Corte di Cassazione ordinanza n. 25616 depositata il 31 agosto 2022
operazioni soggettivamente inesistenti – indetraibilità IVA – l’Amministrazione onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva – motivazione omessa o apparente
RILEVATO CHE
La CTP di Isernia, decidendo sul ricorso proposto dalla N.C. srl avverso l’avviso di accertamento di un maggior reddito di impresa per l’anno di imposta 2009 con determinazione di maggiori IRES, IRAP e IVA, aveva accolto i rilievi della ricorrente sub nn. 1 ( costi per operazioni inesistenti), 4 (versamenti dei soci dissimulanti ricavi non contabilizzati) e 5 (ritenute da effettuare), confermando per il resto l’accertamento.
Con la sentenza in epigrafe la CTR del Molise ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidato a cinque motivi.
Resiste con controricorso la N.C. srl.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il motivo 1 si deduce la violazione degli art. 19 e 21 d.P.R. n. 633 del 1972 e degli art. 2700 e segg. e.e., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e.e., censurando la CTR che aveva ritenuto, quanto alle operazioni (soggettivamente) inesistenti, che gli elementi presuntivi offerti dall’Ufficio fossero superati dal pagamento delle fatture contestate e dall’esistenza dei materiali acquistati.
Con il motivo n. 2 si deduce la violazione dell’art. 36 comma 2 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 n. 4. c.p.c. perchè la sentenza aveva reso una motivazione apparente, quanto all’annullamento del rilievo relativo ai versamenti dei soci, dichiarando di condividere la statuizione del primo Giudice senza esprimere le ragioni di questa decisione.
Con il motivo n. 3 si lamenta la violazione degli art. 53 e 57 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., laddove la sentenza impugnata ha ritenuto «immeritevole di accoglimento> l’appello perchè aveva riproposto quanto esposto nell’originale avviso.
Con il motivo n. 4 si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 cpc, perchè la sentenza ha omesso di pronunciare sulle contestazioni dell’Ufficio, con riguardo sia al rilievo sub 1 (costi da operazioni inesistenti) sia al rilievo sub 4 (finanziamenti soci), affermando erroneamente la mancanza di «alcun elemento concreto di contestazione».
Con il motivo n. 5 si deduce la violazione dell’art. 39 comma 1 lett. d) d.P.R. n. 600 del 1973, art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972 e degli art. 2697 e s.s. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., con riguardo al rilievo del versamento dei soci che nascondevano ricavi non contabilizzati.
2. I motivi nn. 1 e 4 (per il profilo riguardante i costi da operazioni inesistenti) possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
L”Agenzia precisa di aver contestato l’inesistenza soggettiva delle operazioni e la fittizietà delle fatture, perchè emesse eia soggetti che non erano in grado di eseguire i relativi lavori per mancanza di strutture e mezzi operative, e di aver assolto l’onere probatorio a suo carico.
2.1 In tema di IVA, secondo consolidato orientamento di questa Corte, elaborato alla luce anche dei precedenti della Corte di Giustizia in materia, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza ciel contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. 9851 del 2018, Cass. n. 27555 del 2018, Cass. n. 15369 del 2020).
2.2 Poichè il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva, incombe in primo luogo sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione. Una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente.
La prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra sulle due circostanze ( «di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale», v. Cass. 9851 del 2018) dell’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni (il soggetto formale non è quello reale) e della conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario che la cessione si inseriva in una evasione Iva.
2.3 La prova di quest’ultimo elemento, in particolare, può ritenersi raggiunta se l’Amministrazione fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice come prevede per l’Iva l’art. 54, secondo comma, P.R. n. 633; peraltro, non è ipotizzabile nè un automatismo probatorio nè una astratta tipizzazione delle circostanze ostative al riconoscimento del diritto di detrazione.
La Corte di Giustizia (22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14) ha infatti espressamente escluso la compatibilità con il diritto unionale di una previsione di legge nazionale che consideri inesistente, in base a criteri predeterminati, il soggetto emittente la fattura e, conseguentemente, neghi al destinatario il diritto a detrazione. È necessario, invece, tenere conto della concreta vicenda e delle circostanze di volta in volta presenti, spettando all’Amministrazione dimostrare, ed al giudice verificare, «alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche che non gli incombono, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata per fondare il suo diritto alla detrazione si iscriveva in un’evasione dell’Iva».
L’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va dunque ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta all’Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in una evasione all’Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione.
2.4 Anche l’ipotesi di operazione triangolare «semplice», rispetto alla quale si è ritenuto (Cass. 24426 del 2013, cui hanno dato seguito Cass. n. 10120 del 21/04/2017, Cass. n. 3474 del 13/02/2018) che «l’onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata» può costituire, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, se, per esempio, ricorra una immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode tale da indurre ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente.
Deve escludersi, però, qualunque connotazione aprioristica e generalizzante di idoneità probatoria delle sole qualità oggettive del soggetto interposto, dovendo sempre aversi riguardo all’effettività e concretezza delle situazioni, di modo che si possa cogliere una immediatezza di rapporti tra i soggetti coinvolti ovvero emergano altri elementi, afferenti alla sfera del destinatario della prestazione, sulla base dei quali possa ritenersi assolto l’onere probatorio dell’Amministrazione.
2.5 Nel caso di specie, la ricorrente insiste soltanto sulla «carenza totale di mezzi, dipendenti, bilanci, dichiarazioni ecc. di E.S. e della ditta M.», contenuti nel pvc e riportati a pag. 3 dell’avviso, ma non si occupa specificamente dell’aspetto della consapevolezza da parte del committente/cessionario della inesistenza soggettiva dell’operazione.
Manca nel motivo di doglianza qualunque riferimento o collegamento di quegli elementi al cessionario, così da poter ritenere che quest’utimo fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sost21nziale inesistenza dell’emittente delle fatture quale parte delle operazioni contestate.
Questo profilo assume nel caso di specie un particolare rilievo perchè, come segnalato dalla sentenza impugnata, l’esecuzione delle prestazioni risultava dai SAL certificati dal direttore dei lavori ed emergeva «l’effettività delle opere attestate dal Direttore dei lavori di opera pubbliche».
Queste attestazioni potevano creare un’apparenza di regolarità delle operazioni e giustificare un affidamento del destinatario della prestazione, ciò che rendeva più gravoso l’onere a carico dell’Ufficio, che avrebbe dovuto allegare elementi concreti e puntuali di conoscenza o conoscibilità da parte della società cessionaria della fittizietà di quelle fatture, in grado di superare anche quella situazione di apparenza. Invece, l’Agnzia, come osservato dalla sentenza impugnata, «nulla ha contestato sul punto».
3. Il motivo 2 è fondato.
Premesso che deve considerarsi omessa o apparente la motivazione che, se pure graficamente esistente, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (Cass. n. 13248 del 2020; Cass. sez. un. 22232/2016; Cass. sez. un. 8053/2014), ricorre il dedotto vizio allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9907 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012).
Nel caso in esame la CTR osserva tautologicamente: «questo Collegio rileva la correttezza di quanto riportato nella sentenza impugnata che in modo analitico illustra l’iter logico seguito per ritenere valide le contestazioni della parte ricorrente […] detta articolata motivazione viene pienamente condivisa e fatta propria da questo Collegio perchè le eccezioni dell’Ufficio si limitano a ribadire quanto esposto nell’accertamento senza alcun elemento concreto di contestazione».
La CTR si è limitata, quindi, a manifestare condivisione della decisione di prime cure senza illustrare, neppure sinteticamente, le ragioni per cui ha inteso disattendere i motivi di gravame (v. Cass. n. 16057 del 2018), che, invece, appaiono sufficientemente specifici e argomentati (si veda capo D dei motivi d’appello trascritto sub motivo n. 4) e riportano un passaggio della motivazione della sentenza di primo grado la quale avrebbe meritato certamente maggior attenzione da parte dei giudici d’appello: «appare chiaro che detti versamenti, in realtà, nonostante le diverse risultanze contabili non sono mai stati effettuati».
In altri termini, gli stessi giudici del merito riconoscono la falsità della posta relativa ai versamenti soci ma non si confrontano, con le incongruenze rilevate dall’Ufficio in ordine alle giustificazioni addotte dalla società (vedi sempre capo D) omettendo di considerare la più lineare spiegazione dell’Ufficio, secondo cui quella posta fittizia dissimulava ricavi non contabilizzati.
4. Accolto il n. 2, restano assorbiti il n. 4 (per Ila parte relativa ai finanziamenti) e il n. 5.
5. Il motivo 3, infine, è inammissibile per mancanza di specificità.
6. La sentenza impugnata deve essere cassata in conformità con rinvio alla CTR Molise in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
p.q.m.
accoglie il motivo n. 2, assorbiti il n. 4 per la parte relativa ai ricavi e il n. 5; rigetta il n. 1 e il n. 4 per le restanti doglianze e dichiara inammissibile il n. 3; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia alla CTR Molise in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
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