CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 agosto 2020, n. 18057

Tributi – IVA – Imposta corrisposta sulla TIA 1 – Diritto al rimborso

Considerato che

la G.H.M.S., s.r.l., proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti di V. s.p.a., quale gestore del servizio di igiene ambientale del Comune di Venezia, volta a ottenere la restituzione degli importi corrisposti a titolo d’IVA sulla tariffa di igiene ambientale di cui all’art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, c.d. TIA 1, da considerare non corrispettivo di servizi ma tributo e come tale non assoggettabile alla suddetta imposta indiretta;

il giudice di secondo grado rigettava il gravame osservando che la pacifica detrazione dell’IVA non dovuta, faceva venir meno il diritto al rimborso;

avverso questa decisione ricorre per cassazione la G.V., s.p.a., subentrata all’originaria attrice, formulando tre motivi;

resiste con controricorso V., s.p.a.;

le parti hanno depositato memorie;

Rilevato che

Con i primi due motivi si prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2033, 2697, cod. civ., 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, in uno all’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, poiché il Tribunale avrebbe erroneamente affermato il carattere non contestato della detrazione delle somme in discussione, violando il riparto degli oneri probatori che farebbero carico sul gestore e non sarebbero stati evasi difettando la prova dell’eccepita detrazione, e, al contempo, avrebbe omesso di vagliare la presupposta richiesta di dichiarazione d’illegittima applicazione dell’imposta sul valore aggiunto, e, altresì, infine, avrebbe erroneamente affermato che la stessa detrazione, assunta come provata, avrebbe inibito il diritto al correlativo rimborso, essendo venuta meno l’effettività del pagamento sottesa dalla domanda di ripetizione, con ciò violando i principi in tema d’indebito oggettivo;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 92, cod. proc. civ., poiché il Tribunale avrebbe erroneamente compensato le spese ritenendo un insussistente contrasto giurisprudenziale sul punto in discussione;

Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.;

Rilevato che

i primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondati per quanto di ragione, con assorbimento del terzo, nella parte in cui censurano la negata sussistenza dell’indebito, e ciò supera, in termini di ragione liquida, la connessa deduzione afferente alla prova della detrazione;

in tema di IVA, questa Corte ha chiarito che, ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, e in conformità con l’art. 17 della direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, nonché con gli artt. 167 e 63 della successiva direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006 n. 2006/112/CE, non è ammessa la detrazione dell’imposta pagata a monte per l’acquisto o l’importazione di beni o servizi – ovvero per conseguire la prestazione di servizi necessari all’impresa – per il solo fatto che tali operazioni attengano all’oggetto dell’impresa stessa e siano fatturate, poiché è, invece, indispensabile che esse siano effettivamente assoggettabili all’IVA, nella misura dovuta, sicché, ove l’operazione sia stata erroneamente assoggettata all’IVA, restano privi di fondamento il pagamento dell’imposta da parte del cedente, la rivalsa da costui effettuata nei confronti del cessionario e la detrazione da quest’ultimo operata nella sua dichiarazione IVA, con la conseguenza che il cedente ha diritto di chiedere all’amministrazione il rimborso dell’IVA, il cessionario ha diritto di chiedere al cedente la restituzione dell’IVA versata in via di rivalsa, e l’amministrazione ha il potere-dovere di escludere la detrazione dell’IVA pagata in rivalsa dalla dichiarazione IVA presentata dal cessionario (Cass., 13/06/2018, n. 15536, in cui si richiama la pregressa giurisprudenza conforme; cfr., nella numerosa giurisprudenza successiva conforme, Cass., 17/02/2019, n. 4874, Cass., 24/01/2020, n. 1642);

stante quanto sopra, non rileva neppure che l’amministrazione non abbia previamente e tempestivamente proceduto a rettifica negando la detrazione, posto che:

a) il pagamento indebito dev’essere come visto “neutralizzato” in modo circolare, coerentemente al regime dell’imposta in questione;

b) nessuna rettifica potrebbe farsi a fronte di un pagamento del tributo effettuato in ragione della rivalsa, mentre è a séguito della pronuncia qui in scrutinio che dovrà viceversa procedersi alla richiamata neutralizzazione;

l’IVA sulla c.d. TIA 1 non è dovuta trattandosi di tributo (v., da ultimo, Cass., Sez. U., 10/04/2018, n. 8822), come non più in discussione neppure tra le parti dell’odierno giudizio, sicché la pretesa restitutoria deve ritenersi “in iure” fondata;

si argomenta che il rapporto qui in questione è quello tra cedente e cessionario e non quello tra fisco e contribuente;

l’osservazione non è dirimente, poiché, come appena visto, l’erroneo assoggettamento ad IVA esclude la sussistenza di base legale per il relativo pagamento, per la rivalsa e per la detrazione, proprio in applicazione della circolarità correlata alla neutralità dell’imposta indiretta in parola, sicché non vi è all’evidenza alcun dubbio anche sulla conformità della ricostruzione alla sopra richiamata normativa comunitaria, così come sul rispetto dei principi di ragionevolezza e pari trattamento;

spese al giudice del rinvio;

P.Q.M.

Accoglie per quanto di ragione i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia perché, in altra composizione, pronunci anche sulle spese di legittimità.