Corte di Cassazione ordinanza n. 18300 depositata il 7 giugno 2022
Imposta di registro – ai fini dell’interpretazione degli atti registrati
RILEVATO CHE
-l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, propone ricorso, affidato a un motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva rigettato l’appello proposto nei confronti di H.C. and Foods CO.Ltd., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 1556/34/2019 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma di accoglimento del ricorso avverso avviso n. 2016/0RAOOl 12 di rettifica e liquidazione di imposta di registro con riguardo ad un atto di cessione totalitaria di quote societarie stipulato il 5.9.2014, reg. il 12.9. 2014, riqualificato dall’Ufficio, come cessione di azienda;
– la CTR, per quanto di interesse, ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione in quanto l’Ufficio, nel riqualificare l’operazione, avrebbe fatto riferimento anche ad elementi extratestuali, supponendo un intento elusivo nell’evidenziare che “interesse delle parti contraenti risulta[va] quello di dissimulare l’avvenuta cessione di azienda”;
– la contribuente resiste con controricorso;
-sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis
cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
-la contribuente ha depositato memoria;
CONSIDERATO CHE
-con l’unico motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 20 del d.P.R. n. 131/1986, 1362, 2727, 2729 e 2967 e.e. per avere la CTR erroneamente ritenuto illegittimo l’avviso di rettifica e liquidazione in questione, in quanto l’Ufficio, nell’operare la riqualificazione dell’operazione come cessione di azienda, avrebbe fatto riferimento ad elementi extratestuali, supponendo, peraltro, l’intento elusivo della società contribuente;
– in dissonanza con la proposta del relatore (Cass., sez. un., U, Ordinanza n. 8999 del 16/04/2009; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 27305 del 07/10/2021), il motivo è infondato;
-nella specie, con l’avviso di liquidazione in questione, l’Ufficio riferendosi all’atto stipulato in data 5.9.2014, registrato il 12.9.2014, di cessione totalitaria delle quote della società Palazzo del F.G. s.r.l. alla H.C. and Foods CO.Ltd riqualificava l’operazione, risultando l’interesse delle parti “quello di dissimulare l’avvenuta cessione d’azienda” e applicando conseguentemente l’imposta di registro proporzionale in luogo di quella assolta in misura fissa sull’atto di vendita di quote;
– occorre rilevare che l’art. 20, P.R. n. 131 del 1986, prevede, nella versione applicabile al caso in esame ratione temporis, che «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente». Tale disposizione è stata costantemente interpretata nel senso che, ai fini dell’interpretazione degli atti registrati, essa attribuisce prevalenza alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici degli stessi sul loro titolo e sulla loro forma apparente, vincolando l’interprete a privilegiare il dato giuridico reale dell’effettiva causa concreta dell’operazione economica rispetto al tipo negoziale cui le parti hanno fatto ricorso e che, a tal fine, i concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria ed è possibile valutare circostanze ed elementi di fatto diversi da quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali e, in particolare, anche di elementi desumibili da atti eventualmente collegati (cfr. Cass. 30 maggio 2018, n. 13610; Cass., ord., 20 marzo 2018, n. 7637; Cass., ord., 28 dicembre 2017, n. 31069);
-solamente in alcune decisioni è stato affermato che l’Amministrazione finanziaria, pur non essendo tenuta a conformarsi alla qualificazione attribuita dalle parti al contratto, non può travalicare lo schema negoziale tipico in cui l’atto risulta inquadrabile, salva la prova, da parte sua, sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione ed alterazione degli schemi negoziali classici (cfr. Cass., ord., 15 gennaio 2020, n. 722; Cass. 27 gennaio 2017, n. 2954);
-tale disposizione è stata modificata dall’art. 1, comma 87, lett. a), l. n. 205 del 2017, per effetto del quale la nuova formulazione della norma è nel senso che «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi»;
-dall’esame letterale del nuovo articolato normativo appare evidente che, fermo restando il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo ha significativamente ristretto l’oggetto della interpretazione negoziale al solo atto e agli elementi solo da questo desumibili, non rilevando più gli elementi evincibili da atti eventualmente collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali (così, Cass., ord., 23 settembre 2019, n. 23549). La nuova disposizione legislativa è stata inizialmente interpretata nel senso che non esplicasse, in mancanza di espressa previsione, effetto retroattivo, in quanto priva dei connotati della legge interpretativa, poiché, da un lato, introdurrebbe limiti all’attività di riqualificazione giuridica della fattispecie in assenza non previsti e, da un altro, non sussisterebbe sulla portata della disposizione un contrasto giurisprudenziale, sicché la nuova disciplina trova applicazione soltanto per gli atti stipulati successivamente alla data in vigore della stessa, ovvero al 10 gennaio 2018 (così, Cass. 23 febbraio 2018, n. 4407; Cass. 26 gennaio 2018, n. 2207);
-in proposito, tuttavia, è intervenuto l’art. 1, comma, 1084, I. 30 dicembre 2018, n. 145, il quale ha stabilito che «L’articolo 1, comma 87, lettera a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’articolo 20, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131». Con tale disposizione, dunque, il legislatore ha palesato la volontà di attribuire portata retroattiva alla formulazione dell’art. 20, quale effetto riconducibile alla norma di interpretazione autentica e alla sua natura prettamente dichiarativa (cfr. Cass., ord., n. 23549/19);
-la Corte Costituzionale, con sentenza n. 158 del 21 luglio 2020, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 87, l.n. 205 del 2017 e 1, comma 1084, l.n. 145 del 2018, sollevata da questa Corte in relazione agli artt. 3 e 53 Cost. Ha, sul punto, premesso che l’interpretazione evolutiva, cui la giurisprudenza della Corte di cassazione è pervenuta circa la rilevanza della causa concreta del negozio ai fini della tassazione di registro, non equivale a priori a un’interpretazione costituzionalmente necessitata, come invece ritenuto dal rimettente. Ha, quindi, osservato che l’esclusione dalla rilevanza interpretativa degli elementi extratestuali e degli atti collegati, disposta dal legislatore con i menzionati interventi normativi del 2017 e 2018, non si pone in contrasto con i parametri invocati;
-infatti, «il legislatore, con la denunciata norma ha inteso, attraverso un esercizio non manifestamente arbitrario della propria discrezionalità, riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal testo unico», salvaguardando «la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico»;
-ha aggiunto che gli evocati parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost. non si oppongono in modo assoluto a una diversa concretizzazione da parte legislatore dei principi di capacità contributiva e, conseguentemente, di eguaglianza tributaria, che sia diretta (come stabilito dalla norma censurata) a identificare i presupposti impostivi nei soli effetti giuridici desumibili dal negozio contenuto nell’atto presentato per la registrazione, senza alcun rilievo di elementi tratti aliunde, «salvo quanto disposto dagli articoli successivi» dello stesso testo unico. Ha, da ultimo, evidenziato che l’interpretazione evolutiva dell’art. 20, incentrata sulla nozione di causa reale, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, in quanto «consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di indebiti vantaggi fiscali e di operazioni prive di sostanza economica, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale», pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea;
-ciò non toglie che eventuali condotte di sottrazione all’imposizione di effettiva ricchezza imponibile possa rilevare sotto il profilo dell’abuso del diritto, alla cui repressione, tuttavia, non è funzionale la disposizione di cui all’art. 20, d.P.R. n. 131 del 1986;
-con sentenza n. 39 del 16 marzo 2021, la Corte costituzionale ha poi rigettato anche la questione di legittimità costituzionale, in rapporto agli artt. 53 e 3 Cost., dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, come risultante dall’intervento apportato dall’art. 1, comma 87, l. n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018), sollevata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna, con ordinanza del 13 novembre 2019, in cui si censurava in particolare il profilo della retroattività della norma di interpretazione autentica. La Corte ha escluso che potesse considerarsi irragionevole attribuire efficacia retroattiva a un intervento che, come quello descritto, aveva assunto un carattere di sistema; senza ritenere necessario stabilire se la presa di posizione del legislatore del 2017 avesse o meno esplicitato una delle possibili variabili di senso ascrivibili alla precedente formulazione dell’art. 20, ha rilevato “che tale intervento ha certamente fissato uno dei contenuti normativi riconducibili, più che all’ambito semantico di una singola disposizione, a quello dell’intero «impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell’imposta di registro», dove la sua origine storica di “imposta d’atto” «non risulta superata dal legislatore positivo» (sentenza n. 158 del 2020).” Ha infine escluso che alla suddetta conclusione potesse opporsi quanto dedotto dal rimettente in ordine alla «certezza del diritto» che, prima dell’intervento del 2017, «poteva dirsi raggiunta alla luce della uniforme applicazione dell’art. 20 tur (vecchio testo) da parte della giurisprudenza di legittimità», innanzitutto in quanto tale interpretazione non era del tutto unanime nella stessa giurisprudenza di legittimità, come già rilevato nella sentenza n. 158 del 2020, e comunque era stata fortemente avversata dalla dottrina, e poi perché “la legittimità di un intervento che attribuisce forza retroattiva a una genuina norma di sistema non è contestabile nemmeno quando esso sia determinato dall’intento di rimediare a un’opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore (sentenza n. 402 del 1993)”;
-tanto premesso, sulla scia dell’autorevole interpretazione offerta dal Giudice delle leggi, all’esito della riscrittura dell’art. 20 cit., questa Corte ha affermato che “in tema di imposta di registro, l’art. 20 del
d.P.R. n. 131 del 1986 – nella formulazione successiva alla l. n. 205 del 2017 cui, ai sensi dell’art. 1, comma 1084, della l. n. 145 del 2018, va riconosciuta efficacia retroattiva (norme ritenute esenti da profili di illegittimità dalla Corte costituzionale, rispettivamente, con sentenze n. 158 del 21 luglio 2020 e n. 39 del 16 marzo 2021) – deve essere inteso nel senso che l’Amministrazione finanziaria, nell’attività di qualificazione degli atti negoziali, deve attenersi alla natura intrinseca ed agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extra-testuali e gli atti, pur collegati, ma privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto medesimo, salve le diverse ipotesi espressamente regolate. (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2677 del 28/01/2022; Sez. 5 n. 9065 del 01/04/2021; nello stesso senso Sez. 5 n. 10688 del 22/04/2021);
-nella specie, la CTR si è attenuta al suddetto principio nel ritenere illegittimo l’avviso in questione, avendo l’Agenzia delle entrate – non facendo corretta applicazione del richiamato criterio interpretativo – riqualificato l’operazione, da un lato, facendo riferimento anche ad elementi extratestuali (“l’Ufficio attribuisce rilevanza alla causa reale e alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguiti dalle parti contraenti, anche se posti in essere attraverso pattuizioni non necessariamente contestuali, avendo valore preminente l’unitarietà dell’operazione” pag.3 della sentenza impugnata) e, dall’altro, supponendo un intento elusivo nell’evidenziare che “interesse delle parti contraenti risulta[va] quello di dissimulare l’avvenuta cessione di azienda” senza indicare i motivi all’interno dell’atto sottoposto a tassazione idonei a giustificare la riqualificazione effettuata;
-in conclusione, il ricorso va rigettato;
-rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass., Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714);
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 7.300,00, euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
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