Corte di Cassazione ordinanza n. 15533 depositata il 21 luglio 2020
elusione – abuso del diritto – sanzioni – accertamento
Rilevato che:
con la sentenza impugnata è stata parzialmente confermata la pronuncia della Commissione Tributaria provinciale di Salerno, con la quale – in relazione all’impugnativa proposta dalla C. s.r.l. avverso l’avviso (n. REQ030101517) con cui, con riferimento all’anno 2003, era stato determinato un reddito di impresa di € 22.915.324,00, nonché il valore della produzione netta di € 24.131.353,00, derivanti dal disconoscimento di una minusvalenza di € 22.480.000,00, conseguente al compimento di operazioni ritenute elusive realizzate in violazione dell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, con conseguente accertamento di maggiori imposte (di € 7.643.199,00 a titolo di IRPEG, di € 955.400,00 a titolo di IRAP e di € 796.000,00 a titolo di IVA) ed applicazione di sanzioni, nonché contestata una indebita emissione di due note di credito nei confronti di due diverse società – era stato confermato il predetto avviso ad eccezione della parte contenente l’applicazione delle predette sanzioni;
in particolare, con la sentenza impugnata, in difformità da quella di primo grado, sono state dichiarate dovute l’IVA e le sanzioni, da ragguagliare all’imposta evasa di € 727.685,45 (e non di 796.000,00, come originariamente contestato);
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a quattro motivi;
la C. s.r.l. è rimasta intimata.
Considerato che:
con il primo motivo, l’Agenzia delle Entrate – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 62, comma 1, del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – si duole che il giudice di appello abbia reso una statuizione – i.e.: «va riconosciuta, ugualmente, la inapplicabilità delle sanzioni previste dagli artt. 1, 5 e 6 del d.lgs. 471/97» – priva di motivazione, nonché contenente riferimenti normativi inappropriati, avendo l’Ufficio applicato le sanzioni per infedele dichiarazione ai fini IRPEG ed IRAP, ossia in violazione dell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 471 del 1997;
con il secondo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5 e 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, in relazione all’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. e dell’art. 62, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – lamenta che il predetto giudice abbia ritenuto la non applicabilità delle sanzioni in presenza di operazioni elusive;
con il terzo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ed all’art. 62, comma 1, del predetto d.lgs. n. 546 del 1992 – si duole che la CTR abbia (ipoteticamente) disapplicato le sanzioni per l’asserita condizione di incertezza – in realtà non sussistente – circa la portata e l’ambito di applicazione della normativa di riferimento;
con il quarto motivo – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e degli artt. 5 e 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ed all’art. 62, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 – lamenta che la predetta CTR abbia proceduto alla riduzione dell’IVA da recuperare, con conseguente abbattimento delle relative sanzioni, sul presupposto che le fatture emesse dalla società per l’esecuzione dei lavori, a tutto il 31 dicembre 2003, ammontassero a complessivi € 6.229.472,33, a fronte di lavori contabilizzati nei S.A.L. per complessivi € 5.799.084,46, il che avrebbe legittimato l’emissione di una nota di credito per un importo pari alla differenza tra i lavori fatturati e quelli contabilizzati;
il primo motivo è infondato, attesa la esistenza di una motivazione – pur sintetica e non inficiata dall’erroneità del riferimento normativo menzionato -, del resto esattamente percepita, nella sua portata, dalla ricorrente, per come si desume dal contenuto del successivo motivo dalla medesima formulato;
il secondo motivo è peraltro fondato (con conseguente assorbimento del terzo), poiché «In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che trova fondamento nell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo il quale l’Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 471 del 1997, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l’applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell’esito dell’accertamento volto a contrastare il fenomeno dell’abuso del diritto» (così, tra le altre, Cass. 31/12/2019, n. 34750);
è altresì fondato il quarto motivo, in quanto, come esattamente rilevato in ricorso, nessuna norma consente di emettere note di credito nel caso in cui siano rilasciate fatture di acconto in misura superiore all’ammontare dei lavori effettivamente eseguiti o contabilizzati;
in accoglimento del secondo e quarto motivo ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla C.T.R. della Campania, Sezione 3 staccata di Salerno, in diversa composizione, per un nuovo esame ed anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo (assorbito il terzo) ed il quarto; cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti e rinvia alta C.T.R. della Campania, Sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.