilevante di prodotti dalle società E. s.r.l. e N. Hausing s.r.l., ad un prezzo più basso del 15 % rispetto a quello di acquisto di tali prodotti da parte delle due società. Inoltre, le due società venditrice avevano acquistato i prodotti da operatori intracomunitari in regime di sospensione Iva, con rivendita degli stessi, attraverso fatture dal contenuto die tutto generico, con applicazione dell’Iva nei confronti dei soggetti economici italiani, senza pagare l’iva, essendo quindi delle cartiere. Il mancato pagamento dell’Iva consentiva alle due società di vendere i beni sotto costo.
La motivazione, quindi, esiste, è logica e coerente e dà conto, in modo sufficiente, delle argomentazioni giuridiche hanno condotto poi al rigetto del gravame proposto dalla società.
4. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente, per il principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi € 20.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
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