Corte di Cassazione ordinanza n. 27198 depositata il 15 settembre 2022
classamento catastale – motivazione apparente pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione – motivazione perplessa e incomprensibile purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata integra un errar in procedendo
CONSIDERATO CHE:
1. con sentenza n. 631/4/19, depositata il 12 aprile 2019, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 98/1/17 della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva negato il riconoscimento del requisito della ruralità, ex 9, comma 3, del d.l. n. 557 del 1993, a due unità immobiliari ritenute con destinazione abitativa e qualificate di lusso, ex d.m. 2 agosto 1969, in quanto con superficie superiore a 240 mq;
3. la CTP aveva accolto il ricorso ritenendo che gli immobili erano destinati ad una attività strumentale all’attività agricola e che quindi il requisito della ruralità andasse riconosciuto a prescindere dalla superficie;
4. la CTR aveva confermato la decisione di primo grado, ed in particolare la destinazione ad attività strumentale che individuava nell’attività di agriturismo svolta presso l’azienda agricola;
5. avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, notificato a mezzo PEC in data 8 novembre 2019, affidato a tre motivi, a cui la contribuente resisteva con controricorso, depositando, altresì, memoria e)( art. 380 bis-1 p.c.
CONSIDERATO CHE:
1. con il primo motivo l’Agenzia ricorrente censurava la sentenza impugnata, denunciando la nullità della sentenza per vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., laddove la CTR si sarebbe limitata a confermare la decisione di primo grado con affermazioni tautologiche e prive di ogni argomentazione giustificativa.
2. con il secondo motivo deduceva la violazione e falsa applicazione degli 9 del d.l. n. 157 del 1993, 61 del d.P.R. n. 1142 del 1999, e del d.m. 2 agosto 1969, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., censurando la sentenza impugnata per non aver tenuto conto ai fini del classamento degli immobili delle loro caratteristiche oggettive di abitazioni di lusso;
3. con il terzo motivo denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 9, comma 3-bis, del d.l. n. 557 del 1993 e 61 del d.P.R. n. 1142 del 1999, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver desunto la natura strumentale ad una attività agricola delle unità immobiliari dalla loro destinazione ad attività di agriturismo che ben poteva essere svolta anche in unità
OSSERVA CHE:
1. Il primo motivo di ricorso risulta infondato.
1.1 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una «motivazione apparente» allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice.
Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un errar in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1 , 18 giugno 2018 n. 16057; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).
Si è così precisato che “Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento .,, (Vedi Cass. n. 9105 del 2017; n. 20921 del 2019) ed ancora che 11La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzlonale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost.” (Vedi Cass. 13248 del 2020).
1.2 Si è anche chiarito a che “In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c.. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.” ( Vedi Cass. n. 22598 del 2018).
Tale vizio, pur correttamente dedotto, non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di confermare quanto statuito dai giudici di primo grado in ordine alla destinazione strumentale ad attività agricola degli immobili in questione, individuata nell’attività di agriturismo ivi gestita dalla società contribuente.
2. Il secondo e terzo motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione, risultano parimenti infondati.
2.1 In continuità con quanto già affermato da questa Corte va innanzitutto ribadito che il carattere di ruralità, cli cui all’art. 9, comma 3, del d.l. n. 557 del 1993, non può essere riconosciuto ad immobili destinati ad abitazione che presentino, tuttavia, le caratteristiche di abitazione di lusso, stante la preclusione di cui alla lett. f) dello stesso articolo (vedi in termini n. 30078 del 2021, non massimata).
Incontestato in fatto che le unità immobiliari oggetto di questo giudizio abbiano le caratteristiche oggettive di abitazioni di lusso, resta, invece, controversa la diversa questione se dalla destinazione ad agriturismo possa o meno derivare per tali costruzioni il carattere di strumentalità all’attività agricola che giustifichi il riconoscimento della ruralità ai sensi dell’art. 9, comma 3-bis, del d.l. n. 557 del 1993, conv. dalla I. n. 133 del 1994.
2.2 Ai fini di una sintetica ricostruzione del quadro normativo va premesso che il d.l. n. 557 del 1993, art. 9, nella formulazione originaria, ed in particolare il comma 3, faceva esclusivo riferimento ai “fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa”, onde disciplinare in modo più rigoroso il “riconoscimento della ruralità” di essi agli effetti Si trattava, infatti, “di scoraggiare il dilagante fenomeno di spacciare per 1 urali delle costruzioni che tali non erano” (Cass. n. 6884 del2005 in motivazione).
L’art. 9, comma 3, del d.l. 557/93, nella versione applicabile ratione temporis alla controversia, stabilisce elle ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili agli effetti fiscali, per i fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa si richiede la sussistenza di requisiti soggettivi e oggettivi, afferenti rispettivamente a caratteristiche proprie dei soggetti utilizzatori dei fabbricati (coltivatore diretto del fondo, imprenditore agricolo, affittuario, loro familiari conviventi, etc.) e a qualità tipologiche edilizie, di ubicazione, di destinazione d’uso e di utilizzazione.
Nella fattispecie in esame assume, in particolare, rilevanza la lett. e) di tale comma, secondo cui i fabbricati ad uso abitativo che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 (abitazione di tipo signorile) ed A/8 (abitazione in villa), ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969 (in materia di edilizia abitativa), non possono essere riconosciuti come rurali.
Quanto, invece, ai fabbricati rurali non destinati ad abitazione, il legislatore ha delegato al governo (legge 23 dicemb1 e 1996, n. 662, art. 3, comma 156) il compito di regolamentare la materia, disponendo “la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali… tenendo conto del fatto che la normativa deve essere applicata soltanto all’edilizia rurale abitativa … e che si deve provvedere all’istituzione di una categoria di immobili a destinazione speciale per il classamento dei fabbricati strumentali … “.
Tale disposizione imponeva, pertanto, al legislatore delegato di tenere distinte – per la classificazione in catasto e, indirettamente, a fini fiscali – le costruzioni rurali destinate ad abitazione da quelle strumentali all’attività agricola.
In esecuzione della delega, il d.P.R. 23 marzo 1998, n. 139, art. 1, comma 5, ha stabilito che “Le costruzioni strumentali all’esercizio dell’attività agricola diverse dalle abitazioni, comprese quelle destinate ad attività agrituristiche, vengono censite nella categoria speciale D/10 – fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole, nel caso in cui le caratteristiche di destinazione e tipologiche siano tali da non consentire, senza radicali trasformazioni, una destinazione diversa da quella per la quale furono originariamente costruite”.
L’art. 2, comma 1, dello stesso decreto ha quincli inserito nel d.l. n. 557 del 1993, art. 9, il comma 3 bis, recante – per quanto ora interessa – la seguente disposizione: <<ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’articolo 2135 del codice civile e in particolare destinate alla protezione delle piante; alla conservazione dei prodotti agricoli; …..all’agriturismo in conformità a quanto previsto dalla legge 20/2/2006 n. 96; ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di collocamento».
2.3. Tali disposizioni, rilevanti a fini catastali e fiscali, non solo introducono, in modo chiaro e definitivo, una distinzione, anche di classamento catastale, fra costruzioni rurali, a seconda che siano destinate ad abitazione ovvero strumentali all’esercizio di determinate attività agricole, mediante attribuzione solo a queste ultime della categoria speciale D/10, ma soprattutto, “contrapponendo le due ipotesi e confermando soltanto per la prima la necessità dell’asservimento dell’immobile ad un fondo e della riconducibilità di entrambi ad un unico soggetto (avente un certo tipo di reddito),… implicitamente ma inequivocabilmente chiariscono che per gli altri fabbricati strumentali, non destinati all’abitazione rileva soltanto la loro destinazione ad una delle finalità sopra indicate” (Vedi Cass. n. 14013 del 2012; Cass. n. 20953 del 2008; Cass. n. 6884 del 2005) e che quindi allo scopo di riconoscere l’appartenenza di una costruzione strumentale alla categoria catastale D/10, ha rilievo soltanto la sua destinazione ad una delle finalità indicate dal d.l. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3 bis, cit.
3. Tanto premesso, la conclusione della CTR, a sostegno della posizione della contribuente, secondo cui la destinazione degli immobili ad attività di agriturismo sia sufficiente ad attribuire agli stessi il carattere di costruzione strumentale allo svolgimento dell’attività agricola, ai sensi dell’art. 9, comma 3 bis cit., merita di essere condivisa, trovando riscontro nel suindicato quadro normativo.
3.1 In riferimento a tale norma va, infatti, evidenziato che l’elencazione esemplificativa ivi contenuta costituisce pur sempre una specificazione del requisito principale richiesto, che resta la strumentalità necessaria della costruzione rispetto allo svolgimento di un’attività agricola di cui all’art. 2135 c.c.
L’art. 2135 c.c., nel testo novellato dall’art. 1, comma 1°, del d.lgs. n. 228/01, applicabile “ratione temporis”, prevede che «1. E’ imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. 2. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. 3. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.»;
La giurisprudenza formatasi su tale nuova formulazione ha evidenziato come il legislatore abbia inteso ampliare significativamente la nozione di imprenditore agricolo, allo scopo di rafforzare la posizione imprenditoriale dell’operatore soprattutto per le attività connesse, pur mantenendo fermo il nucleo essenziale dell’attività agricola, siccome incentrata sul «fattore terra», intesa come fattore produttivo, negando, invece la sussistenza dell’impresa agricola, allorché le attività connesse di cui all’art. 2135 assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura (Cass. n. 16614/2016 – Cass. n. 22978/2016 – Cass. n. 24995/2010).
È stato quindi da questa Corte affermato che l’art. 2135 c.c. novellato, richiamando le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico, ha ricompreso tra quelle complementari anche le attività che non presentano una connessione necessaria tra produzione e utilizzazione del fondo, ma unicamente un collegamento funzionale e meramente strumentale con il terreno (Sez. L, n. 5391 del 07/03/2018, Rv. 647510 – 01).
3.2 Ebbene, tra le attività connesse, ai sensi del comma 3 dell’art. 2135 e., rientrano in modo testuale quelle•” di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”, cui va certamente ricondotta l’ipotesi in cui l’offerta di ospitalità ed alloggio avvenga in unità abitative utilizzate nell’ambito dell’attività di agriturismo esercitata da una azienda agricola.
Ad ulteriore conferma di ciò rileva che art. 9, comma 3 bis, cit. tra le ipotesi esemplificative, ai fini del riconoscimento del carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’art. 2135 c.c., individua proprio l’ipotesi della loro destinazione ad agriturismo in conformità a quanto previsto dalla legge 20/2/2006 n. 96.
Ne consegue che anche una abitazione munita delle caratteristiche di lusso, in base al regolamento di cui al decreto 2 agosto 1969, perché di superficie superiore a mq 240, se destinata ad attività recettiva svolta nell’ambito di un agriturismo, presenta le caratteristiche oggettive richieste ai fini normativi ad un bene per essere ritenuto destinato ad attività strumentali a quella agricola.
Con l’ulteriore precisazione che gli immobili rurali perché strumentali all’esercizio di determinate attività agricole, ai sensi dell’art. 9, comma 3-bis del d.l. n. 557 del 1993, non rientrano nel campo di applicazione della lett. f) dell’art. 9, comma 3, dello stesso decreto che disciplina solo ed esclusivamente la diversa ipotesi del riconoscimento della ruralità, a specifiche e diverse condizioni oggettive e soggettive, alle costruzioni destinate ad abitazione, e quindi non strumentali, individuando solo e soltanto per esse la caratteristica dimensionale ostativa di cui al d.m. 2 agosto 1969
4. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto:
“Ai fini della classificazione catastale delle unità immobiliari, le costruzioni destinate alla ricezione ed ospitalità, nell’ambito dell’attività di agriturismo svolta da una azienda agricola, rivestono il carattere di strumentalità all’attività agricola che giustifica il riconoscimento della ruralità, ai sensi dell’art. 9, comma 3-bis, del d.l. n. 557 del 1993, senza che ad esse possa trovare applicazione l’esclusione di cui alla lett. f) dell’art. 9, comma 3, dello stesso decreto, operante per le sole costruzioni rurali destinate ad abitazione.“
5. Per le suesposte considerazioni, rilevato che la CTR ha fatto corretta applicazione di tale principio, il ricorso va rigettato.
5.1 La condanna alle spese segue la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare alla controricorrente le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo di € 2.700,00 per compensi professionali, oltre € 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
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