CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 aprile 2019, n. 11491
Prolungata sottrazione di liquidità di cassa in sede di raccolta delle scommesse – Violazione dei doveri contrattuali di fedeltà e diligenza – Azione intrapresa dalla società nei confronti degli ex dipendenti, di natura contrattuale e non extracontrattuale – Conseguenze in materia di termine prescrizionale e di distribuzione dell’onere della prova
Premesso
che con sentenza n. 4171/2014, depositata il 30 luglio 2014, la Corte di appello di Roma ha condannato F.M.R. e L.C. a risarcire i danni patrimoniali subiti dalla H.R.C. S.p.A. (già Società Gestione C. S.p.A.) per effetto della condotta dagli stessi posta in essere, in violazione dei doveri contrattuali di fedeltà e diligenza, nella rispettiva qualità di direttore amministrativo e di responsabile del “totalizzatore”, e consistita nella prolungata sottrazione di liquidità di cassa in sede di raccolta delle scommesse, liquidando a tal fine, previo espletamento di C.T.U. contabile, la minor somma di euro 746.425,00 oltre interessi legali e rivalutazione monetaria;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il R. con quattro motivi, assistiti da memoria, cui la società ha resistito con controricorso;
– che il C. è rimasto intimato;
Rilevato
che con il primo motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione di molteplici norme di diritto (artt. 2946, 2947, 2043, 2056, 2697 e 1218 cod. civ. in riferimento agli artt. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, 113 e 132 cod. proc. civ.), nonché il vizio di cui all’art. 360 n. 5, per avere la sentenza impugnata erroneamente qualificato l’azione proposta dalla società come contrattuale, con le relative conseguenze in materia di termine prescrizionale e di distribuzione dell’onere della prova, nonostante che la stessa motivazione e il ricorso introduttivo del giudizio, con il richiamo a comportamenti integranti ipotesi di reato, ne avessero delineato la natura extracontrattuale;
– che con il secondo viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 n. 3 in relazione agli artt. 2104, 2105 e 2055 cod. civ. per avere la sentenza di appello accertato la violazione degli obblighi di diligenza e di fedeltà senza peraltro considerare che la datrice di lavoro non aveva fornito alcuna prova relativamente alle mansioni e agli specifici compiti assegnati al ricorrente all’interno dell’organizzazione aziendale, né relativamente allo svolgimento da parte della società di alcuna attività di direzione e controllo in merito ai fatti dedotti in giudizio; ed inoltre senza procedere alla pur necessaria verifica della specificità dei ruoli e delle responsabilità assunti nella vicenda dall’uno e dall’altro dei convenuti;
– che con il terzo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 cod. civ. per avere la sentenza impugnata omesso di accertare il concorso di colpa della società e comunque di operare, anche ai sensi del comma 2° della norma citata, una riduzione del risarcimento;
– che con il quarto motivo viene dedotta ex art. 360 n. 4 la nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione, nonché la violazione dell’art. 429 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale, pronunciando la condanna del ricorrente al risarcimento dei danni, disposto l’applicazione sulla somma liquidata, oltre agli interessi legali, anche della rivalutazione monetaria, sebbene la sentenza di primo grado l’avesse esclusa e la società non avesse proposto appello incidentale sul punto né avesse formulato alcuna deduzione in sede di gravame;
Osservato
che il primo motivo, là ove denuncia una motivazione apparente o perplessa, è infondato;
– che, infatti, la motivazione è solo apparente “quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U n. 22232/2016); e può correttamente dirsi “perplessa” quando si esprima in termini dubitativi, così da non consentire di individuare quale sia stata, tra diverse e alternative soluzioni, quella verso cui si è orientato il convincimento del giudice;
– che, nel caso di specie, la Corte di merito ha invece chiaramente e univocamente indicato le ragioni che l’hanno portata a ritenere di natura contrattuale (e non extracontrattuale) l’azione intrapresa dalla società nei confronti degli ex dipendenti, attraverso plurimi e coerenti richiami alla violazione degli obblighi di fedeltà (art. 2105 cod. civ.) e di diligenza nell’esecuzione della prestazione dovuta (art. 2104 cod. civ.) e, per ciò che riguarda il R., nella specifica considerazione della posizione dallo stesso ricoperta all’interno della organizzazione di impresa, posizione alla quale era strettamente connesso il “dovere di predisporre la contabilità in modo tale da evitare che un danno di sì grosse dimensioni” potesse “passare senza alcun problema inosservato” (cfr. sentenza impugnata, p. 13);
– che il motivo in esame risulta altresì infondato laddove denuncia il vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., essendosi la Corte uniformata a consolidati principi in materia di qualificazione della domanda giudiziale;
– che, in particolare, è stato ripetutamente affermato nella giurisprudenza di legittimità che: (a) il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (Cass. n. 118/2016; conforme n. 7322/2019); (b) il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, incorrendo nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti (Cass. n. 5153/2019);
– che risulta di conseguenza ininfluente l’affermazione di una rilevanza anche penale dei comportamenti ascritti, allorché – come accertato dalla Corte territoriale con motivazione ampia ed esente da censure – essi siano stati collegati all’inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro e tale inadempimento costituisca la ragione che ha giustificato la proposizione della domanda;
– che devono egualmente essere disattesi il secondo e il terzo motivo di ricorso;
– che entrambi, infatti, non si conformano al consolidato principio di diritto, per il quale “nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione” (Cass. n. 16038/2013, fra le molte conformi);
– che, d’altra parte, ove con i motivi in esame il ricorrente abbia inteso muovere censure di ordine motivazionale, allora è da rilevare come le stesse, denunciando la illogicità del percorso seguito dalla Corte nella sentenza impugnata (cfr. ricorso, pp. 23, 25, 30), non si confrontino con il modello legale del vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come riformulato a seguito della riforma del 2012;
– che al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 n. 5 “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”;
– che, in realtà, sub specie della denuncia del vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente tende a sollecitare a questa Corte di legittimità, in contrasto con i compiti che le sono attribuiti dall’ordinamento, una rilettura del materiale probatorio ed un diverso apprezzamento del merito della causa, come emerge dai plurimi riferimenti contenuti nel ricorso all’esame delle risultanze istruttorie e al mancato assolvimento dell’onere della prova da parte della società;
– che è invece fondato il quarto motivo di ricorso, posto che “la pronuncia, con la quale il giudice, sia pur implicitamente (liquidando i soli interessi), neghi la rivalutazione, presuppone un accertamento negativo circa la sussistenza del maggior danno, sicché, in difetto di impugnazione sul punto, si forma al riguardo il giudicato e la relativa questione resta preclusa nelle successive fasi processuali ed anche in un successivo giudizio” (Cass. n. 15878/2003);
Ritenuto
conclusivamente che, respinti i primi tre motivi di ricorso, deve essere accolto il quarto, con conseguente cassazione della sentenza n. 4171/2014 della Corte di appello di Roma;
– che, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto e, quindi, potendosi sul punto decidere la causa nel merito (art. 384, comma 2°, cod. proc. civ.), deve essere esclusa – sulla somma (euro 746.425,00) liquidata in grado di appello a titolo di risarcimento danni subiti dalla società – l’applicazione della rivautazione monetaria, fermo il decorso degli interessi legali;
– che, attesa la parziale soccombenza, devono compensarsi fra le parti le spese del presente giudizio, nella misura precisata in dispositivo
P.Q.M.
rigettati i primi tre motivi, accoglie il quarto e, decidendo nel merito, esclude la rivalutazione monetaria sulla somma come liquidata in grado di appello a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali; compensa per 1/4 le spese sostenute dalla società H.R.C. S.p.A., liquidate in complessivi euro 200,00 per esborsi ed euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, restando i residui 3/4 a carico del ricorrente.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione ordinanza n. 26709 depositata il 12 settembre 2022 - La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da "errar in procedendo", quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 marzo 2019, n. 6773 - La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 09 settembre 2019, n. 22507 - La motivazione è solo apparente e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo - quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 14 maggio 2020, n. 8923 - La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da "error in procedendo", quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 25 febbraio 2021, n. 5171 - La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da "error in procedendo", quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 giugno 2021, n. 18362 - La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Nelle somministrazioni irregolari è onere del lavo
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 30945 depositata il 7 novembre 2023, i…
- Prescrizione quinquennale delle sanzioni tributari
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 31260 depositata il 9 novembre 2…
- Processo tributario: deposito di nuovi documenti,
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 32213 depositata il 21 novembre…
- L’estensione del giudicato esterno opera quando su
L’estensione del giudicato esterno opera quando sussistono gli stessi soggetti p…
- Per il reato di bancarotta societaria ai fini pena
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 47900 depositata il 3…