Corte di Cassazione, ordinanza n. 25213 depositata il 24 agosto 2023
Atto di contestazione sanzioni – Società o persona fisica – doppia conforme si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 968/67/16 del 22/02/2016 la Commissione tributaria regionale della Lombardia – Sezione staccata di Brescia (di seguito CTR) rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate (di seguito AE) avverso la sentenza n. 510/08/14 della Commissione tributaria provinciale di Bergamo (di seguito CTP), la quale aveva accolto il ricorso proposto da U.R. avverso l’atto di contestazione sanzioni relative all’anno d’imposta 2007.
1.1. Come si evince dalla sentenza impugnata, le sanzioni erano state comminate al controricorrente quale responsabile, in concorso con D.B. s.r.l. (di seguito DB), dell’omesso deposito della dichiarazione annuale e di altre irregolarità concernenti la società, avente apparentemente sede a Londra, ma in realtà operante in Italia.
1.2. La CTR rigettava l’appello di AE evidenziando, per quanto ancora interessa in questa sede, che le disposizioni richiamate dall’Ufficio erano superate dalla previsione dell’art. 7 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. con modif. nella l. 24 novembre 2003,
n. 326, con conseguente imputazione delle sanzioni alla società, non risultando altresì prova dei vantaggi conseguiti dalla persona fisica.
2. Avverso la sentenza della CTR AE proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi.
3. U.R. resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso AE deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 11 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto operante una norma che non opera nel caso in cui la persona giuridica sia esterovestita e costituita artificiosamente per il perseguimento di affari illeciti.
1.1. Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omessa motivazione in ordine a fatti controversi e oggetto di discussione tra le parti, costituiti dalle circostanze dedotte in giudizio, attraverso le quali sarebbe possibile ritenere che la persona giuridica sia stata costituita artificiosamente per finalità illecite.
2. I motivi possono essere congiuntamente esaminati, vertendo sulla medesima questione, sia pure attenzionata sotto distinti profili, vanno disattesi.
2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «in tema di accertamento sulle imposte dirette e sull’IVA, nei confronti del soggetto che abbia gestito uti dominus una società di capitali si determina, ai sensi dell’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, la traslazione del reddito d’impresa, e delle relative imposte, in quanto effettivo possessore del reddito della società interposta; inoltre, in tale ipotesi, tra i due soggetti si instaura un rapporto di mandato senza rappresentanza, dove il mandatario è il gestore uti dominus e la mandante è la società, sicché, ove le prestazioni di servizi cui il primo abbia partecipato per conto della seconda siano soggette a IVA, pure il rapporto giuridico tra il mandatario e la società interposta è soggetto all’IVA; a tali fini incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, spettando quindi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto» (Cass. n. 23231 del 25/07/2022; Cass. n. 1358 del 17/01/2023).
2.2. Sotto il profilo sanzionatorio, che qui specificamente interessa, la stessa giurisprudenza evidenzia che «nell’interposizione del gestore uti dominus alla società di capitali interposta ai sensi dell’art. 37, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 non ha rilievo il rapporto fiscale proprio di quest’ultima ma quello che fa capo direttamente all’interponente in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, sicché, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività».
2.3. Tale ultima conclusione può dirsi ormai consolidata, essendo stato affermato che «Il principio secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, conv., con modif., in l. n. 326 del 2003, sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando essa sia gestita da un amministratore di fatto non opera nell’ipotesi di società “cartiera”, atteso che, in tal caso, la società è una mera “fictio”, utilizzata quale schermo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti tributari commessi a personale vantaggio dell’amministratore di fatto, con la conseguenza che viene meno la “ratio” che giustifica l’applicazione del suddetto art. 7, diretto a sanzionare la sola società con personalità giuridica, e deve essere ripristinata la regola generale secondo cui la sanzione amministrativa pecuniaria colpisce la persona fisica autrice dell’illecito» (Cass. n. 10975 del 18/04/2019; Cass. n. 29038 del 20/10/2021; Cass. n. 10651 del 01/04/2022).
2.4. Orbene, da quanto emerge dall’atto di contestazione sanzioni, allegato al ricorso di AE ai fini dell’autosufficienza dello stesso, non emerge la circostanza che Umbriano sia stato attinto quale imprenditore in proprio, utilizzante lo schermo societario per lo svolgimento della propria personale attività commerciale, ma unicamente che la società – esistente ed operante, sebbene esterovestita – sia stata costituita per lo svolgimento di attività illecite.
2.5. Tale ultima circostanza, peraltro, non è d per sé sufficiente per ritenere non operante il disposto dell’art. 7 del d.l. n. 269 del 2003, sicché le sanzioni restano imputabili alla sola società e non anche all’amministratore della stessa.
2.6. Il primo motivo è, dunque, infondato.
2.7. Il secondo motivo è, invece, inammissibile in ragione della presenza di una doppia conforme di merito. Invero, «le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui all’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 348-ter cod. proc. civ., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce dell’art. 62 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che l’art. 54, comma 3-bis, del d.l. n. 83 del 2012, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito» (Cass. S.U. nn. 8053 e 8054 del 07/04/2014);
2.7.1. Tali disposizioni si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione successivamente all’11 settembre 2012 (Cass. n. 26860 del 18/12/2014; Cass. n. 24909 del 09/12/2015; Cass. n. 11439 del 11/05/2018) e, dunque, anche al presente giudizio, introdotto con appello depositato il 16/02/2015, come si evince dalla sentenza impugnata.
3. In conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite di euro 262.304,00.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, ad euro 200,00 per spese borsuali e agli accessori di legge.