Corte di Cassazione ordinanza n. 31081 depositata il 20 ottobre 2022
In tema di c.d. costi infragruppo
Rilevato che:
1. Il 20 luglio 2015 l’amministrazione finanziaria notificò a T. s.r.l., nonché alla sua controllante e consolidante W.S. s.r.l., quattro avvisi di accertamento con i quali riprendeva a tassazione, ai fini delle imposte dirette e dell’IVA per gli anni d’imposta 2010-2013, negatività di reddito ritenute indeducibili.
Secondo l’ufficio, in particolare, i costi connessi ai servizi di «assistenza e consulenza commerciale» resi da T. alla controllante, dissimulavano la «mera duplicazione di servizi» che la prima riceveva dall’opera prestata da proprio personale dipendente (ed in specie da tale P.F.), il quale si avvaleva di strumenti, conoscenze e strutture interne alla stessa società.
La controllante W.S. finiva così per configurarsi come una “scatola vuota” priva di struttura amministrativa e commerciale, di fatto appartenente allo stesso proprietario e amministratore della controllata, con conseguente radicale difetto dei requisiti di certezza, oggettiva determinabilità ed inerenza degli elementi negativi di reddito.
2. La C.T.P. di Milano accolse il ricorso proposto dalle società contribuenti avverso tali atti impositivi.
La sentenza di primo grado fu confermata dalla C.T.R. della Lombardia, adita con gravame dall’Agenzia delle entrate.
I giudici d’appello ritennero di condividere la valutazione dei primi giudici quanto alla prova dell’esistenza, certezza ed inerenza dei costi contestati, sulla base della documentazione prodotta dalla società contribuenti, che rendeva «evanescente e priva di concrete ricadute dimostrative contrarie» la tesi dell’ufficio circa la natura meramente “duplicativa” dei costi in questione.
3. La sentenza d’appello è stata impugnata dall’amministrazione finanziaria con ricorso per cassazione affidato a due motivi. Le intimate non hanno svolto difese in questa sede.
4. Inizialmente assegnata alla Sezione sesta, all’udienza dell’8 luglio 2021 la causa è stata rinviata per la discussione in udienza avuto riguardo alla rilevanza della questione trattata.
Considerato che:
1. Con il primo motivo l’amministrazione deduce nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione agli artt. 132, comma secondo, num. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 36, comma 2, num. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992.
Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata si risolve in una mera elencazione di documenti, assolutamente inidonea a comprovare l’effettività delle prestazioni rese dalla controllata e sprovvista di ogni analisi critica riferita alle puntuali doglianze che sorreggevano l’atto di appello.
La decisione sarebbe, in sintesi, sorretta da una motivazione per relationem, in quanto riferita al contenuto della sentenza di primo grado, senza contenere alcun riscontro alle censure formulate in sede di gravame ed in termini avulsi dal complessivo contesto istruttorio di riferimento.
2. Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 109, comma quinto, del t.u.i.r. e 2697 cod. civ. con riferimento all’erronea valutazione di inerenza dei componenti negativi del reddito d’impresa dedotti dalle società contribuenti.
Secondo la ricorrente, la C.T.R. avrebbe errato nel ritenere sussistente il requisito di inerenza dei costi sulla sola base della documentazione contabile e di inconferenti circostanze inerenti ad anni di imposta precedenti al periodo oggetto di indagine.
In tal senso, si sarebbe discostata dall’insegnamento di questa Corte, secondo cui la prova dell’esistenza e dell’inerenza dei costi nel contesto di un gruppo di società incombe sul soggetto che afferma di aver ricevuto il servizio, occorrendo che la controllata tragga un’effettiva utilità dal servizio remunerato, e che tale utilità sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente documentata.
3. Il primo motivo è fondato, con assorbimento del restante.
3.1 In tema di c.d. costi infragruppo, questa Corte ha ripetutamente affermato che l’onere della prova in ordine all’esistenza e all’inerenza dei costi sopportati grava sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio, occorrendo, ai fini della deducibilità del corrispettivo, che sia dimostrata l’effettiva utilità tratta dal servizio remunerato, e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente documentata (Cass. n. 8001/2021; Cass. n. 32422/2018; Cass. n. 23027/2015); pertanto, l’affermazione della deducibilità di un costo è subordinata all’effettività ed inerenza dello stesso in ordine all’attività di impresa esercitata dalla società infragruppo destinataria della prestazione e al reale vantaggio che ne sia derivato a quest’ultima, gravate di allegare in modo specifico gli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllante (Cass. n. 6820/2020; Cass. n. 23164/2017).
3.2 La sentenza d’appello ─ pur a fronte dei puntuali motivi di gravame, analiticamente riportati nel ricorso dell’amministrazione finanziaria ─ si è limitata a riconoscere la deducibilità dei costi infragruppo sulla base di un generico richiamo alla sentenza di primo grado, dal quale non è dato discernere se siano stati valutati elementi idonei a consentire l’assolvimento dell’onere probatorio che grava sulla società beneficiaria del servizio, nei termini ai quali si è più sopra fatto cenno.
La pronunzia impugnata appare dunque viziata sotto il denunziato profilo della conformità al canone motivazionale, risolvendosi il predetto richiamo in un corredo argomentativo che non raggiunge la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma sesto, Cost.; in particolare dal rinvio al «contesto motivazionale» della sentenza di primo grado, operato dai giudici d’appello, non emerge che abbia avuto luogo alcun «autonomo esame critico dei motivi d’impugnazione, con richiamo ai contenuti degli atti cui si rinvia», che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto necessario per ritenere rispettato l’evocato parametro costituzionale (cfr. Cass. n. 21443/2022; Cass. n. 2397/2021).
4. Conseguentemente, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, che, decidendo in diversa composizione, si conformerà all’indicato principio di diritto, provvedendo anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il restante, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese.
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