Corte di Cassazione, ordinanza n. 13600 depositata il 17 maggio 2023
cancellazione – registro delle imprese – estinzione – soci – successione – crediti – bilancio di liquidazione – remissione del credito – mere pretese creditorie – rinuncia del credito – remissione del debito – cancellazione d’ufficio della società – non determina anche l’estinzione della pretesa azionata – successione dei soci nel credito della società
FATTI DI CAUSA
1. ― Con sentenza della Corte di appello di Bologna del 27 ottobre 2014 Banca Antonveneta s.p.a. è stata condannata al risarcimento dei danni, liquidati in ragione di complessivi euro 38.400,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, in favore di B.G. e B.G. I. s.r.l. in liquidazione. La pronuncia è stata confermata in sede di legittimità; peraltro, a seguito della proposizione del ricorso per cassazione, la nominata società è stata cancellata d’ufficio del registro delle imprese a norma dell’art. 2490 c.c. per mancata presentazione dei bilanci.
Sulla base del titolo esecutivo costituito dalla sentenza del 2014 B.G. e T.G. ─ quest’ultimo in qualità di socio al 50% della estinta B.G. I. ─ hanno notificato a Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., subentrata nella posizione già facente capo a Banca Antonveneta, due distinti atti di precetto per il pagamento delle somme liquidate in favore della società e di B.G. in proprio.
La banca ha reagito al precetto proponendo due opposizioni ex art. 615, comma 1, c.p.c.; dopo l’avvio dell’azione esecutiva ha spiegato pure opposizione all’esecuzione. Il giudizio di merito introdotto a seguito del rigetto dell’istanza di sospensione del procedimento esecutivo si è concluso con la sentenza del Tribunale di Bologna, qui impugnata, con cui è stata rigettata l’opposizione all’esecuzione.
Il Tribunale, dopo aver osservato che il credito di BG I. risultava essere certo, osservando ― in proposito ― che «la certezza non coincide con l’inoppugnabilità della sentenza e con la definitività dell’accertamento, che consegue solo al passaggio in giudicato della sentenza, poiché anche le sentenze non ancora passate in giudicato possono costituire titolo esecutivo», ha escluso che la cancellazione della società del registro delle imprese avesse assunto una «connotazione abdicativa» reputando, per contro, «che nel credito della società [fossero] succeduti i soci in misura paritaria indivisa». Ha dunque affermato che in ragione del comportamento processuale della società e del suo liquidatore la presunzione di rinuncia del credito fatto valere in giudizio doveva ritenersi superata.
2. ― La pronuncia è stata impugnata dalla banca soccombente avanti alla Corte di appello di Bologna, la quale ha dichiarato inammissibile il gravame a norma dell’art. 348 bis p.c..
3. ― La decisione di primo grado è stata quindi fatta oggetto di un ricorso per cassazione di Banca Monte dei Paschi di Siena articolato in due motivi illustrati da memoria. A detto ricorso resistono, con controricorso, B.G. e T.G.. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. ― Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.. Assume l’istante che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, il credito di BG I. al momento della cancellazione di detta società del Registro delle imprese, non era certo: ciò in quanto pendeva il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna che aveva pronunciato la condanna nei confronti della banca.
Il secondo mezzo di censura denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2490 e 2495 c.c.. Chi impugna rileva che le mere pretese creditorie, ancorché azionate o azionabili in giudizio, non si trasferiscono ai soci; osserva, inoltre, che «nella cancellazione d’ufficio vale lo stesso principio di abdicazione alle pretese e ai diritti incerti, così come nella cancellazione volontaria» e che il mancato deposito del bilancio di liquidazione per tre anni consecutivi, da cui discende la cancellazione della società, è espressione del disinteresse degli organi societari che giustifica l’adozione di tale misura.
2. ― I due motivi di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati.
Come insegnato dalle Sezioni Unite di questa Corte, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (Cass. Sez. U. 12 marzo 2013, nn. 6070 e 6071).
Parte ricorrente attribuisce rilievo dirimente al dato dell’intervenuta cancellazione della società B.G. I. dal registro delle imprese in epoca anteriore al passaggio in giudicato della sentenza della Corte di appello di Bologna del 27 ottobre 2014 (con cui è stata resa la condanna al pagamento poi azionata in via esecutiva).
L’affermazione è però frutto di una equivoca lettura dell’arresto delle Sezioni Unite: non può difatti sostenersi che, alla stregua della richiamata giurisprudenza, la cancellazione della società (e segnatamente quella disposta d’ufficio, in ragione dell’omesso deposito del bilancio in fase di liquidazione per oltre tre anni consecutivi) implichi, di per sé, il mancato trasferimento del diritto di credito vantato dalla società (ancora sub iudice) in capo ai soci. E’ da rammentare, infatti, che, una volta estinta la società, i diritti della medesima vantati, non liquidati nel bilancio finale di liquidazione, transitano nella titolarità dei soci (cfr. Cass. 2 maggio 2020, n. 9464, in motivazione, ove si ricorda come questa sia la portata decisoria del principio fissato dalle Sezioni Unite, non più smentito, il quale ha ricondotto la fattispecie a un fenomeno successorio in capo ai soci). Pertanto, l’estinzione della società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta nella pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l’estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito comunicandola al debitore e sempre che quest’ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare (Cass. 2 maggio 2020, n. 9464, cit.; sulla stessa linea: Cass. 14 dicembre 2020, n. 28439 e Cass. 25 novembre 2021, n. 36636, secondo cui i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnata da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio possa fondarsi su altra causa, diversa dalla volontà della società di rinunciare al credito; cfr. pure Cass. 31 dicembre 2020, n. 30075, massimata nel senso che con la cancellazione della società dal registro delle imprese non può ritenersi automaticamente rinunciato il credito controverso, atteso che la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, salva la remissione del debito ai sensi dell’art. 1236 c.c., che deve essere allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere, dimostrando tutti i presupposti della fattispecie, ossia la inequivoca volontà remissoria e la destinazione della dichiarazione ad uno specifico creditore).
Tale principio vale, a maggior ragione, con riguardo alla fattispecie, che qui ricorre, della cancellazione d’ufficio di cui all’art. 2490, ultimo comma, c.c. (Cass. 31 dicembre 2020, n. 30075, cit.); né potrebbe affermarsi che il mero omesso deposito del bilancio in fase di liquidazione per oltre tre anni consecutivi, da cui consegue la detta cancellazione d’ufficio, integri una presunzione di rinuncia al credito di cui la società è titolare e che tale evenienza sia qualificabile come negozio di remissione del debito (Cass. 18 maggio 2021, n. 13534).
In assenza di prova di alcun atto abdicativo nel senso indicato, dunque, bene ha fatto il Tribunale a disattendere la proposta opposizione.
E’ poi appena il caso di sottolineare che, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, la pendenza del giudizio vertente sul credito al momento della cancellazione della società dal registro delle imprese, e la conseguente assenza di «certezza» del medesimo (siccome non ancora oggetto di un accertamento con valore di giudicato), non precludeva la successione dei soci nel credito della società: la detta successione non è punto condizionata dalla definizione del giudizio vertente sul credito, visto che, oltretutto, ove quel giudizio sia interrotto per l’intervenuta cancellazione della società, ai soci è riconosciuta la possibilità di proseguire o riassumere il processo quali successori dell’ente, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. (per tutte: Cass. Sez. U. 12 marzo 2013, nn. 6070 e 6071, citt.).
3. ― Il ricorso è respinto.
4. ― Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
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