CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 35576 depositata il 20 dicembre 2023
Lavoro – Maggiorazioni dovute al lavoratore addetto a turni avvicendati – Cosiddetta perdita della situazione soggettiva – Rinuncia tacita dei lavoratori a un diritto – Rigetto – perché la volontà tacita di rinunziare ad un diritto risulti effettiva è necessario che il titolare ponga in essere dei comportamenti concludenti, i quali rivelino una univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso
Rilevato che
la Corte d’appello di Catania con la sentenza in atti ha rigettato il gravame proposto da S.M. srl avverso la sentenza di primo grado che respingendo l’opposizione a decreto ingiuntivo aveva riconosciuto la spettanza dell’importo di € 2681,52 a S.F. a titolo di maggiorazioni dovute al lavoratore, addetto a turni avvicendati, anche sulla mezz’ora retribuita prevista per la refezione, in virtù dell’art. 5 del CCNL Metalmeccanica industria applicato e non derogato dall’accordo sindacale sui 21 turni stipulato per lo stabilimento di Catania in data 9/5/2007;
a fondamento della decisione la Corte d’appello richiamava ex art. 118, comma 1 disp. att. c.p.c. le numerose pronunce conformi già emesse ed in particolare le sentenze nn. 154/2021 e 549/2021 in fattispecie del tutto sovrapponibili a quella oggetto del giudizio in esame;
avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.M. srl con due motivi ai quali ha resistito S,A, con controricorso illustrato da memoria;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. con il primo di ricorso si denuncia la violazione degli artt. 1175, 1225, 1227, 1375 cod. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale, nel valutare l’eccezione della perdita della situazione soggettiva, falsamente applicato le regole operanti sia sul piano dei comportamenti di debitore e creditore nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio quanto sul generale assetto sottostante l’esecuzione del contratto; si sostiene che l’inerzia prolungata e l’affidamento in buona fede della controparte dalla stessa ingenerato erano idonee a produrre la cd. perdita della situazione soggettiva e ciò a prescindere dal concorrere dell’elemento soggettivo integrante una effettiva rinuncia tacita;
2. con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., per omesso esame su fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti comportante una apparente e/o perplessa motivazione con relativa nullità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 3 e 5, c.p.c., per non avere valutato la Corte territoriale fatti storici e circostanze rimaste ad identificare l’inerzia del lavoratore come “qualificata” e non derivante da semplice ignoranza per neutro decorso del tempo, ai fini di considerare il legittimo affidamento della società nell’abbandono della pretesa;
3. i motivi non possono trovare accoglimento per le ragioni già espresse da questa Corte in precedenti condivisi, relativi alla medesima vicenda contenziosa, che vanno qui ribaditi, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. (Cass. n. 30928/2022; n. 30929/2022; n. 30930/2022; n. 30931/2022; n. 30933/2022);
3.1. il primo motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza;
esso, infatti, sebbene prospettato nei termini di una violazione di legge, mira ad una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dalla Corte territoriale, la quale ha adeguatamente e coerentemente motivato in ordine alle ragioni per cui il comportamento del lavoratore, circa la mancata attivazione della pretesa creditoria, non sia stato idoneo a produrre la perdita della situazione soggettiva; la denunciata erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa non evidenzia una erronea interpretazione delle norme da parte della Corte di merito e non configura il vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.;
peraltro, i Giudici di seconde cure hanno coerentemente interpretato i principi di buona fede e di affidamento incolpevole, nella dinamica contrattuale, in relazione alla possibile rinuncia tacita dei lavoratori; difatti, perché la volontà tacita di rinunziare ad un diritto risulti effettiva è necessario che il titolare ponga in essere dei comportamenti concludenti, i quali rivelino una univoca volontà di non avvalersi del diritto stesso; in tal senso, dalla mera inerzia o dal ritardo nell’esercizio del diritto non se ne può dedurre la volontà di rinunciare del titolare, potendo essere frutto d’ignoranza, di temporaneo impedimento o di altra causa, e spiegano rilevanza ai fini della eventuale prescrizione estintiva; da ciò ne deriva che il semplice ritardo nell’esercizio del diritto, sebbene imputabile al titolare, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, nemmeno nel caso in cui la condotta possa indurre ragionevolmente il debitore a ritenere che il diritto non sarà più esercitato;
inoltre, è necessario precisare che gli usi aziendali possono essere idonei a derogare soltanto in melius la disciplina collettiva, non avendo invece alcuna rilevanza nel caso in cui essi prevedano una disciplina peggiorativa della condizione del lavoratore (Cass. n. 12156/2000; Cass. n. 31204/2021);
infine, appare opportuno ribadire che, nel caso di specie, non sussiste una violazione degli obblighi di buona fede da parte del lavoratore, atteso che i principi di buona fede e di correttezza non sono stati manipolati dal dipendente al fine di esercitare slealmente in ritardo il diritto, essendo l’inerzia o il ritardo, di per sé soli, insufficienti ai fini di un accertamento circa una volontà abdicativa del titolare (Cass. n. 7215/1991; Cass. n. 5240/2004); d’altro canto, la tolleranza del creditore non può giustificare l’inadempimento, né comportare per se stessa modificazioni alla disciplina contrattuale non potendosi presumere una completa acquiescenza alla violazione di un obbligo contrattuale posto in essere dall’altro contraente, né un consenso alla modificazione suddetta da un comportamento equivoco come è normalmente quello di non avere preteso in passato l’osservanza dell’obbligo stesso, in quanto tale comportamento può essere ispirato da benevolenza piuttosto che essere determinato dalla volontà di modificazione del patto (Cass. n. 6635/1981; Cass. n. 466/1994; Cass. n. 5240/2004);
3.2. parimenti non può accogliersi il secondo mezzo di impugnazione;
innanzitutto, si deduce il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. “doppia conforme” (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019);
inoltre, il giudice del merito non è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze processuali prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli abbia indicato gli elementi posti a fondamento della statuizione adottata; in tal senso, la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito il quale non è tenuto a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie – sempreché la o le risultanza/e non considerata/e partitamente non sia/siano tale/i da condurre ad una diversa decisione – dovendo solo fornire un’adeguata motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti (Cass. n. 16467/2017; Cass. n. 12751/2001; Cass. n. 5045/1999) e, nel vigore del novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., una motivazione che sia rispettosa del cd. “minimo costituzionale” (cfr. Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014);
4. in conclusione il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese che liquida in euro 1.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13
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