CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 25776 depositata il 12 settembre 2023
Tributi – Dichiarazione IVA – Rimborso – Debito – Registro delle imprese – Improcedibilità
Rilevato che
Dalla pronuncia impugnata e dal ricorso si evince che C.A., nella qualità di “ex” liquidatore della (…) s.r.l. in liquidazione, e la C.L.L. – (…) s.p.a. (già socia della (…) s.r.l. per una quota del 50%) impugnarono il diniego di rimborso dell’Iva a credito, dell’importo di Euro 51.159,00, richiesto dalla (…) s.r.l. con la dichiarazione Iva/(…) per l’anno d’imposta (…). L’Agenzia delle entrate, che aveva prima invitato l’istante a produrre documentazione a supporto del credito, rigettò l’istanza affermando che la nota di accredito prodotta non soddisfaceva le condizioni previste dal d.p.r. 29 settembre 1972, n. 633, art. 26 (ndr d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26).
Seguì il contenzioso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Alessandria, che con sentenza n. 381/06/2016 accolse le ragioni degli istanti. L’appello, proposto dall’Amministrazione finanziaria alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, fu accolto con la sentenza n. 310/01/2018, ora impugnata dinanzi a questa Corte.
Il giudice regionale, dopo aver descritto la vicenda, riportando le ragioni delle parti ed i dati acquisiti dalla documentazione allegata ed esaminata, alla luce del testo dell’art. 26 cit. ha ritenuto che mancasse la prova del verificarsi delle condizioni per il riconoscimento del diritto alla detrazione dell’iva, o al suo rimborso, come nel caso di specie richiesto in ragione della cancellazione della società. In particolare ha ritenuto non dimostrata dall’istante, su cui pur incombeva la prova, della data di accordo di risoluzione contrattuale del rapporto commerciale tra la (…) e la C.L.L., per la quale -nella prospettazione della (…)- era stata emessa la nota di credito a supporto delle variazioni del debito Iva, e dunque dell’istanza di rimborso.
I ricorrenti hanno censurato la sentenza, di cui hanno invocato la cassazione, affidandosi a due motivi, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso, spiegando anche ricorso incidentale condizionato.
Nell’adunanza camerale del 4 aprile 2023 la causa è stata trattata e decisa. La ricorrente ha ritualmente depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c..
Considerato che
Prima dell’esame dei motivi di ricorso questa Corte deve occuparsi della legittimazione attiva del C., che dagli atti di causa e dalla sua stessa difesa risulta abbia proposto il ricorso introduttivo nella dichiarata qualità di “ex liquidatore” della (…) s.r.l. in liquidazione, società già cancellata al momento dell’insorto contenzioso.
La questione, evidenziata anche dalla Agenzia delle entrate, che a tal fine ne ha fatto il contenuto del proprio ricorso incidentale condizionato, va trattata pregiudizialmente, investendo la stessa legittimazione processuale attiva di uno dei ricorrenti.
Risulta che la società sia stata cancellata nel (…), laddove il ricorso di primo grado era stato introdotto nel 2016.
Ebbene, se la società era stata cancellata e si era estinta in epoca anteriore alla notificazione degli atti impugnati, neppure il suo ex rappresentante legale o il suo liquidatore avevano legittimazione a proporre il ricorso introduttivo (cfr. Cass. 29 novembre 2021, n. 37256). Questa Corte ha infatti avvertito che nel contenzioso tributario la cancellazione della società dal registro delle imprese, con la sua conseguente estinzione, prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto di capacità processuale e dunque il difetto di legittimazione del suo rappresentante (Cass. 19 settembre 2019, n. 23365; 21 dicembre 2018, n. 33278; cfr. anche 3 luglio 2020, n. 16362). Ne’, nel caso che ci occupa, è possibile richiamare il d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, art. 28 comma 4, che della norma del codice costituisce una integrazione nei limiti della sua area applicativa e che prescrive che “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui a quest’articolo ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle imprese”, trattandosi di disciplina introdotta a partire dal 13 dicembre 2014, data successiva ai fatti estintivi che hanno attinto la (…) s.r.l.
Va pertanto dichiarato che il ricorso risulta improcedibile per quanto introdotto dal C. nelle dichiarate funzioni di liquidatore, ormai concluse da epoca anteriore all’estinzione della società.
Esso invece deve comunque ritenersi correttamente introdotto dalla società C.L.L. s.p.a., già socia della (…) s.r.l., e pertanto va a tal fine esaminato.
Il ricorrente legittimato ha denunciato:
con il primo motivo la “violazione dell’ art. 360 c.p.c., nn. 3-4-5 per avere la Corte territoriale illegittimamente ed erroneamente ritenuta necessaria la forma scritta per la manifestazione ad opera delle parti del loro mutuo dissenso in ordine alla prosecuzione del contratto di fornitura omettendo ogni considerazione sulle precise considerazioni di diritto poste dagli odierni ricorrenti, nonché assumendo per l’accoglimento dell’appello l’inesistenza di causa di forza maggiore a motivo della risoluzione contrattuale e ignorato le prove documentali prodotte dalle società contribuenti come argomentato nel proseguo del ricorso”.
Il motivo, per come formulato, è inammissibile.
In materia di ricorso per cassazione l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790; 9 dicembre 2021, n. 39169).
Nel caso di specie, quanto alla denuncia degli errori nell’interpretazione delle regole di diritto sostanziale e dei vizi processuali, manca la possibilità di isolare le critiche cumulate, cui si aggiunge la totale assenza dei riferimenti normativi cui ricondurre le medesime censure.
Peraltro, quanto all’unica ratio che emerge dalla lettura del motivo, quella secondo cui il giudice sarebbe incorso in errore per aver ritenuto che i contratti, compresi i “negozi solutori”, dovevano formarsi per iscritto, la ragione della censura è palesemente eccentrica rispetto alle argomentazioni sviluppate dal giudice regionale. Questi ha richiamato le prescrizioni del d.p.r. 29 settembre 1972, n. 633, art. 26 (ndr d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26) e le regole dettate nello specifico dai commi 2 e 3 della norma, secondo cui “2. Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25. 3. La disposizione di cui al comma 2 non può essere applicata dopo il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti e può essere applicata, entro lo stesso termine, anche in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione dell’art. 21, comma 7”.
Alla luce del testo normativo il giudice d’appello ha affermato che mancava la prova certa dei tempi di intervento dell’accordo risolutorio e dunque, innanzitutto, del rispetto del termine infrannuale richiesto dal comma 3. Ha peraltro rilevato, ma con evidente riferimento ai tempi in cui gli eventi si erano succeduti, che i fatti sui quali la contribuente si era diffusa, cioè il venir meno della fornitura della merce che la (…) si era a sua volta impegnata a rivendere alla C.L.L. (che, oltre ad essere socia al 50% della società cancellata, era anche acquirente della merce, e che, venuta meno la fornitura aveva raggiunto l’accordo negoziale solutorio, con conseguente insorgenza del credito Iva oggetto della presente controversia) non potevano considerarsi dirimenti, perché mancava ogni riscontro che quella stessa merce non potesse essere recuperata altrove per rispettare gli impegni contrattuali assunti tra la (…) s.r.l. e la C.L.L. s.p.a.
Ne’ può dirsi che la censura indirizzata alla denuncia di un vizio di motivazione, pure invocata con il primo motivo, possa trovare ingresso nel giudizio, atteso che, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, il giudice regionale ha fatto mostra di aver analizzato la documentazione allegata, così che la censura, che già esula dai limiti segnati dall’attuale formulazione dell’ art. 360 c.p.c., n. 5, costituisce comunque un inammissibile tentativo di riesame, dinanzi alla Corte di legittimità, del merito della controversia.
Con il secondo motivo ci si duole della “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la Corte territoriale ritenuto non idoneamente provata la sussistenza dei requisiti di cui al d.p.r. 29 settembre 1972, n. 633, art. 26 comma 2 (ndr d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26 comma 2)”, quanto alla erronea affermazione, attribuita alla motivazione della sentenza, secondo cui “le dichiarazioni di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili debbano avere data certa”.
Anche questo motivo è eccentrico rispetto alla ratio sottesa al ragionamento sviluppato dal giudice regionale, che non ha affermato la necessità della data certa dell’atto, da cui insorgerebbe il venir meno del negozio sottoposto ad iva e pertanto il credito d’imposta, ma, più semplicemente e più linearmente, ha sostenuto che nel caso di specie mancava una prova dei termini prescritti dall’art. 26, comma 3 per l’insorgenza dei presupposti idonei al riconoscimento del suddetto credito.
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile anche in riferimento alla posizione processuale della società, già socia della (…) s.r.l. in liquidazione.
Le spese seguono la soccombenza nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara improcedibile il ricorso proposto dal C.A., nella qualità dichiarata; dichiara inammissibile il ricorso proposto dalla C.L.L. – (…)- s.p.a.; condanna i ricorrenti alla rifusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di Euro 4.100,00 per competenze, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis se dovuto.
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