CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 33462 depositata il 30 novembre 2023
Tributi – Avviso di accertamento – Tassazione maggior reddito d’impresa e maggiore IVA – Rigetto
Rilevato che
Con la sentenza indicata in epigrafe la Commissione tributaria regionale della Calabria rigettava l’appello proposto dalla D. S.a.s. di C. & C. contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Crotone che aveva respinto il ricorso proposto dalla società contribuente contro l’avviso di accertamento con il quale erano stati recuperati a tassazione maggior reddito d’impresa e maggiore IVA per l’anno d’imposta 2005. Riteneva la CTR che non sussisteva alcun obbligo per l’Agenzia delle entrate di applicare – come richiesto dalla contribuente – l’accordo raggiunto a seguito dell’istanza di adesione presentata per la precedente annualità 2004, potendo il relativo accertamento essere fondato su differenti circostanze e presupposti. Liquidava le spese processuali in favore dell’Amministrazione finanziaria, assistita da propri funzionari.
Avverso la suddetta sentenza la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Il Presidente della sezione ha formulato, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, proposta di definizione del giudizio ravvisando la manifesta infondatezza del ricorso.
La ricorrente ha presentato tempestiva istanza con la quale ha chiesto la decisione ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia: “Violazione degli artt. 3 e 97 Cost. – Violazione della L. n. 241 del 1990, art. 1, comma 2 – Nullità della sentenza e/o del procedimento per errore in procedendo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – Violazione dell’art. 132 c.p.c.: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”. Con l’articolata censura la società contribuente si duole del fatto che l’Amministrazione finanziaria non abbia consentito, per l’anno d’imposta 2005, la definizione della pretesa impositiva mediante accertamento con adesione nei termini già verificatisi per l’annualità precedente.
Il motivo è infondato.
Posto che la doglianza non contiene specifiche deduzioni inerenti alla pretesa erariale, va richiamato l’orientamento di questa Corte secondo cui la formulazione di una proposta di accertamento con adesione – volta all’adozione, da parte del Fisco, di un atto unilaterale, privo di valenza transattiva, costituente esercizio di potestà impositiva – non determina né la rinuncia a far valere la pretesa tributaria, né il disconoscimento della valenza probatoria degli atti istruttori acquisiti nella fase amministrativa, sicché, nell’ipotesi di mancata adesione, è legittima l’emissione dell’avviso di accertamento, il cui contenuto, peraltro, deve necessariamente tenere conto degli eventuali chiarimenti e prove fornite dal contribuente (Cass. n. 29529/2018; Cass. n. 9659/2017).
Nella specie, pertanto, legittimamente l’Agenzia delle entrate ha emesso l’atto impugnato, non essendo essa in alcun modo vincolata dall’accordo raggiunto a seguito dell’istanza di adesione presentata dalla contribuente per la precedente annualità 2004.
2. Con il secondo motivo si deduce: “Illegittimità delle condanne relativamente alle spese delle procedure di cui alla sentenza n. 673/01/2018 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Crotone e n. 1943/2021 emessa dalla commissione Tributaria Regionale di Catanzaro”. La ricorrente si duole dell’avvenuto riconoscimento delle spese in favore dell’Amministrazione finanziaria, assumendo che le stesse non sarebbero dovute poiché quest’ultima si è avvalsa del ministero di propri funzionari.
Il motivo è infondato.
Questa Corte, con ordinanza n. 4473 del 2021, sulla base di un approfondito excursus della normativa tributaria sulle spese processuali, ha osservato che “il fatto che in tutte le disposizioni che si sono succedute, pur mantenendo costante il parametro del compenso spettante agli avvocati, si sia stabilito che il compenso debba essere riconosciuto, rende evidente che, in materia tributaria, il processo ha una sua autonomia, non solo per specifiche disposizioni normative, ma anche, evidentemente, per la gestione del processo stesso, che, al di là di quello che avviene nel contesto di altri procedimenti, richiede una particolare competenza nella trattazione, sia che ci si trovi in presenza di difesa tecnica, sia che questa difesa, sulla base delle stesse norme procedurali, sia svolta da un funzionario o dipendente all’uopo delegato“. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, ha, sempre, normativamente previsto la ripetibilità delle spese processuali nell’ipotesi in cui l’attività difensiva sia stata svolta da funzionari dell’Amministrazione finanziaria o da dipendenti di enti locali, con alcune varianti attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi.
Alla stregua di tale orientamento, cui il Collegio intende dare continuità, correttamente è stata disposta la liquidazione delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle entrate assistita da propri funzionari.
3. Il ricorso va dunque rigettato.
Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, a seguito di proposta di manifesta infondatezza del Presidente della sezione, la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, deve applicare dell’art. 96 c.p.c., commi 3 e 4, come previsto dall’art. 380-bis c.p.c., u.c.. Trattasi di una novità normativa (introdotta dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, art. 3, comma 28, lett. g), a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto del medesimo D.Lgs. n. 149 del 2022, art. 52, comma 1) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, comma 3) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad Euro 500,00 e non superiore ad Euro 5.000,00 (art. 96, comma 4) (cfr. Cass., Sez. U., n. 27195 e n. 27433 del 2023, quest’ultima sopravvenuta in pendenza del termine di deposito della presente ordinanza).
Sulla scorta di quanto esposto, la ricorrente va condannata al pagamento della somma di Euro 3.000,00 (valutata equitativamente) in favore della controricorrente e di una ulteriore somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Condanna la ricorrente al pagamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della controricorrente e di una ulteriore somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.