Corte di Cassazione ordinanza n. 15486 depositata il 16 maggio 2022
tariffa di controllo sanitario – distributori e commercianti operanti nel settore alimentare degli ortofrutticoli freschi
RITENUTO CHE:
1. con sentenza n. 95/15/15, depositata in data 8 gennaio 2015, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, sezione distaccata di Verona, accoglieva l’appello proposto dalla Azienda U.L.S.S. 20 di Verona avverso la sentenza n. 269/3/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Verona, con compensazione delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto il diniego dell’istanza di rimborso della tariffa prevista dal d. lgs. n. 198 del 2008, con riferimento alle modalità di finanziamento dei controlli sanitari ufficiali, effettuati dalle Aziende sanitarie locali per le verifiche di conformità alla normativa in materia di sicurezza alimentare, versata negli anni 2010, 2011 e 2012, dalla Leonardi n.c., azienda operante nel settore della commercializzazione e vendita all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli;
3. la CTP aveva accolto il ricorso, ritenendo esclusi dall’ambito applicativo delle disposizioni del d.lgs. n. 198 del 2008 i soggetti non produttori di alimenti; la CTR, in riforma della sentenza di primo grado, aveva accolto l’appello della Azienda U.L.S.S. 20 di Verona ritenendo soggette al pagamento della tariffa anche le imprese che vendono alimenti all’ingrosso, e non solo quelle di produzione degli alimenti, ed il decreto istitutivo dell’imposta in linea con il regolamento (CE) 882/2004;
4. avverso la sentenza di appello la società contribuente proponeva ricorso per cassazione, notificato in data 9 luglio 2015, affidato a tre motivi; l’Azienda U.L.S.S. 20 di Verona si costituiva con controricorso e depositava memoria ex 380 bis c.p.c.
CONSIDERATO CHE:
1. con il primo motivo di ricorso, la società contribuente censurava la sentenza impugnata denunciando la violazione e falsa applicazione dell’allegato A, sezione sesta, del lgs. n. 194 del 2008, per aver ritenuto applicabile il tributo oltre che agli stabilimenti produttivi, anche a chi commercializzava prodotti all’ingrosso, sebbene la ratio del sistema fosse di tutelare la sicurezza dei prodotti alimentari alla base della filiera e non nella fase della mera commercializzazione;
2. con il secondo motivo di ricorso, deduceva la violazione e falsa applicazione del 32° considerando e dell’art. 27, commi 4 e 5, del Regolamento CE n. 882 del 2004, avendo la CTR omesso di valutare che il legislatore nazionale aveva fissato forfettariamente la tariffa di visita sanitaria sulla base del solo parametro quantitativo, senza fare riferimento né al criterio del costo effettivamente sostenuto dalle autorità preposte ai controlli, né a quello della situazione specifica degli stabilimenti, entrambi imposti dalla normativa comunitaria;
3. con il terzo motivo di ricorso, deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 27, comma 5, del Regolamento CE n. 882 del 2004, in quanto la normativa nazionale nel fissare il tributo non aveva tenuto conto del tipo di azienda interessata e dei relativi fattori di rischio; degli interessi delle aziende del settore a bassa capacità produttiva; dei metodi tradizionali impiegati per la produzione, il trattamento e la distribuzione di alimenti; delle esigenze delle aziende del settore situate in regioni soggette a particolari difficoltà di ordine geografico.
OSSERVA CHE:
1. Il primo motivo di ricorso non può trovare accoglimento.
Costituisce orientamento già espresso da questa Corte, cui questo Collegio intende dare continuità, che, ai sensi dell’allegato A, sezione sesta, del d.lgs. n. 194 del 2008, sono soggetti alla tariffa di controllo sanitario anche i distributori e commercianti operanti nel settore alimentare degli ortofrutticoli freschi, deponendo in tal senso il chiaro dettato normativo che include tra i soggetti di imposta, tra gli altri, gli “Operatori del settore alimentari operanti in mercati generali e del settore ortofrutticoli freschi”. (Vedi in motivazione Sez. 5, n. 7452 e n. 12759 del 2019).
1.1 Né può ritenersi che la disciplina nazionale contrasti con il Regolamento CE n. 882 del 2004 di cui costituisce attuazione. (Vedi da ultimo 5 n. 4960 del 2021)
L’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 194 del 2008 stabilisce le modalità di finanziamento dei controlli sanitari ufficiali, disciplinati al titolo II del regolamento (CE) n. 882/2004, eseguiti dalle autorità competenti per la verifica della conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali.
Il comma 3 precisa che: “Le tariffe di cui al presente decreto, che sostituiscono qualsiasi altra tariffa prevista per i controlli sanitari di cui al comma 1, sono a carico degli operatori dei settori interessati dai controlli di cui al comma 1. ( … )”.
Ebbene, il 1° considerando del regolamento citato chiarisce che:
“I mangimi e gli alimenti devono essere sicuri e sani. La normativa comunitaria comprende una serie di norme per garantire i raggiungimento di tale obiettivo. Queste regole interessano anche la produzione e la commercializzazione dei mangimi e degli alimenti”, mentre il 4° considerando precisa che: “La normativa comunitaria in materia di mangimi e di alimenti si basa sul principio che gli operatori del settore dei mangimi e degli alimenti, in tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione nell’ambito delle aziende sotto il loro controllo sono responsabili di assicurare che i mangimi e gli alimenti soddisfino i requisiti della normativa sui mangimi e sugli alimenti aventi rilevanza per le loro attività”.
La disciplina UE in tema di tutela alimentare ha, pertanto, come destinatari tutti gli operatori del settore, individuati quali responsabili della sicurezza e sanità dei prodotti agroalimentari, sia che la loro attività abbia ad oggetto la coltivazione e produzione sia il collocamento sul mercato dei prodotti.
La previsione regolamentare impone quindi il rispetto delle norme di sicurezza non soltanto all’atto della produzione dei mangimi e degli alimenti, ma anche in sede di trasformazione e distribuzione, coinvolgendo l’intera filiera agroalimentare, dall’origine sino alla commercializzazione.
Sussistendo una diretta correlazione tra le modalità di finanziamento dei controlli sanitari di cui al d.lgs. n. 194 del 2008 e l’obbligo dello Stato, anche conseguente ai vincoli derivanti dalle suindicate disposizioni comunitarie, di organizzare controlli ufficiali e di predisporre strutture, mezzi e personale per la loro effettuazione (Vedi SU, n. 13431 del 13/06/2014 sebbene al diverso fine di affermare la giurisdizione tributaria), l’obbligo di corrispondere la tariffa in questione, in quanto direttamente collegata al costo dell’attività di vigilanza sanitaria, non può che includere tutti i soggetti sottoposti a quella vigilanza, e quindi anche il commerciante all’ingrosso.
2. Anche il secondo e terzo motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione, non meritano accoglimento.
Come da principio già affermato da questa Corte “La tariffa contenuta nella sezione 6 dell’allegato A al d.lgs. n. 194 del 2008, quantificata in modo forfetario sulla base dei costi complessivi sostenuti dall’Amministrazione per lo svolgimento delle visite di vigilanza sanitaria, con adeguamento del relativo carico alle concrete caratteristiche del singolo operatore agroalimentare, è rispettosa del parametro della tipologia di stabilimento e prodotto commercializzato previsto dall’art. 27, comma 5, del Regolamento CE n. 882 del 2004, essendo peraltro sempre consentito al soggetto passivo contestare l’importo richiestogli, sotto il profilo del diverso atteggiarsi o del sopravvenuto mutamento, nella concretezza della realtà imprenditoriale, dei parametri considerati dall’ente impositore” (Sez. 5, n. 12759 del 14/05/2019 Rv. 653862-01); del resto già da Sez. 5, n. 7452 del 15/03/2019, Rv. 653516-01, era stato ritenuto che “La tariffa contenuta nella sezione 6 dell’allegato A al d.lgs. n. 194 del 2008, istituita per coprire i costi dei controlli sanitari su mangimi e gli alimenti e posta a carico degli operatori del settore soggetti alle verifiche di conformità, è quantificata in modo forfetario, su base annua, in riferimento al tipo di azienda, avuto riguardo alla specifica attività svolta ed alle quantità dei generi ortofrutticoli gestiti da controllare, e non contrasta, pertanto, con le previsioni del Regolamento (CE) n. 822 del 2004”
In tali arresti, alle cui ampie motivazioni si rinvia, è efficacemente chiarito, sulla base dei richiami normativi, che “il tariffario nazionale tiene conto della specificità imprenditoriale dell’operatore agroalimentare interessato, attribuendo rilevanza ai parametri sia della tipologia di stabilimento e prodotto commercializzato (carne, latte e derivati, uova, acque minerali, ortofrutta ecc… ) sia della dimensione quantitativa dell’attività svolta all’ingrosso (“fasce produttive” in tonnellate annue), e che in conformità al diritto dell’Unione la normativa nazionale, di cui all’allegato A, sezione sesta, del d.lgs. n. 194 del 2008, ha determinato il tributo de quo in misura forfettaria, alla luce dei costi complessivi affrontati dall’amministrazione in generale per compiere i controlli in esame, e dei parametri connessi alle tipologie delle aziende interessate.
3. Il ricorso, pertanto, va rigettato.
3.1. Stante il consolidarsi in corso di causa del condiviso indirizzo interpretativo di legittimità, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese di lite.
3.2 Trattandosi di giudizio notificato dopo il 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art,1, comma 17 della I. n. 228 del 2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso; compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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