Corte di Cassazione ordinanza n. 22595 depositata il 19 luglio 2022
giudicato esterno – applicabilità
Rilevato che:
– la contribuente ricorreva avverso plurimi avvisi di accertamento notificatile ai fini IRPEF per gli anni dal 2009 al 2012;
– la CTP accoglieva l’impugnazione; gravava tale pronuncia di appello l’Ufficio;
– con la sentenza impugnata la CTR accoglieva l’appello ritenendo provata l’esistenza degli investimenti collocati all’estero dai quali presuntivamente andava ritenuta altrettanto provata la percezione degli interessi oggetto della ripresa da parte dell’Ufficio;
– ricorre a questa Corte la Canegallo con atto affidato a tre motivi; l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;
– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che:
– con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.1 n. 3 c.p.c. degli artt. 44 e 45 TUIR, degli artt. 115 e 116 c.p.c., 1813 c.c., 1815 c.c. e 2697 c.c. e vizio di motivazione, “inidoneità dei contratti di investimento allegati agli avvisi di accertamento impugnati all’assolvimento degli oneri probatori circa la percezione di interessi, utili o altri proventi”; sostiene che la CTR aveva erroneamente ritenuto – governando malamente i principi di in tema di onus probandi – non provata da parte dell’Amministrazione Finanziaria che ne era onerata, la corresponsione degli interessi alla contribuente;
– il motivo è inammissibile, avendo la CTR accertato in fatto la prova della percezione degli interessi (pag. 3 della sentenza impugnata, ultime 3 righe) indipendentemente dal difetto della prova fornita dal contribuente, che ne era onerato (alla luce della tardività della denuncia penale in danno dei presunti truffatori);
– la CTR, infatti, ha rilevato e accertato che “l’Ufficio dimostra che la contribuente ha percepito somme riferibili ad interessi come da numerosi atti di quietanza sottoscritti dalla medesima nonché da disposizioni di reinvestimento delle somme percepite” (pag. 3 della sentenza impugnata, ultimo periodo);
– il secondo motivo si incentra sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 32 c. 1 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 2697 c.c. con riguardo all’applicazione fattane nella circ. 25 del 2014, sul difetto di motivazione dell’atto impugnato e sull’assenza dei presupposti per l’accertamento ex art. 32 ridetto, violazione del principio immanente del contraddittorio preventivo all’emissione dell’avviso di accertamento, deducibile ex 7 della L. n. 241 del 1990 e dagli artt. 5, 6, 7, 10 c. 1 e 12 c. 2 della L. n. 212 del 2000, per non essersi la CTR pronunciata sulle censure sopra riportate;
– il motivo è inammissibile;
– esso, nel concreto articolato quale censura atta a riprodurre doglianze di merito e diretto, nello sviluppo delle stesse, direttamente contro l’avviso di accertamento, costituisce coacervo di più censure tra di loro inestricabili (in termini si veda anche la recente pronuncia Cass. 5, Ordinanza n. 15517 del 21/07/2020) ed è comunque privo di collegamento con la ratio decidendi della sentenza impugnata (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 15517 del 21/07/2020; anche in termini Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017), poiché nel concreto aggredisce direttamente l’avviso di accertamento, omettendo quindi di confrontarsi con la pronuncia gravata;
– inoltre, parte ricorrente non coglie e quindi non censura la ratio decidendi relativa alla mancata riproposizione in appello di alcuni motivi proposti in primo grado, tra cui il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento e il difetto di contraddittorio, posto che di tali questioni la CTR non tratta avendo chiaramente specificato che l’esame avrebbe riguardato solo la questione della giustificazione di alcune poste attive riprese a tassazione; in particolare poi quanto a tale ultima questione il motivo risulta anche difettoso quanto ad autosufficienza in quanto non esplicita come sarebbero state giustificate quelle poste;
– con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale (c.d. preleggi) in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR mancato di fare applicazione del giudicato formatosi con la sentenza della CTR del Piemonte n. 1643/4/2018, passata in giudicato il 17 marzo 2019, resa tra le stesse parti e relativa al periodo d’imposta 2008 che ha rigettato l’appello dell’Ufficio ritenendo mera presunzione la percezione degli interessi anche in quella sede contestata dall’Ufficio;
– il motivo è infondato, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale è ben vero che (in termini vedasi Sez. 5, Sentenza n. 23723 del 21/10/2013) quando due giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico o titolo negoziale, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione su questioni di fatto o di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, peraltro, trova ostacolo in relazione alla “interpretazione giuridica” della norma tributaria, ove intesa come mera argomentazione avulsa dalla decisione del caso concreto, poiché detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all’esegesi esercitata da altro giudice, né è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, ferma, in ogni caso, la necessità del collegamento, tendenzialmente durevole, ad una situazione di fatto;
– nel presente caso, l’interpretazione e la conseguente statuizione in diritto ivi adottata dalla CTR (come si evince dalla trascrizione della sentenza della quale si invoca il giudicato operata a pag. 27 del ricorso per cassazione, specialmente ai capoversi dal quarto in poi) è benvero del tutto suscettibile di smentita in questa sede, in quanto diversamente a questo giudice sarebbe preclusa ogni attività interpretativa e quindi il concreto esercizio dello ius dicere;
– a ciò deve aggiungersi che comunque il giudicato qui invocato non può trovare applicazione, in quanto la sentenza della CTR costituente giudicato, a dire della ricorrente, è passata in giudicato prima della pronuncia impugnata e pertanto deve applicarsi la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (Cass. 5, Sentenza n. 22506 del 04/11/2015) ove il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata ivi eccepita dalla parte interessata, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione;
– in ogni caso, poi, “la parte che eccepisce il giudicato esterno ha l’onere di provare il passaggio in giudicato della sentenza resa in altro giudizio, non soltanto producendola, ma anche corredandola della idonea certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che sia onere della controparte medesima dimostrare l’impugnabilità della sentenza” (Cass. n. 9746/2017, n. 28515/2017, n. 20974/2018);
– per le sopra esposte ragioni, il ricorso è quindi integralmente rigettato;
– la soccombenza regola le spese che si liquidano come in dispositivo;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente che liquida in euro 2.300,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della i. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.