CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 13390 depositata il 16 maggio 2023
Dirigente medico – Collocamento a riposo – Impugnativa e successiva reintegra in servizio – Detrazione compensi percepiti quale medico convenzionato
Rilevato che
1. con un primo ricorso al Tribunale di La Spezia G. R., dirigente medico collocato a riposo in data 1/4/2010 al compimento del 67mo anno di età, sul presupposto del mancato raggiungimento alla suddetta data dei vent’anni di contribuzione necessari per la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, agiva nei confronti della ASL n. 5 Spezzino e chiedeva che fosse ordinata a quest’ultima la sua riammissione in servizio fino al compimento del 40mo anno di servizio ai sensi dell’art. 15 nonies del d.lgs. n. 502/1992 con il conseguente pagamento delle differenze retributive medio tempore maturate;
2. il Tribunale, con sentenza n. 1 del 2012, accoglieva la domanda;
3. la suddetta decisione era stata impugnata dall’ASL;
la Corte d’appello di Genova dapprima sospendeva il giudizio avendo sollevato “questione di costituzionalità dell’art. 15 nonies d.lgs. n. 502 del 1992, in combinato disposto con l’art. 16 d. lgs. n. 503 del 1992 (norma in base alla quale il R. era stato collocato a riposo con decorrenza 1/4/2010, in virtù del raggiungimento del 67mo anno di età, avendo egli a suo tempo optato per la permanenza in servizio per un biennio oltre i 65 anni), nella parte in cui prevedono per la dirigenza sanitaria la facoltà di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge n. 421 del 1992, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti, e cioè fino al sessantasettesimo anno d’età e non la facoltà di permanere in servizio, su istanza dell’interessato, fino al maturare del quarantesimo anno di età di servizio effettivo”, con il limite di permanenza del settantesimo anno di età e l’altro di non dar luogo ad un aumento del numero dei dirigenti”, in riferimento agli artt. 38, comma e 3, comma 1, Cost.;
quindi, avendo la Corte Costituzionale accolto la questione di legittimità sollevata, la Corte territoriale, con sentenza n. 374 depositata il 28/6/2013, riduceva gli importi riconosciuti a R. dal tribunale di quanto da lui percepito come medico convenzionato dal Comune di Aulla dal 30 giugno 2010 al 31 gennaio 2011;
4. questa Corte con sentenza n. 21240 del 2014 confermava l’indicata decisione;
5. nelle more della pronuncia di secondo grado il R. agiva in via monitoria contro l’ASL, con ricorso depositato il 17/7/2012, sulla base della citata sentenza del Tribunale di La Spezia n. 1/2012;
6. il Tribunale disponeva in conformità e condannava l’ASL al pagamento in favore del R. della somma di euro 127.019,23;
l’importo era ridotto in sede di opposizione ad euro 111.893,71, sempre per retribuzioni da luglio 2010 a maggio 2012 oltre accessori di legge;
l’Azienda impugnava tale decisione sostenendo che, sulla base della pronuncia della Cassazione sopra indicata, andava detratto l’aliunde perceptum;
7. la Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 260/2016, disposta c.t.u. contabile, quantificava l’aliunde perceptum in misura pari a euro 34.624,42 e, pertanto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, dichiara dovuta al R. la minor somma di euro 77.269,29;
evidenziava la Corte territoriale che statuizione contenuta nella precedente sentenza della stessa Corte n. 374/2013 – secondo la quale le somme erogate al R., in relazione all’attività di medico convenzionato, dovevano essere detratte dall’importo complessivamente allo stesso dovuto dalla ASL in relazione al diritto del R. di permanere in servizio dall’1/4/2010 all’8 febbraio 2013 – costituiva cosa giudicata e non poteva più essere modificata;
riteneva che non fosse necessario distinguere le varie voci retributive che compongono il compenso erogato dalla ASL all’appellato, giacché ciò che contava era unicamente la riconducibilità di detto compenso al suo rapporto di medico convenzionato mentre ogni questione afferente all’eventuale scomputo di altre somme avrebbe dovuto essere formulata nell’ambito del giudizio ormai definito con sentenza passata in giudicato;
8. avverso tale sentenza G. R. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi;
9. l’Azienda Sanitaria ha resistito con controricorso successivamente illustrato da memoria.
Considerato che
1. con il primo motivo (che non contiene una rubrica né l’espressa indicazione delle norme violate) il ricorrente evidenzia la contraddittorietà del ragionamento operato dalla Corte di merito laddove questa dichiara di aderire alle conclusioni del c.t.u., quando lo stesso si era limitato a non svolgere alcuna considerazione in merito all’individuazione delle voci retributive ritenendo che ciò costituisse oggetto di valutazione da parte del giudice;
2. il motivo è inammissibile;
innanzitutto, l’inammissibilità deriva dal disposto dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ. che prevede, a pena di inammissibilità, che il ricorso debba contenere “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall’articolo 366 bis”; è pur vero che il precetto contenuto nell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non comporta l’adozione di formule particolari, tuttavia è necessario che l’individuazione dei testi legislativi e dei principi di diritto possa cogliersi, anche implicitamente, dall’esposizione delle censure; ma anche sotto questo profilo il contenuto del motivo non offre utili elementi di comprensione; ed infatti il motivo si sostanzia in una parte in cui è trascritto un passaggio della pagina 3 della c.t.u. e in una parte in cui, senza alcun riferimento normativo, si rileva la contraddittorietà del ragionamento della Corte territoriale che a tale c.t.u. ha aderito senza considerare che lo stesso ausiliare aveva evidenziato che non era possibile determinare la natura esatta del compenso erogato dalla ASL in quanto composto da numerose voci retributive; in ogni caso, anche a voler ritenere che si sia inteso denunciare un vizio motivazionale ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., va ricordato quanto da questa Corte anche di recente ribadito (cfr. ex multis Cass. 3 marzo 2022, n. 7090) e cioè in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni non conciliabili fra loro, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; nella specie, la Corte territoriale, lungi dall’incorrere in un vizio di tal genere, ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto superfluo distinguere le varie voci retributive che compongono il compenso erogato dalla ASL all’appellato “giacché ciò che conta è la riconducibilità del compenso al suo rapporto di medico convenzionato”;
3. con il secondo motivo il ricorrente (anche in questo caso senza una rubrica contenente l’espressa indicazione delle norme violate) denuncia l’errore commesso nella sentenza impugnata nell’interpretazione del giudicato di cui alla sentenza n. 374/2013;
assume che tale giudicato dovesse interpretarsi in armonia con l’art. 8 lett. m) del d.lgs. 502/92 e con l’art. 18 ACN dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti di medicina generale;
sostiene che restava impregiudicata la specificazione del dovuto;
4. anche tale motivo è innanzitutto inammissibile per le ragioni evidenziate con riguardo al motivo che precede;
la Corte territoriale, in ottemperanza al giudicato di cui a Cass. n. 21234/2014 (che ha confermato la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 374/2013 la quale, a sua volta, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di La Spezia n. 1 del 2012, aveva ridotto gli importi riconosciuti al R. di quanto da lui percepito come medico convenzionato dal Comune di Aulla dal 30 giugno 2010 al 31 gennaio 2011), ha ritenuto che dovesse essere detratto tutto quanto percepito al suddetto titolo;
alla luce dell’indicato giudicato, dunque, nessuna distinzione andava operata ma tutti i compensi percepiti quale medico convenzionato andavano detratti in quanto relativi ad un incarico incompatibile con il rapporto dirigenziale di pubblico impiego intrattenuto con la ASL;
la critica del ricorrente appare poco comprensibile ed anche il riferimento all’art. 8 del d.lgs. n. 502/1992 ed all’art. 18 dell’ACN non spiega, al di là della riproduzione di tali disposizioni, in che termini le stesse, a fronte dell’indicato giudicato, avrebbero potuto condurre ad una diversa valutazione;
5. da quanto detto consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
6. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
7. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello prescritto per il ricorso, ove dovuto a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’ASL controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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