CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 aprile 2019, n. 11455
Tributi – Imposta pubblicità – Impianti pubblicitari apposti su cabine destinate alla riproduzione fotografica – Assoggettamento all’imposta – Riconoscimento dell’esenzione prevista per le “insegne” – Esclusione
Ritenuto che
La società D.A. a.r.l. proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna avverso un avviso di accertamento notificatole dalla Parma Gestione Entrate S.p.a. quale concessionaria del Comune di Parma e Noceto per il servizio di accertamento e riscossione delle imposte sulla pubblicità e le affissioni pubbliche, relativo al mancato pagamento dell’imposta di pubblicità per l’anno 2012, 2013, e 2014, con riferimento ad impianti pubblicitari apposti su cabine destinate alla riproduzione fotografica.
Deduceva la ricorrente che i mezzi pubblicitari contestati erano di dimensioni inferiori a 5 mq e dovevano considerarsi “insegne”, in quanto avevano lo scopo di indicare il luogo di esercizio dell’attività.
L’adita Commissione, con sentenza n. 814/2015, respingeva il ricorso ritenendo che l’esenzione invocata dalla ricorrente non potesse essere applicata nel caso in esame essendo i mezzi oggetto di causa non configurabili come “insegne”, bensì come messaggi pubblicitari.
Avverso tale sentenza proponeva appello la D.A. s.r.l. ribadendo le tesi già svolte in primo grado.
Con sentenza n. 1500 depositata in data 19/4/2015, la Commissione Tributaria Regionale di Bologna respingeva l’appello condannando l’appellante alle spese del grado.
Avvero tale sentenza la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Si costituisce la Parma Gestione Entrate s.p.a. eccependo l’inammissibilità del ricorso per difetto di specificità e nel merito la sua infondatezza.
Entrambe le parti hanno depositato memorie integrative.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 17, comma 1 bis del decreto legislativo 1993 nr. 507, dell’art. 10, comma 1, lett. B bis, della legge 28.12.2001 nr. 448, dell’art. 2 bis della legge nr. 75/2002 e dell’art. 2 capo tre del decreto 7.1.2003 pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 4.4.2003 nr 79.
La ricorrente, premesso di essere un’azienda che opera attraverso postazioni, site in spazi privati e pubblici, di strutture destinate alla riproduzione fotografica sostiene che i cartelli e le scritte ivi apposte costituiscono l’insegna delle stesse, in quanto destinate alla comunicazione al pubblico dello specifico servizio offerto da ciascuna postazione.
La sentenza impugnata, pertanto, avrebbe errato nell’escludere la natura di insegne ai mezzi esposti sulle attrezzature in questione, ponendosi peraltro in contrasto con il principio espresso da questa Corte (Cass., sez. 5, 30/10/2009, n. 23021 e Cass. 4/3/2013 n. 5337), secondo il quale il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 17, comma 1-bis, aggiunto dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 10, non consentirebbe di introdurre distinzioni in ordine all’eventuale presenza di un possibile “concorso dello scopo pubblicitario con la funzione propria dell’insegna”.
La pronuncia della CTR, peraltro, si porrebbe in manifesta violazione del D.M. 7 gennaio 2003 del Ministero dell’economia e della finanze che, nel dettare le modalità operative per la determinazione dei trasferimenti compensativi ai comuni, all’art. 2, capo 3, precisa che “rientrano nella fattispecie esenti anche le insegne di esercizio che contengono indicazioni relative ai simboli e ai marchi dei prodotti venduti, ad eccezione del caso in cui questi ultimi siano contenuti in un distinto mezzo pubblicitario esposto, cioè in aggiunta ad una insegna di esercizio…”.
La società D. sostiene poi che l’interpretazione data dalla CTR al testo di legge non sarebbe coerente con la volontà del legislatore che avrebbe inteso esonerare dal pagamento dell’imposta le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni e di servizi che contraddistinguono ” la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono”, indipendentemente dalla sede della relativa società in forza del criterio di prevalenza del luogo di effettivo svolgimento dell’attività rispetto a quello formale della sede della società.
Afferma infatti che le scritte contestate costituirebbero elementi di comunicazioni al pubblico della propria esistenza,presenza sul territorio e della relativa attività sottolineando che la cabina foto rappresenterebbe il solo luogo ove la D. esercitala la propria attività ed eroga il servizio offerto al pubblico giacchè nella sede legale di Ariccia la stessa svolge unicamente attività amministrativa in relazione a quei servizi che ai propri clienti fornisce esclusivamente attraverso le cabine fotografiche.
Contesta poi la pertinenza del principio richiamato dalla Ctr riferito, ad avviso della ricorrente, ad una fattispecie diversa quali devono ritenersi le scritte apposte su di un distributore automatico di prodotti preconfezionati.
Preliminarmente va rigettata rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla controricorrente sotto il profilo dell’autosufficienza con riguardo alla previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.
In particolare, la contro ricorrente sostiene che il ricorso non indica o riproduce l’esatta dizione o il contenuto dei cartelli e delle scritte né descrive il contenuto esatto della motivazione degli avvisi di accertamento prodotti senza indicarne il luogo .
Osserva il Collegio che il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), deve consistere in una esposizione volta a garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., SU, 18/05/2006, n. 11653, Rv. 588770 – 01). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., SU, 20/02/2003, n. 2602, Rv. 560622 – 01).
Prescrizione questa che nella specie deve ritenersi rispettata.
La ricorrente infatti ha precisato che la controversia ha avuto ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento per il pagamento di imposte comunali relative ad impianti pubblicitari apposti su cabine per riproduzioni fotografiche e che i motivi di impugnazione si fondavano sulla pretesa esenzione dall’imposta per non avere i mezzi in questione carattere pubblicitario, ricorrendo i requisiti di dimensione propri dell’insegna di esercizio esente dall’imposta stessa; la ricorrente ha altresì riportato, sia pure succintamente, le decisioni di primo e di secondo grado, con le relative ragioni, fondate sulla ritenuta natura di messaggi pubblicitari delle postazioni in discorso e sulla loro non equiparabilità a sedi secondarie: tale ricostruzione del fatto sostanziale e processuale appare sufficiente per comprendere i fatti di causa e risulta sufficiente per consentire alla Corte di operare una piena valutazione delle censure mosse alle sentenza impugnata.
Nel merito, il motivo è infondato.
La CTR, sul punto, ha confermato la sentenza di primo grado, ritenendo che i pannelli apposti sulle cabine in questione non hanno la caratteristica di insegna di esercizio ” costituendo invece spazi provvisti di una autonoma rilevanza pubblicitaria,e non valgono ad identificare la sede della società, al più costituendo altrettante unità produttive prive di autonomia “.
La ricorrente assume, invece, che il giudice tributario avrebbe dovuto riconoscere l’esenzione dal tributo, come prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1994, art. 17, comma 1-bis, in ragione del fatto che le strutture in questione riportavano la descrizione del servizio offerto, come emergerebbe dallo stesso avviso di accertamento di cui è causa, e, pertanto, erano destinate alla comunicazione al pubblico dello specifico servizio offerto da ogni postazione, dovendo conseguentemente qualificarsi insegne di esercizio, e non pubblicità, potendo quest’ultima ravvisarsi solo in presenza di cartelli svincolati dal luogo di esercizio dell’attività.
Giova ricordare che, in linea generale, i presupposti applicativi dell’imposta di cui si discorre sono disciplinati dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, a mente del quale “la diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile è soggetta all’imposta sulla pubblicità prevista nel presente decreto. Ai fini dell’imposizione si considerano rilevanti i messaggi diffusi nell’esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato.
A sua volta, il medesimo D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, stabilisce i casi di esenzione dall’imposta, prevedendo al comma 1 bis, per quanto qui rileva, che “l’imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a cinque metri quadrati”. Il D.L. 22 febbraio 2002, n. 13, art. 2 bis, comma 6, convertito in L. 14 aprile 2002, n. 75, ha poi chiarito che “si definisce insegna di esercizio la scritta di cui al Reg. di cui al D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 47, comma 1, che abbia la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività economica. In caso di pluralità di insegne l’esenzione è riconosciuta nei limiti di superficie di cui al comma 1”.
Di analogo tenore è il richiamato D.P.R. n. 495 del 1992, art. 47, comma 1, che definisce “insegna” la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa. Può essere luminosa sia per luce propria che per luce indiretta. “.
Ne deriva che le insegne ubicate in luoghi diversi dalla sede sono soggetti all’imposta (Cass., sez. 5, 11/05/2012, n. 7348, Rv. 622894 – 01).
Ciò posto, nella fattispecie in esame, in cui pacificamente si discorre di pannelli apposti su distributori automatici (cabine per foto, foto per documenti, fototessera, ecc.), ai fini della applicazione dell’esenzione ai sensi della norma invocata dalla ricorrente, correttamente la sentenza impugnata ha in primo luogo valutato se le postazioni di distribuzione automatica possano essere configurate quali “sedi” di svolgimento dell’attività commerciale, giungendo correttamente ad escludere tale possibilità. Non è rinvenibile infatti altra nozione normativa, ai fini civilistici, di sede delle persone giuridiche (qual è l’odierna ricorrente, in quanto società di capitali avente, quindi, personalità giuridica), se non quella formale (c.d. sede legale) risultante dall’atto costitutivo e dallo statuto (cfr. artt. 46 e 16 c.c.), alla quale si aggiunge correntemente, per l’equiparazione a determinati effetti nei confronti dei terzi, la nozione di sede effettiva, tale intendendosi il luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente ed ove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti (cfr. Cass., sez. L, 12 marzo 2009, n. 6021, Rv. 607263 – 01; Cass., sez. L, 13 aprile 2004, n. 7037, Rv. 572032 – 01).
Sempre nello stesso senso vanno richiamato i precedenti di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, che, nello stesso caso , ha escluso la riconducibilità dei distributori automatici al concetto di “sede” (cfr. Cass del 20.3.2019 nr 7783 e nr 7781).
Tanto premesso, risulta di intuitiva evidenza che le cabine per fototessera e/o le postazione automatiche di distribuzione di cibi o bevande non possono essere ricondotte nè al concetto di sede legale nè a quello di sede effettiva di esercizio dell’attività sociale come sopra richiamati, e neppure può ipotizzarsi un rapporto pertinenziale con la sede della società, in ragione dell’ampia diffusione territoriale che impedisce a monte la stessa configurabilità di un rapporto durevole di servizio del singolo distributore alla sede sociale.
A tali considerazioni deve aggiungersi l’ulteriore rilievo, decisivo al fine di escludere che al punto automatico di esercizio dell’attività possa attribuirsi la qualificazione di “sede”, che tale concetto viene a costituire nella fattispecie in esame il presupposto per l’applicazione di una norma, quale il menzionato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1 bis, che prevede un’esenzione fiscale, come tale da ritenersi di stretta interpretazione (cfr. Cass., sez. 5, 30/12/2014, n. 27497, in motivazione).
La sentenza impugnata, pertanto, ha correttamente affermato che le cabine automatiche non possono considerarsi “sede” della società, ed è conseguentemente pervenuta ad una corretta decisione di esclusione del diritto all’esenzione, atteso che tale circostanza osta all’applicabilità del D.Lgs. n. 507 de11993, art. 17, comma 1 bis, invocato dalla ricorrente.
Sotto un diverso profilo si deve altresì valutare se espressioni del tipo di quelle usate ” Stampa qui la foto”, Foto Tessera, Fotofun possano essere qualificate giuridicamente come insegne.
Orbene è pacifico che l’insegna, che trova la sua ragione d’essere nel quadro e all’interno dei segni distintivi, deve presentare particolari caratteristiche identificative non ravvisabili nel caso in esame.
Alle espressioni sopra indicate infatti non può essere attribuita nessuna valenza distintiva, indicando le stesse in termini generici il tipo di attività che integra il servizio offerto, ponendosi in questa prospettiva sul piano dell’oggetto piuttosto che su quello del soggetto.
Queste considerazioni portano a ritenere inconferenti le argomentazioni impiegate dalla ricorrente relativamente alla pretesa classificazione della cabina come luogo dove la D. svolge la propria attività ed eroga il servizio. Servizio che può essere tutelato ove il segno utilizzato, ma non è come si è visto il caso qui esaminato, sia diretto a garantirne la non confondibilità. In questi termini non assume una valenza significativa qualsiasi richiamo a precedenti che facciano capo al momento pubblicitario dell’insegna ,essendo anch’essa riconducibile alla funzione distintiva nel caso in esame del tutto assente.
Resta assorbito l’ulteriore argomento dedotto dalla società ricorrente in riferimento alla asserita irrilevanza, ai fini dell’applicabilità della esenzione, dell’eventuale concorso dello scopo pubblicitario con la funzione propria della insegna stessa, siccome desumibile dal precedente di questa Corte n. 23021 del 2009 e dal D.M. 7 gennaio 2003, art. 2, capo 3: tale questione, infatti, attiene al contenuto dell’insegna e presuppone che si tratti di “insegna” installata nella “sede” dell’attività cui si riferisce, requisito che, per quanto sopra evidenziato, non può ritenersi sussistente nel caso in esame.
Esclusa l’applicabilità dell’esenzione, la sentenza impugnata ha quindi correttamente confermato il rigetto del ricorso proposto in primo grado dalla D.A., ritenendo, con accertamento in fatto non censurato né censurabile in questa sede, che i pannelli apposti sul perimetro esterno degli apparecchi automatici possono essere equiparati alle insegne di esercizio costituendo spazi provvisti di una autonoma rilevanza pubblicitaria e non valgono ad identificare la sede della società rappresentando al più unità produttive prive di autonomia.
Nè la ricorrente ha mai prospettato nei gradi di merito (e tantomeno in questa sede) che la comunicazione così realizzata possa essere ricondotta ad altre ipotesi di esenzione, e specificamente a quelle previste dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1, lett. a) e b), con riferimento alle insegne non riconducibili nella nozione di “insegna di esercizio”, contemplata dalla sola ipotesi di cui al medesimo D.Lgs., art. 17, comma 1 bis.
Con il secondo motivo di ricorso è prospettata la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in tema di onere della prova”.
La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere invertito l’onere probatorio gravante sulle parti ai sensi dell’art. 2697 c.c., erroneamente attribuendolo alla contribuente anzichè al concessionario, nella parte in cui ha affermato che i presunti mezzi pubblicitari superano i cinque metri di superficie.
Il motivo deve dichiararsi inammissibile per carenza di interesse, stante l’esito del giudizio sul primo motivo.
Infatti, la necessità, ai fini dell’applicazione dell’esenzione dall’imposta comunale sulla pubblicità, che le insegne per le quali si invochi il beneficio siano installate su strutture definibili come “sede” dell’attività, requisito nella specie rimasto escluso, rende ininfluente accertare in concreto la superficie complessiva delle insegne oggetto di causa: il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1 bis, invero, prevede il necessario concorso di entrambi i presupposti ivi previsti ai fini dell’esenzione dall’imposta delle insegne di attività commerciali e di produzione di beni o servizi (i.e.: installazione nella sede dell’attività e dimensione non superiore a 5 mq), sicchè in assenza anche di uno solo di tali requisiti la norma citata non può essere utilmente invocata. Sotto diverso profilo, giova ricordare che questa Corte ha reiteratamente ribadito che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura se il giudice del merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo (cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni), non anche quando abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. 05/09/2006, n. 19064; Cass. 17/06/2013, n. 15107; Cass. 21/02/2018, n. 4241).
Nel caso di specie, il giudice del merito ,ben lungi dall’operare alcuna indebita inversione dell’onere probatorio, ha superato le questioni attinenti al riparto di tale onere e ritenuta raggiunta la prova evidenziando che le misurazioni contenute nell’atto di accertamento, non erano state contraddette da espresse indicazioni da parte dell’appellante circa errori di rilevazione e di misurazioni.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
La peculiarità della fattispecie e l’assenza di specifici precedenti di legittimità alla data di proposizione del ricorso rendono equo compensare interamente tra le parti le spese del presente grado.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 (notifica del 14 giungo 2013), ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a tutolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; compensa le spese della presente fase; dà atto, ai sensi del DPR nr. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
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