CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 giugno 2022, n. 20859
Gestione commercianti – Avviso di addebito – Prescrizione del credito – Accertamento dell’abitualità e della prevalenza dell’esercizio di attività d’impresa
Rilevato che
la Corte d’appello di Cagliari, a conferma della pronuncia del Tribunale, ha accolto l’opposizione proposta da M.A.B., socio al 50% della società “I.M.D.G. e M.A.B. s.n.c.”, nei confronti dell’avviso di addebito con cui l’Inps le aveva richiesto il pagamento di Euro 8.515,22 a titolo di contributi alla gestione commercianti per il periodo 2005-2012; circoscritto il periodo agli anni 2007- 2012 per l’intervenuta prescrizione del credito relativamente agli anni 2005-2007, la Corte territoriale ha dichiarato non dovuti i contributi ed ha annullato l’avviso di addebito, sul presupposto della non ricorrenza, nel caso di specie, delle condizioni previste dall’art. 29, I. 160 del 1975, necessarie a fondare l’obbligo di iscrizione alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla l. n. 613 del 1966; nello specifico, la Corte territoriale ha accertato: a) che la B. non gestiva né era titolare di attività d’impresa organizzata prevalentemente col proprio apporto lavorativo; che la stessa deteneva il 50% della società di persone “I M.”, e tuttavia ogni responsabilità in ordine a oneri e rischi era affidata all’altro socio G. B. come risultava dalla visura storica della società; b) che l’Inps non aveva offerto nessuna prova di una qual si voglia partecipazione personale al lavoro aziendale della B., limitandosi a sostenere che i contributi erano dovuti in ragione della partecipazione sociale alla società che si avvaleva del corrispettivo dell’affitto di un ramo aziendale alla società “O. 2 s.r.l.”; c) inoltre, sempre sul piano probatorio a carico dell’Inps, quest’ultimo si era limitato a produrre le dichiarazioni reddituali dell’appellante per il 2006, 2011, e 2012, da cui, peraltro, era risultato come nella prima dichiarazione le caselle non risultavano compilate, mentre, per gli anni 2011-2012 le voci rivendicate erano state annullate dallo stesso Inps in va di autotutela; la cassazione della sentenza è domandata dall’INPS sulla base di un unico motivo; M.A.B. ha depositato controricorso, illustrato da successiva memoria.
Considerato che
con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., il ricorrente deduce “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, I. 22.7.1966, n. 613; dell’art. 1, I. 27.11.1960, 1397, così come modificato dall’art. 1, comma 203, I. 662/1996, dell’art. 2 della stessa l. n. 1397/1960 e degli artt. 2291, 2298 e 2697 c.c.”;
ricostruito il quadro normativo, l’Istituto chiede di riesaminare, alla luce della propria diversa prospettazione, l’accertamento in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’assoggettamento al regime previdenziale in capo a M.A.B., segnatamente con riferimento ai requisiti di legge riguardanti l’accertamento dell’abitualità e della prevalenza dell’esercizio di attività d’impresa da parte del socio di società in nome collettivo; il motivo è infondato;
è prevalso, nella giurisprudenza di questa Corte, l’orientamento secondo cui nell’ambito delle società di persone, in forza dell’art. 1, comma 203, della l. n. 662 del 1996, che ha modificato l’art. 29 della l. n. 160 del 1975, e dell’art. 3 della l. n. 45 del 1986, la qualità di socio non è sufficiente a far sorgere l’obbligo d’iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza (cfr. per tutte Cass. n. 5210 del 2017 e Cass. n. 2665 del 2021 con riguardo all’ipotesi, del tutto equiparabile, del socio accomandatario);
la Corte territoriale si è pienamente attenuta a tale orientamento, e l’accertamento posto a fondamento della decisione – che ha escluso la partecipazione abituale e prevalente dell’odierna controricorrente alla gestione aziendale – non è sindacabile in questa sede; in definitiva, il ricorso va rigettato;
le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza; in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3000,00 a titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della l. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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