Corte di Cassazione ordinanza n. 23329 depositata il 26 luglio 2022
indeducibilità dei costi e spese direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo – vizio di omessa pronuncia – violazione di legge e difetto di motivazione qualora vi sia stata una pronuncia – c.d. doppia conforme – omesso esame di un fatto storico, principale o secondario
Rilevato che:
1. Il fallimento della C. s.r.l. ricorre, con tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, di accoglimento parziale dell’appello proposto dalla contribuente avverso la sentenza della t.p. di Milano che aveva respinto i ricorsi avverso separati avvisi di accertamento con i quali, per gli anni di imposta 2006, 2007, 2008, 2009, erano stati recuperati a tassazione maggiori redditi, ai fini ires, irap ed iva.
2. L’Ufficio, a seguito di una verifica fiscale condotta nei confronti della s.r.l. e di altre società cooperative «satelliti», avvalendosi del raddoppio dei termini di cui all’art. 43 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, contestava la strumentale interposizione di queste ultime nei rapporti con terzi e l’emissione di fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti. Contestava, altresì, che la contribuente era solita emettere fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. Alla luce degli elementi acquisiti, trasmetteva alla competente Procura della Repubblica comunicazione di notizia di reato con riferimento agli illeciti di cui agli artt. 2, 8, 10-ter, d.lgs. 10 marzo 200, n. 74.
3. La C.t.p. di Milano, previa riunione, rigettava i ricorsi proposti dalla società contribuente. In via preliminare riteneva che l’Ufficio si fosse legittimamente avvalso del raddoppio dei termini, anche quanto all’irap e nel merito riteneva legittimi gli accertamenti.
4. La C.t.r. della Lombardia accoglieva l’appello limitatamente all’irap sul presupposto che l’Ufficio avesse illegittimamente applicato il raddoppio dei termini previsto dall’art. 43, comma 3, P.R. n. 600 del 1973, nonostante i reati tributari contestati riguardassero solo l’iva e l’ires e, per il resto, confermava la sentenza di primo grado.
Considerato che:
1. con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. ed agli artt. 6, 83, 109 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, agli artt. 19, 21, comma 7, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, all’art. 203 della Direttiva 2006/112/CE, la violazione o falsa applicazione dell’art. 14, commi 4 e 4-bis, legge 24 dicembre 1993, n. 537, come emendato dall’art. 8, commi 1, 2, 3, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44.
La contribuente, sul presupposto che gli avvisi di accertamento impugnati erano integralmente fondati sulle risultanze di indagini penali e che la relativa richiesta di rinvio a giudizio, successiva all’introduzione del giudizio di appello, aveva ridisegnato il quadro fattuale e probatorio, smentendo quanto posto a fondamento dell’atto impositivo, censura la sentenza impugnata per non essersi pronunciata su quanto dedotto con memoria depositata il 30/12/2019 in ordine alla «improcedibilità degli avvisi di accertamento impugnati» ed alla «caducazione per “sopravvenuta inefficacia processuale”» della pretesa fiscale in ragione di quanto previsto dall’art. 14, comma 4-bis, legge 537 del 1992. Ripropone, inoltre, tutte le censure e deduzioni già proposte nel giudizio di merito con le citate memorie del 30/12/2009, ivi depositate.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
La ricorrente assume che la C.t.r. avrebbe ricostruito e giudicato il fatto costitutivo della pretesa fiscale, violando l’art. 14, comma 4-bis, legge n.537 del 1993 e non considerando l’intero quadro giuridico fattuale.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art.324 cod. proc. civ.
La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che vi fosse stata rinuncia all’impugnazione dell’avviso di accertamento per l’anno 2010, sulla scorta del dato meramente estrinseco che nell’atto di appello si fosse fatto riferimento solo agli avvisi di accertamento relativi agli anni 2006, 2007, 2008 e 2009, senza richiamare l’anno 2010.
4. In primo luogo, con riferimento a quanto dedotto dalla ricorrente nella parte espositiva, preliminare alla articolazione dei motivi, in ordine alla omessa pronuncia dal parte della C.t.r. sul tema, pregiudiziale e dirimente, della sussistenza o meno della condizione di procedibilità, va richiamato il principio, affermato da questa Corte con giurisprudenza costante, secondo cui non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul In questo casi il mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento, bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione (tra le tante, Cass. 06/11/2020, n. 24953).
Nella specie, pertanto, va ravvisato nella sentenza impugnata il rigetto implicito dell’eccezione di improcedibilità sollevata dal contribuente, stante la valutazione nel merito dei motivi posti a fondamento del gravame.
5. Il primo motivo è inammissibile ed è fondata l’eccezione della controricorrente la quale ha rilevato che l’eccezione di improcedibilità era stata tardivamente proposta nel giudizio di appello solo in corso di giudizio.
5.1 L’art. 8, comma 3, d.l. n. 16 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 44 del 2012, che ha modificato l’art. 14, comma 4-bis, legge 537 del 1993 prevede che non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 cod. proc. pen. ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 cod. proc. pen. fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato. La norma prosegue prevedendo che, qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 cod. proc. pen. ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 cod. proc. pen. fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’articolo 529 cod. proc. pen., compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi.
Detta disposizione richiede, per negare la deduzione, non solo l’astratta configurabilità della fattispecie delittuosa; essa richiede anche che la stessa sia stata oggetto di esercizio dell’azione penale da parte dal Pubblico Ministero (Cass. 01/04/2021, n. 9077)
5.2 Il ricorrente assume che la norma sopra richiamata integrerebbe una condizione di procedibilità che, nel caso in esame, sarebbe venuta meno in quanto la richiesta di rinvio a giudizio ex 416 cod. proc. pen. del 20/12/2018 ed il decreto del Gip che ha disposto il giudizio ex art. 424 cod proc. pen. avrebbero «ridisegnato il quadro fattuale e probatorio, smentendo, confutando e sovvertendo radicalmente le assunzioni ipotetiche» formulate inizialmente dall’attività di polizia giudiziaria e poi assunte a presupposto dell’atto impositivo.
Secondo la stessa prospettazione del ricorrente, tuttavia, per i fatti oggetto dell’avviso di accertamento non vi sarebbe stato rinvio a giudizio in quanto quest’ultimo avrebbe avuto ad oggetto un diverso quadro fattuale e probatorio. La mancanza del rinvio a giudizio era, di conseguenza, presupposto, già esistente, che la ricorrente avrebbe dovuto far valere con l’impugnazione originaria.
Deve aggiungersi, sia con riferimento alla censura di cui sopra, sia con riferimento alle ulteriori censure e deduzioni proposte nel giudizio di merito con la già citata memoria del 30/12/2019 e riprodotte nel primo motivo di ricorso, che nel giudizio tributario è inammissibile la deduzione di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dai motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo, i quali costituiscono la causa petendi entro i cui confini si chiede l’annullamento dell’atto e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dall’art. 24, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992.
Infine, il motivo, nella parte in cui ripropone tutte le censure e deduzioni contestate nel giudizio di merito tende ad una rivalutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità.
6. Il secondo motivo è inammissibile.
6.1 La Corte, a sezioni unite, (Cass. U. 07/04/2014, n. 8053), ha chiarito che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività».
La ricorrente, invece, con il motivo in esame ha censurato in modo del tutto generico la sentenza impugnata per non aver tenuto conto dell’intero quadro giuridico fattuale di riferimento.
6.2 Inoltre, nell’ipotesi di c.d. doppia conforme, prevista dall’art. 348-ter, quinto comma, proc. civ., il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass. 18/12/2014, n. 26860, Cass. 1/05/2018, n. 11439, Cass. 22/12/2016, n. 26774, Cass. 06/08/2019, n. 20994).
Anche tale indicazione è omessa.
7. Il terzo motivo è anch’esso inammissibile per difetto di specificità.
La contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto, fermandosi ad un mero dato formale, che l’appello avesse ad oggetto i soli avvisi di accertamento relativi agli anni 2006, 2007, 2008 e 2009, e non il 2010.
Il contribuente si limita a dedurre in via del tutto generica che il gravame era stato proposto contro «l’intera sentenza di primo grado» e che il medesimo non conteneva «rinunce o limitazioni tese in qualche modo a circoscrivere o limitare l’effetto devolutivo-sostitutivo dell’appello».
Tuttavia, a fronte dell’espresso e ripetuto riferimento nell’atto di appello ai soli avvisi di accertamento relativi agli anni 2006, 2007, 2008, 2009, senza alcuna menzione dell’anno 2010, non risultano puntualmente individuati i passi del ricorso e gli argomenti ivi spesi dai quali potersi desumere che si fosse trattato di un lapsus calami.
Il ricorrente non ha dedotto specifici elementi in ragione dei quali questa Corte, a fronte del dato testuale di cui all’appello, possa ritenere che la contestazione investisse elementi o presupposti di fatto comuni e ricorrenti anche per l’anno 2010. Va considerato, in proposito, che la sentenza di primo grado aveva motivato anche sulla tempestività dei provvedimenti impugnati in relazione al raddoppio dei termini previsti dall’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 de 1973 e che l’atto di appello aveva avuto ad oggetto anche tale questione che ben poteva articolarsi in modo differente rispetto all’anno 2010, di fatto non menzionato, per il quale, infatti, l’Ufficio aveva eccepito che il termine ordinario non era decorso.
7. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
9. Quanto al così detto «doppio contributo», questa Corte ha già chiarito che, nel caso in cui il ricorso per cassazione venga respinto, perché rigettato integralmente ovvero dichiarato inammissibile o improcedibile, la Corte di cassazione attesta l’obbligo del ricorrente, ancorché ammesso in via anticipata e provvisoria al patrocinio a spese dello Stato, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, rilevando a tal fine soltanto l’elemento oggettivo costituito dal tenore della pronuncia che ne determina il presupposto, mentre le condizioni soggettive della parte devono invece essere verificate, nella loro specifica esistenza e permanenza, da parte della cancelleria al momento dell’eventuale successiva attività di recupero del contributo (Cass. 30/10/2019, n. 278679).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 8.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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