CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 19453 depositata il 10 luglio 2023

Tributi – Rideterminazione dei diritti doganali – Importazioni di merci – Art. 181bis, par. 2, Regolamento CEE n. 2454/1993 – Preavviso di rideterminazione – Attivazione del contraddittorio preventivo – Tutela anticipata nei confronti di atti non impositivi – Mancato accertamento del valore di una merce – Accoglimento

Rilevato che

dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: la società (…) s.p.a. aveva proposto ricorso avverso l’atto di rideterminazione dei diritti doganali in relazione alla dichiarazione di importazioni di merci, avendo l’Agenzia delle Dogane, dopo l’attivazione del contraddittorio preventivo di cui all’art. 181bis, comma 2, Reg. Cee, n. 2454 del 1993, ritenuto non corretto il valore dichiarato in dogana; la Commissione tributaria provinciale di Genova aveva accolto il ricorso; l’Agenzia delle Dogane aveva quindi proposto appello;

la Commissione tributaria regionale della Liguria ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’atto impugnato, consistente non solo nell’avviso di rideterminazione del dazio ma anche nella allegata tabella, era impugnabile; era generica la voce doganale applicata dall’amministrazione doganale che non corrispondeva alla realtà della merce che, invece, riguardava prodotti differenti; nessuna contestazione era stata effettuata dall’amministrazione doganale per prodotti similari per diverse annualità; l’amministrazione doganale non aveva tenuto in debito conto la documentazione prodotta dalla parte;

avverso la suddetta pronuncia l’Agenzia delle Dogane ha quindi proposto ricorso per la cassazione affidato a quattro motivi di censura, cui ha resistito la società depositando controricorso, illustrato con successiva memoria;

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 132 c.p.c., nonché per violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19 e dell’art. 100 c.p.c., per avere erroneamente ritenuto che il preavviso di rideterminazione del valore della merce, emesso ai sensi dell’art. 181bis, DAC, era un atto definitivo contenente una pretesa e quindi impugnabile;

evidenzia parte ricorrente che l’atto impugnato era una nota con la quale l’Ufficio Antifrode delle Dogane, ai sensi dell’art. 181bis, cit., aveva reso noto alla società le ragioni della rideterminazione del valore della merce presentata in dogana, mentre l’avviso di accertamento era stato successivamente notificato con atto separato, sicché era stato impugnato un mero atto endoprocedimentale non avente caratteri di pretesa impositiva;

il motivo è fondato;

preliminarmente, va disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del motivo di ricorso prospettata con la memoria;

nonostante la non riferibilità della prima parte della rubrica al contenuto del motivo ed il non corretto richiamo alla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), riferibile solo ad una ragione di censura per error in procedendo, quel che con il presente motivo si intende censurare, tenuto conto del suo contenuto e del successivo riferimento alla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per violazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19 è, in sostanza, la non correttezza della statuizione del giudice del gravame in ordine ritenuta ammissibilità del ricorso originario, posto che lo stesso sarebbe stato proposto avverso un atto non avente contenuto impositivo;

il giudice del gravame ha ritenuto che l’atto avverso il quale era stata proposta l’impugnazione conteneva una pretesa fiscale e, per tale ragione, ha ritenuto di condividere quanto già affermato dal giudice di primo grado che, secondo quanto riportato in sentenza, era relativo ad un avviso di rideterminazione dei dazi al quale era stata allegata la tabella in base alla quale erano stati fissati i diritti doganali dovuti dalla società (vd. anche riproduzione della sentenza di primo grado contenuta nel controricorso, pag. 8);

l’art. 181bis, par. 2, Regolamento CEE n. 2454/1993, prevede che: “Le autorità doganali, in presenza dei dubbi di cui al paragrafo 1, possono richiedere che siano fornite delle informazioni complementari tenuto conto di quanto stabilito all’art. 178, paragrafo 4. Se tali dubbi dovessero persistere, le autorità doganali, prima di adottare una decisione definitiva, sono tenute ad informare la persona interessata, per iscritto a sua richiesta, dei motivi sui quali questi dubbi sono fondati, concedendole una ragionevole possibilità di rispondere adeguatamente. La decisione definitiva con la relativa motivazione è comunicata alla persona interessata per iscritto”;

secondo l’art. 5, par. 1, punto 39, CDU, è da considerarsi decisione: “qualsiasi atto delle autorità doganali, relativo alla normativa doganale, che deliberi su un caso particolare e che abbia effetti giuridici sulla o sulle persone interessate”;

evidenzia parte ricorrente che l’atto impugnato era stato emesso a seguito dell’attivazione del contraddittorio di cui all’art. 181bis, Reg. Cee n. 2454/1993 e che, con lo stesso, erano state comunicate alla società le conclusioni dell’attività istruttoria ed all’ufficio doganale competente la necessità di procedere ad emettere il successivo atto impositivo per la rideterminazione del valore;

quel che rileva, ai fini della definizione della questione, è il fatto che l’atto notificato alla società è stato reso nell’ambito del procedimento istruttorio endoprocedimentale ed a conclusione dello stesso, cui doveva necessariamente conseguire l’emissione del successivo provvedimento di liquidazione contenente la pretesa impositiva;

va quindi osservato, in generale, che va riconosciuta l’impugnabilità dinanzi al giudice tributario di tutti gli atti del procedimento di imposizione tributaria unitamente all’atto che tale procedimento conclude e che tale estensione al controllo della regolarità di tutte le fasi del procedimento di imposizione fiscale unitamente all’atto conclusivo comporta, a contrario, l’applicabilità agli atti fiscali “istruttori” del principio della non autonoma ed immediata impugnabilità proprio in quanto aventi carattere infraprocedimentale, sicché la loro impugnabilità è strettamente correlata all’impugnazione del successivo atto impositivo conclusivo del procedimento;

l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19 pur suscettibile di interpretazione estensiva, in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento dell’amministrazione (Cost., artt. 24, 53 e 97 si riferisce, in ogni caso, sempre ad atti dell’amministrazione finanziaria che, pur non rivestendo l’aspetto formale proprio di uno di quelli dichiarati espressamente impugnabili, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, suscitandone l’interesse a chiedere il controllo di legittimità in sede giurisdizionale o comunque costituiscano pur sempre, sia pure indirettamente, a differenza dell’atto istruttorio, espressione del potere impositivo;

la struttura impugnatoria estesa anche al rapporto obbligatorio che caratterizza il giudizio tributario, non può conciliarsi con l’azione di accertamento negativo puro della pretesa impositiva (Cass., sez. un., 23 dicembre 2009, n. 27209, che qualifica come “improponibile” la domanda di accertamento negativo), laddove si consideri che la sentenza emessa in “via anticipata” sul rapporto, se e nella misura in cui venga ad essere definito nei suoi tratti salienti nell’atto tributario atipico, non esonererebbe l’amministrazione finanziaria (ove vittoriosa) a dare ulteriore seguito alla procedura amministrativa emettendo l’atto impositivo tipico, in ipotesi fondando la pretesa anche su ragioni nuove o diverse da quelle oggetto del giudizio di accertamento ovvero non impedirebbe alla Amministrazione finanziaria, qualora soccombente, di esercitare successivamente la potestà impositiva, integrando le lacune eventualmente rilevate nel giudizio di accertamento negativo, relative alla indicazione dei presupposti di fatto od emendando le eventuali insufficienze delle ragioni di diritto;

ne segue che (Cass. civ., 13 settembre 2013, n. 20947), l’ipotizzata tutela “anticipata” nei confronti di atti non impositivi, qual è quello con il quale si rendono noti al contribuente gli esiti dell’attività istruttoria, non è funzionale ad assolvere ad effettive esigenze di difesa e di efficienza amministrativa, che potrebbero ricevere adeguata e piena soddisfazione mediante un serio contraddittorio nella sede amministrativa stragiudiziale, venendo piuttosto ad innescare ulteriori, e non necessarie, occasioni di conflitto che non esiteranno a riproporsi nella successiva e pertinente sede della impugnazione del provvedimento impositivo tipico notificato al contribuente;

ne consegue che l’atto conclusivo dell’attività istruttoria in materia doganale, in quanto atto di mera partecipazione volto a portare a conoscenza del contribuente gli esiti del controllo deve qualificarsi come mero atto rappresentativo, “in via anticipata”, della volontà impositiva della Amministrazione che dovrà, quindi, successivamente, essere manifestata in forma tipizzata mediante adozione di uno dei provvedimenti impositivi indicati nell’elenco tassativo del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 19;

pertanto, deve escludersi la stessa impugnabilità del suddetto atto che verrebbe altrimenti a risolversi in un’azione di accertamento negativo improponibile nel giudizio tributario;

deve, quindi, affermarsi il seguente principio di diritto: “In materia doganale, l’atto conclusivo dell’attività istruttoria di cui all’art. 181bis, par. 2, Reg. Cee n. 2454/1993, avendo unicamente la funzione di mettere a conoscenza il contribuente circa gli esiti della suddetta attività ed al quale consegue l’eventuale successiva adozione dell’atto impositivo, non ha natura di atto idoneo a produrre effetti giuridici nella sfera persone del medesimo contribuente e, pertanto, non è autonomamente impugnabile”;

sotto tale profilo, non possono essere ritenute corrette le considerazioni espresse dalla controricorrente, anche in memoria, in ordine al fatto che aveva provveduto ad impugnare “in via diretta” la suddetta comunicazione e, comunque, aveva allegato il successivo atto impositivo e che, per mero errore materiale nel corpo dell’atto era stato individuato solo l’atto prodromico;

la stessa controricorrente evidenzia, in memoria, quali erano state le conclusioni del ricorso introduttivo: “avviso di rideterminazione dei diritti doganali prot. 40929RU del 10/11/2015 notificato alla ricorrente in data 11/11/2015”;

dalle stesse conclusioni, così come riportate dalla controricorrente, si evince che l’atto impugnato era unicamente quello avente prot. 40929 (cioè l’atto conclusivo dell’attività istruttoria) e che la data di notifica era ad esso relativa;

quel che rileva, dunque, è l’esatta determinazione, proprio nel contesto del ricorso introduttivo, dell’atto che si intende impugnare, essendo irrilevante la successiva allegazione di un successivo atto relativamente al quale nessuna specifica deduzione o riferimento è fatto nel contesto motivazionale del ricorso;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione degli artt. 29 e 30, Reg. Cee n. 2913/1992 e degli artt. 142, 151, 181bis, Reg. Cee n. 2454/1993, per non avere ritenuto che, nella rideterminazione del valore delle merci in dogana operata mediante il riferimento a merci similari, l’onere di provare il valore è a carico del contribuente;

con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione della l. n. 212 del 2000, art. 10 per avere erroneamente ritenuto che, il fatto che l’amministrazione doganale non abbia precedentemente accertato il valore di una merce comporti la formazione di un legittimo affidamento del contribuente;

con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per avere genericamente fatto riferimento, senza alcuna specificazione, alla documentazione prodotta dalla società ed alla genericità della non corrispondenza della valutazione operata dall’amministrazione doganale;

l’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento dei suddetti motivi;

in conclusione, è fondato il primo motivo, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della sentenza e, pronunciando sul ricorso, va dichiarato inammissibile il ricorso originario; ai fini delle spese di lite, vanno compensate quelle relative ai giudizi di merito, mentre la controricorrente va condannata al pagamento delle spese di lite del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza censurata e, pronunciando sul ricorso, dichiara inammissibile il ricorso originario;

compensa le spese di lite dei giudizi di merito, condanna la controricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessive Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.