CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 28381 depositata l’ 11 ottobre 2023
Lavoro – Giusta causa – Licenziamento – Indennità di mancato preavviso – Indennità supplementare – Contratto di lavoro dirigenziale – Inammissibilità
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Trento respingeva l’appello che G.R. aveva proposto contro la sentenza n. 79/2019 del Tribunale della medesima sede che aveva rigettato le sue domande, volte a sentir accertare la carenza di giusta causa e di giustificatezza del licenziamento irrogatogli l’1.12.2017 dalla convenuta S. s.c.a.r.l. e ad ottenere la condanna di quest’ultima dell’indennità di mancato preavviso e dell’indennità supplementare o, in subordine, della sola indennità di mancato preavviso.
2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale in narrativa premetteva che al G.R., dirigente della società convenuta quale direttore commerciale dell’area alimentare, era stato addebitato di aver: – violato lo “storico caposaldo della politica commerciale della S.”, ossia, la parità delle condizioni di fornitura dei prodotti per tutti i soci, consentendo alla C.. F.B.P. di acquistare circa 600 prodotti a prezzo promozionale e di rivenderli a prezzo pieno;
– il 9 ottobre 2017, chiesto all’addetta all’ufficio commerciale B., e ottenuto, copia cartacea di tutti i prodotti (cd. referenze commerciali) trattati dal buyer E.Z., tutte le referenze a marchio C. (più di 3.000) e che, inoltre, i dati fossero copiati su chiave USB; – chiesto, il 10 ottobre 2017, tutte le cosiddette referenze non a marchio C.. copiate su chiavetta USB e, il 31 ottobre 2017, di salvare su chiavetta USB tutti i contratti sottoscritti dai fornitori nazionali C. Italia; – di aver ricevuto, gratuitamente, ogni anno dal 2003 e sino al 2014, uno skipass stagionale Dolomiti superski dalla s.p.a. G.S.I., fornitore di S..
Riteneva, quindi, infondati tutti i motivi d’appello formulati dal G.R., compresi quelli relativi alla contestazione del dono degli skipass stagionali; contestazione che peraltro reputava provata, come già il primo giudice, limitatamente all’anno 2008.
3. Avverso tale decisione G.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
4. Ha resistito l’intimata con controricorso.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce che la Corte d’appello ha violato e falsamente applicato gli standard normativi integranti la giusta causa e la giustificatezza del licenziamento in relazione alla condotta contestatagli, riguardante FC B.P..
2. Col secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2104, 2105, 2119 c.c. e gli art. 1 e 34 CCNL Dirigenti Settore Commercio, per avere la Corte d’appello ritenuto le condotte di acquisizione dei dati contestati al ricorrente illecite, laddove invece rappresentavano condotte perfettamente adempienti il contratto di lavoro dirigenziale.
3. Con un terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2727 e 2729 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto provata la circostanza che il ricorrente abbia ricevuto in omaggio uno skipass dal fornitore GSI nell’anno 2008.
4. Con il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2104, 2105, 2106 e 2119 c.c., per aver la Corte d’appello ritenuto le condotte contestate integranti la giusta causa di licenziamento.
5. Il primo motivo è inammissibile.
6. La censura in esame riguarda la parte di motivazione in cui la Corte territoriale, nel respingere il primo motivo d’appello dell’attuale ricorrente circa il trattamento di “favore” concesso alla F.C.B.P., aveva considerato che: “Rivendica al riguardo, peraltro ragionevolmente, la convenuta che la parità di trattamento tra i soci, ‘quale parte del principio mutualistico posta alla base dell’adesione al consorzio, costituisce regola la cui esistenza non è negata dall’appellante, il quale ha richiamato, in proposito, i suoi poteri discrezionali in tema di fissazione del prezzo.
Deve al riguardo rilevarsi che non sono i poteri propri del dirigente ad essere in discussione, potendo certamente il G.R. decidere i prezzi da praticare, ma la facoltà, contro uno dei principi fondanti la cooperazione, di discriminare i soci consentendo posizioni di favore.
La violazione di tale precisa disposizione, attinente ad uno dei pilastri dell’azione della società datrice di lavoro e, in quanto tale, vincolante, non può ritenersi, come preteso, fatto di significato trascurabile” (così alle pagg. 13-14 della sua sentenza).
7. Secondo il ricorrente, lo standard normativo, integrante la clausola generale di giusta causa e di giustificatezza del licenziamento, per la Corte d’appello, consisteva nel determinare unitariamente il prezzo di cessione della merce da S. a tutte le cooperative consorziate, e nel contempo, nel determinare anche il prezzo che le cooperative avrebbero dovuto praticare a terzi; ma tale standard non sarebbe altro che il tipo negoziale che viene definito dalla legislazione europea come “accordo verticale” e sarebbe in obiettivo e frontale contrasto con l’ordinamento eurounitario (vengono richiamati in particolare gli artt. 1, lett. a), e 2 Regolamento UE 330/2010 e l’art. 101, comma primo, TFUE). Inoltre, per il ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe fatto erronea applicazione dello standard normativo del principio mutualistico, avendo scambiato un patto limitativo della concorrenza illecito o, comunque, meritevole di ben scarso apprezzamento sul piano del diritto, per un patto mutualistico.
8. Per tal modo, però, il ricorrente fa riferimento a “determinazioni” di S., che, a loro, volta, rifletterebbero un “accordo”, che non è allegato fossero state rappresentate ai giudici di merito e, segnatamente, che formassero oggetto di un motivo d’appello formulato dal G.R.. A loro volta, non risulta che i giudizi di merito avessero considerato tali “determinazioni” e “accordo”, in una qualsiasi forma (anche orale) in ipotesi espressi, né comunque il ricorrente indica da quali atti del processo essi risulterebbero o dovrebbero desumersi.
Invero, con il primo motivo d’appello, cui si riferisce il passo motivazionale censurato con il primo motivo di ricorso, il G.R. aveva unicamente assunto che la condotta rientrava “nel suo potere discrezionale di accordare ai consorziati particolari condizioni commerciali” e che, in ogni caso, non poteva rilevare disciplinarmente per la “tenuità del fatto e del grado della colpa” (cfr. pagg. 12-13 dell’impugnata sentenza). Inoltre, come s’è visto, la Corte distrettuale aveva accertato che l’appellante non contestava l’esistenza della regola della parità di trattamento fra soci. La stessa Corte, infine, ha respinto anche il secondo motivo d’appello, con il quale il G.R. aveva “addotto la genericità della stessa contestazione”, relativa, cioè, sempre al trattamento di favore concesso alla FC B.P..
9. E’, perciò, evidente che non rientrava assolutamente nell’appellatum e quindi nel devolutum alla Corte territoriale il tema di un patto limitativo della concorrenza in tesi illecito, che ora deduce il ricorrente; tema che, sua volta, involgeva anzitutto la previa precisa individuazione e quindi l’interpretazione dell’accordo asseritamente “verticale” per il ricorrente, ossia, accertamenti riservati al giudice di merito, per poi verificare in diritto se l’accordo cui allude il ricorrente potesse porsi in contrasto con la normativa anticoncorrenziale di matrice europea.
Si è dunque in presenza di un’eccezione che, in quanto proposta solo in sede di giudizio di legittimità e basata su contestazioni in fatto in precedenza mai effettuate, a fronte della quale l’intimato sarebbe costretto a subire il “vulnus” delle maturate preclusioni processuali, è priva degli elementi necessari perché possa essere rilevata d’ufficio (cfr. Cass. 4175 del 19/02/2020; Cass. 21243 del 09/08/2019).
10. Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
11. Come ben risulta, infatti, dall’esteso svolgimento di tale censura, sotto l’apparente deduzione di violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., il ricorrente propone una propria diversa “ricostruzione della fattispecie concreta” (cfr. in particolare pagg. 22-23 del ricorso per cassazione); il che non è consentito in questa sede di legittimità. Ed è in base a tale ricostruzione fattuale, che si assume “puntuale”, che il ricorrente prospetta una differente valutazione di parte delle condotte contestategli (cfr. pagg. 26-27 del ricorso).
12. Analoghe considerazioni valgono per il terzo motivo di ricorso.
13. Invero, le argomentazioni del ricorrente si risolvono in una critica dell’apprezzamento probatorio compiuto dalla Corte territoriale circa l’addebito relativo all’omaggio di uno skipass ricevuto nell’anno 2008 da parte del fornitore GSI. Si assume, infatti, che: “Sul punto l’istruttoria di primo grado ha dato risultati del tutto contrari alla prospettazione del datore di lavoro; ciononostante, il primo Giudice ha ritenuto provata la condotta, limitatamente al solo 2008, sulla base di un solo riscontro documentale indiretto, contrastato da numerosi elementi, testimoniali e di esperienza, che avrebbero dovuto deporre in senso contrario”, e che: “In sede d’appello, con il quarto motivo, il ricorrente ha illustrato tutti gli elementi contrari alla prova logica raggiunta dal magistrato di primo grado senza che, peraltro, la sentenza impugnata li abbia minimamente presi in considerazione”. Per tal modo, quindi, il ricorrente denuncia in realtà un’anomalia motivazionale dell’impugnata sentenza, senza tuttavia dedurre che la motivazione della Corte territoriale a riguardo sia inesistente, apparente, perplessa o afflitta da insanabili contraddizioni. E comunque la deduzione della violazione delle norme in tema di presunzioni semplici si fonda, ancora una volta, su una diversa lettura delle risultanze processuali circa la contestazione relativa all’aver ricevuto in omaggio degli skipass stagionali (cfr. pagg. 30-36 del ricorso).
14. E’ infine inammissibile il quarto motivo.
15. Anche in questo caso, infatti, il ricorrente, in chiave di apparente deduzione di violazione di norme di diritto ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., denuncia in realtà delle anomalie motivazionali nell’impugnata sentenza. Sostiene, tra l’altro, che “la sentenza d’appello non spiega come un fatto del 2008, per cui sussista in causa la prova del fatto che, dopo il 2008 il ricorrente avesse cessato la condotta contestata, possa avere un qualche riflesso nel 2017 – momento del licenziamento – sul giudizio prognostico del datore di lavoro in merito al puntuale adempimento dell’obbligazione di lavoro”. Analogamente, in merito alla condotta riguardante la consorziata FC B.P., assume che il giudice dell’appello <ha omesso completamente di valutare “i modi, effetti e intensità dell’elemento psicologico dell’agente”, relativamente alla condotta>, come, a suo dire, descritta dal teste D.. Quanto “alle condotte di acquisizione dei dati”, deduce che la sentenza impugnata <abbia omesso radicalmente non solo di trattare in merito “all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente”, ma anche solo di dare conto se, nel caso di specie, fosse da ravvisare un dolo od una colpa>. Addebita, ancora, alla Corte territoriale che la sua <sentenza omette di specificare se “il serio rischio di impropria diffusione”, adottata prefigurando l’evento di pericolo, oppure da una condotta colposa del ricorrente, che ebbe quindi a creare l’evento per negligenza o imperizia>.
16. Al riguardo, il ricorrente non considera che la Corte di merito, prim’ancora di esaminare e respingere i motivi d’appello circa l’aver ricevuto in omaggio uno skipass nell’anno 2008, aveva concluso “che la serie di fatti compiutamente accertati all’esito dell’istruttoria svolta, non ricollegati a ragioni inerenti allo svolgimento delle mansioni, pertanto indubitabilmente, posti in essere per fini estranei all’attività svolta per la datrice di lavoro, ed alcuni “tradendo” principi fondanti dell’azione della cooperativa, siano idonei a minare la necessaria relazione fiduciaria che deve esistere fra imprenditore e dirigente, in assenza della quale l’interruzione del rapporto di lavoro è pertanto illecita”. Ed è evidente, anche alla luce del diffuso esame in precedenza compiuto in sentenza, che i giudici d’appello hanno così descritto condotte cui è stato attribuito un finalismo estraneo “all’attività svolta per la datrice di lavoro”, e quindi idoneo ad incidere negativamente sul vincolo fiduciario, che è stato apprezzato dalla Corte anche considerando l’ampiezza e la natura dei poteri riconosciuti al dirigente.
17. Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
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