CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 luglio 2018, n. 17248

Rapporto di lavoro – Assistente di volo – Contratti a termine – Nullità – Domanda di riconoscimento dell’anzianità lavorativa e retributiva

Fatti di causa

1. Con sentenza n. 53/2012, depositata il 22 febbraio 2012, la Corte di appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari, respinto il gravame di D.C., confermava la sentenza di primo grado, con cui il Tribunale di Tempio Pausania aveva dichiarato la nullità del termine apposto ai contratti stipulati dalla stessa con la società M. S.p.A. a far data dal primo di essi (1 ottobre 2006); conseguentemente ordinato alla società datrice di attribuire alla ricorrente la dovuta anzianità lavorativa e condannato la stessa al pagamento di undici mensilità globali di fatto a titolo risarcitorio, con la rifusione delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 1.800,00 di cui euro 1.000,00 per onorari ed euro 800,00 per diritti.

2. La Corte di merito rilevava che la società aveva integralmente riconosciuto il diritto all’anzianità e che, per tale parte, l’appello aveva inoltre formato oggetto di rinuncia, così che erano da ritenersi precluse ulteriori statuizioni sul punto e, in particolare, l’accertamento dell’eventuale diritto ad incrementi retributivi collegati all’anzianità di servizio.

3. La Corte osservava poi come il carattere onnicomprensivo dell’indennità ex art. 32 l. n. 183/2010 escludesse il diritto a somme ulteriori rispetto all’ammontare già liquidato e così alle retribuzioni od altri emolumenti negli intervalli tra un rapporto a termine e l’altro; quanto all’assegnazione di azioni della società in virtù della rivestita qualità di assistente di volo, ovvero al pagamento, a titolo risarcitorio, del valore corrispondente, la Corte rilevava come tali domande risultassero sfornite di prova, indipendentemente dalla loro compatibilità con l’art. 32.

4. La Corte rilevava infine che le spese di lite del primo grado, tenuto conto della serialità della controversia, erano state correttamente liquidate.

5. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la lavoratrice con otto motivi, assistiti da memoria; ha resistito con controricorso M.F. S.p.A., proponendo altresì ricorso incidentale condizionato, affidato ad unico motivo.

6. M. S.p.A. è rimasta intimata.

7. Il ricorso, già chiamato all’udienza pubblica del 15 giugno 2017, è stato rinviato alla presente per consentire l’acquisizione dei fascicoli dei gradi di merito.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso principale è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e degli artt. 84, 99, 100 e 306 cod. proc. civ., nonché insufficienza e contraddittorietà della motivazione (art. 360 nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ.) per avere la sentenza impugnata erroneamente dedotto la rinuncia dell’appellante alla domanda di riconoscimento dell’anzianità lavorativa e retributiva, per effetto della nullità del termine del primo contratto, con i relativi avanzamenti di grado, qualifica e mansioni e con le connesse differenze retributive, dalla dichiarazione resa dal suo procuratore all’udienza di discussione, dichiarazione con la quale era stato invece semplicemente rilevato che la società aveva attribuito (per il futuro) la richiesta anzianità lavorativa e che, pertanto, su tale punto (ma solo su di esso) era venuta a cessare la materia del contendere.

2. Con il secondo motivo è denunciata la falsa applicazione dell’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010, nonché la violazione degli artt. 5 l. n. 230/1962, 6 d.lgs. n. 368/2001, dell’Accordo quadro contenuto in allegato alla Direttiva 1999/70/CE e dell’art. 3 Cost.: rileva la ricorrente che la fondatezza della pretesa al riconoscimento dell’anzianità lavorativa e retributiva ed alle relative differenze retributive è in linea con il principio di parità di trattamento fra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato e che la natura onnicomprensiva dell’indennità risarcitoria, di cui all’art. 32, riguarda i soli periodi non lavorati (dalla scadenza del termine alla pronuncia che ricostituisce il rapporto) e non anche quelli lavorati.

3. Con il terzo motivo è dedotta omessa o insufficiente motivazione per avere la sentenza escluso il diritto della ricorrente alle retribuzioni negli intervalli non lavorati tra i diversi contratti a termine senza chiarire le ragioni per le quali le circostanze allegate (e cioè l’assoluta e costante disponibilità della lavoratrice e il divieto per la stessa di prestare servizio per altri datori) non fossero tali da integrare una pretesa ed una offerta delle prestazioni lavorative ed una costituzione in mora.

4. Con il quarto motivo è denunciata la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 4, di varie norme del Codice civile (artt. 1206, 1217, 1344, 2094, 2099, 1419 comma 2°) e del Codice di rito (artt. 167, 416, 115, 116, 245, 356, 420 e 421), dell’art. 102 disp. att. cod. proc. civ., degli artt. 5 e 6 I. 10 gennaio 1935, n. 112, in relazione agli artt. 1 e 2 l. n. 230/1962: con il motivo in esame la ricorrente si duole del mancato rilievo attribuito dalla Corte alla circostanza che, con riguardo alla pretesa di ottenere il pagamento delle retribuzioni in relazione all’offerta delle prestazioni, la società si fosse limitata a dedurre che non vi era stata alcuna offerta formale, senza contestare i fatti specificamente allegati, e comunque lamenta la mancata ammissione delle prove richieste a tal fine.

5. Con il quinto e con il sesto motivo è denunciato il vizio di omessa motivazione per non avere la sentenza di appello considerato, in relazione a diversi profili, che nessuna costituzione in mora era necessaria nel caso in esame.

6. Con il settimo motivo è denunciata la violazione degli artt. 167 e 416, comma 3°, 115 e 116 cod. proc. civ., degli artt. 2043, 2056, 2094, 2099 cod. civ. e dell’art. 36 cost. (art. 360 n. 3 e n. 4), nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la sentenza rigettato la domanda di assegnazione delle azioni M. (o di risarcimento del danno) sul rilievo dell’assenza di prova, senza considerare che la società non aveva contestato i fatti a fondamento della pretesa ma solo la valutazione data alle azioni.

7. Infine, con l’ottavo motivo la ricorrente principale, deducendo la violazione del D.M. 8 aprile 2004, n. 127 e degli artt. 112, 132 e 279 cod. proc. civ., nonché omessa o insufficiente motivazione (art. 360 nn. 3, 4 e 5), si duole del regolamento delle spese di lite, avendone la Corte determinato l’importo al di sotto dei minimi tariffari e senza motivazione adeguata.

8. Con l’unico motivo del proprio ricorso incidentale M.F. S.p.A. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 5, l. n. 183/2010, così come chiarito ed interpretato dall’art. 1, comma 13, l. n. 92/2012, osservando come, nella ipotesi di accoglimento del primo motivo del ricorso principale, la lavoratrice non potrebbe da tale pronuncia trarre alcuna utilità, sul rilievo che l’indennità di cui all’art. 32, comma 5, copre pure le eventuali pretese e differenze retributive (e segnatamente gli scatti di anzianità) maturate fino alla sentenza che ha dichiarato il rapporto a tempo indeterminato.

9. E’ fondato, e deve essere accolto, il primo motivo del ricorso principale.

10. Al riguardo si osserva che la Corte territoriale ha ritenuto oggetto di rinuncia la domanda relativa alla ricostruzione della carriera, ai fini previdenziali e retributivi, conseguente all’accertata nullità del termine apposto al primo contratto, sulla base della mera dichiarazione resa all’udienza di discussione della causa dal procuratore dell’appellante, avv. M., il quale – secondo ciò che risulta dal verbale – ha rilevato “che il punto dell’anzianità” era stato “risolto dalla compagnia” e che, pertanto, era da ritenersi cessata la materia del contendere.

11. Peraltro la Corte è pervenuta a tale conclusione senza confrontare la dichiarazione con il contenuto della domanda, con la quale era stata richiesta l’attribuzione della dovuta anzianità lavorativa e dei relativi scatti (e cioè la completa  ricostruzione della carriera, anche a fini previdenziali e retributivi, con i connessi avanzamenti, anche automatici, di grado, qualifica e mansioni): in sostanza, senza spiegare come potesse emergere, dalla dichiarazione del difensore, la rinuncia (anche) alle differenze e agli incrementi retributivi collegati all’anzianità di servizio, tenuto altresì conto della sommarietà della pronuncia di primo grado sul punto e della formulazione, con il ricorso in appello, di specifico motivo di impugnazione.

12. Quanto alla utilità che da una pronuncia di accoglimento del suddetto motivo potrebbe derivare alla ricorrente principale (ed esaminando, a tal fine, il ricorso incidentale condizionato di M.F.), deve essere richiamato l’orientamento ribadito, fra le numerose conformi, da Cass. n. 14899/2015 (ord.).

3. Come puntualizzato nella suddetta ordinanza, l’art. 32 l. n. 183/2010 ha modificato il regime della tutela del lavoratore assunto con un contratto a termine illegittimo.

14. Il precedente assetto era così organizzato: nel caso in cui si accertasse l’illegittimità del termine, il giudice doveva ordinare la riammissione in servizio del lavoratore, con conseguente diritto a percepire le retribuzioni anche qualora il datore di lavoro non consentisse la ripresa del lavoro.

15. Questa prima fondamentale conseguenza è rimasta immutata.

16. Anche dopo la l. n. 183/2010 e la legge di interpretazione autentica, la sentenza che accerta l’illegittimità del termine converte il contratto a termine in contratto a tempo indeterminato e dispone la riammissione del lavoratore in servizio.

17. Da quel momento il lavoratore avrà diritto a percepire le retribuzioni tanto se il datore di lavoro adempie, quanto se non adempie (in questo secondo caso a titolo di risarcimento del danno commisurato al pregiudizio economico derivante dal rifiuto di assunzione: cfr. Cass. 11 aprile 2013, n. 8851; ma v. anche Corte cost. 30 luglio 2014, n. 226).

18. Con riferimento, invece, al periodo che precede la sentenza, il quadro è parzialmente cambiato.

19. Nel regime previgente mancava una norma che regolasse specificamente questo profilo e la regolamentazione venne delineata in base ai principi generali del diritto civile e del lavoro.

20. Fondamentale fu la sentenza delle Sezioni unite 5 marzo 1991, n. 2334, che risolse il contrasto tra due orientamenti: quello che riteneva che al lavoratore spettassero tutte le retribuzioni pregresse e quello che invece riteneva che il lavoratore avesse diritto alle retribuzioni pregresse solo se e a decorrere dal momento in cui avesse messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative.

21. E’ bene ricordare che la diversità dei due orientamenti concerneva il diritto alla retribuzione per gli intervalli non lavorati tra un contratto a termine e l’altro, in caso di sequenza di contratti a termine, mentre nessuna delle sentenze in conflitto negava che spettasse la retribuzione per i periodi di lavoro effettuati nella sequenza di contratti a termine.

22. Le Sezioni Unite ritennero che il problema concernente i periodi “non lavorati”, non trovasse soluzione in una norma specifica, come invece avveniva nella materia affine ma non identica dei licenziamenti illegittimi con l’art. 18 l. n. 300/1970, e dovesse, quindi, essere risolto in base ai principi generali dell’ordinamento.

23. Affermarono che il principio regolatore della materia, data la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro, fosse quello della corrispettività tra lavoro e retribuzione e che non potesse esservi retribuzione in assenza della prestazione lavorativa.

24. Per questa ragione ritennero non fondato l’orientamento che riconosceva tutte le retribuzioni pregresse per i periodi non lavorati, ed invece fondato quello che le riconosceva, ma solo a condizione ed a far tempo da un eventuale atto di messa a disposizione delle energie lavorative da parte del lavoratore.

25. Queste conclusioni hanno guidato la giurisprudenza dei decenni successivi.

26. Le Sezioni Unite si espressero anche sui “periodi lavorati” e precisarono che l’unificazione del rapporto di lavoro “comporta, a prescindere dalle eventuali spettanze, nei limiti anzidetti, per gli intervalli non lavorati, un ricalcolo delle spettanze per i periodi lavorati una volta considerati inseriti nell’unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con conseguente applicazione degli istituti propri di questo quali, ad esempio, gli aumenti di anzianità, la misura del periodo di comporto, la misura del periodo di preavviso, e determina comunque sicuri vantaggi per il lavoratore …. quali l’acquisizione della corrispondente anzianità, quanto meno per sommatoria dei periodi lavorati”.

27. Il quadro regolativo è cambiato con la l. n. 183/2010, ma – come si vedrà – il cambiamento riguarda solo i periodi non lavorati.

28. L’art. 32, comma 5, così si esprime: “nei casi di conversione del contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore, stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

29. La l. n. 92/2012 ha sancito, all’art. 1, comma 13, che detta norma “si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia dei provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostruzione del rapporto di lavoro”.

30. Dalla norma si desume che l’indennità è volta al “risarcimento” del lavoratore e, quindi, concerne un danno subito dal lavoratore e cioè il danno derivante dalla perdita del lavoro dovuta ad un contratto a termine illegittimo, un danno da mancato lavoro.

31. La norma di interpretazione autentica afferma che l’indennità “ristora un pregiudizio” ribadendo, ancor più esplicitamente, che è correlata ad un danno, un pregiudizio, derivante dalla perdita del lavoro e che essa è onnicomprensiva perché ristora per intero le “conseguenze” retributive e contributive di quel danno da mancato lavoro: quindi, tutti i danni sul piano retributivo e contributivo che sono conseguenza, cioè sono legati da un nesso di causalità con la perdita del lavoro.

32. Se l’indennità serve a risarcire le conseguenze retributive e contributive del danno da mancato lavoro è evidente che il legislatore considera solo i periodi di non lavoro ai fini di tale risarcimento.

33. Ed infatti esclude dal computo il periodo sino alla scadenza del termine, che è periodo di lavoro, in cui il lavoratore è stato retribuito e, quindi, non ha subito, né può subire, conseguenze negative sul piano retributivo o contributivo.

34. In tale periodo la retribuzione è dovuta e detto periodo si computa ai fini degli effetti riflessi e dell’anzianità di servizio.

35. L’anzianità di servizio maturata in questo periodo lavorato, vale a tutti gli effetti: rileva persino per la quantificazione della indennità volta a risarcire il danno derivante dalla perdita del lavoro, perché è uno dei criteri indicati dalla l. n. 604 del 1966, art. 8, richiamati dalla l. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5.

36. Il problema oggetto della presente controversia deriva dal fatto che il datore di lavoro ha stipulato con il lavoratore non un unico contratto a termine, ma una serie di contratti a termine.

37. Il legislatore non ha espressamente considerato questo caso, ma l’interpretazione logico-sistematica della norma impone di ritenere che, se è estraneo al risarcimento il periodo del primo contratto a termine, lo saranno anche i periodi lavorati in successivi contratti a tempo determinato.

38. Sarebbe assurdo affermare che per questi periodi la retribuzione non spetti e sia assorbita nella indennità, ma è parimenti contrario alla logica della norma ritenere che questi periodi di lavoro è come se non fossero stati effettuati e non rilevino ai fini dell’anzianità di servizio e delle sue implicazioni economiche.

39. Questi periodi non possono non avere lo stesso trattamento giuridico del periodo di lavoro per il primo contratto a termine in quanto, al pari del primo, sono estranei al danno determinato dal non lavoro, quindi estranei alla indennità prevista dal legislatore per risarcire le conseguenze retributive e contributive di quel pregiudizio.

40. Il risarcimento riguarderà solo i periodi di “non lavoro”: solo per questi periodi vi è un danno da risarcire e un pregiudizio da ristorare.

41. Pertanto l’indennità prevista dall’art. 32 risarcisce il danno subito per il mancato lavoro e lo risarcisce in tutte le sue conseguenze retributive e contributive e, in tal senso, è onnicomprensiva; mentre non riguarda il periodo (in caso di un unico contratto a termine) o i periodi di lavoro (in caso di più contratti a termine).

42. I diritti relativi a questi periodi non possono essere intaccati e inglobati nell’indennizzo forfetizzato del danno causato dal non lavoro: per essi, infatti, non vi è niente da risarcire ed il risarcimento mediante indennizzo non può, in una sorta di eterogenesi dei fini, risolversi nella contrazione di diritti legati da un rapporto di corrispettività con la prestazione lavorativa effettuata.

43. In conclusione, nonostante i problemi lessicali derivanti dal fatto che probabilmente il legislatore ha configurato l’indennità avendo presente il caso, statisticamente più frequente, della stipulazione di un unico contratto a termine, deve affermarsi che l’indennità prevista dall’art. 32 l. n. 183/2010 ristora in generale il danno subito dal lavoratore per l’allontanamento dal lavoro, tanto se questo sia stato unico, quanto se sia stato ripetuto.

Per tali periodi di non lavoro, mentre prima il lavoratore aveva diritto ad essere comunque retribuito a decorrere dalla messa a disposizione delle energie lavorative pur non avendo lavorato, oggi è prevista solo l’indennità da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilità.

45. Al contrario, per il periodo di lavoro (o i periodi di lavoro, in caso di sequenza di contratti) il lavoratore ha diritto ad essere retribuito ed ha diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della anzianità di servizio e della maturazione degli scatti di anzianità.

46. Le suddette considerazioni e la richiamata natura onnicomprensiva dell’indennità ex art. 32, comma 5, l. n. 183/2010, che copre le pretese relative agli intervalli non lavorati, consentono di ritenere infondati anche il terzo, quarto, quinto e sesto motivo del ricorso principale.

47. Egualmente infondato è il settimo motivo del medesimo ricorso, alla luce di Cass. n. 14996/2012, con la quale è stato precisato, in fattispecie analoga alla presente, che “in tema di rapporto di lavoro con termine illegittimamente apposto, l’indennità di cui al comma 5 dell’art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, come disciplinata dall’art. 1, comma 13, della legge n. 92 del 28 giugno 2012 con norma di interpretazione autentica, ha carattere “forfetizzato” ed “onnicomprensivo” e, pertanto, ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprendendo tutti i danni – retributivi e contributivi – causati dalla nullità del termine”; con la conseguenza che “l’indennità comprende anche il risarcimento del danno derivante dalla mancata assegnazione di azioni, aziendalmente prevista per gli assistenti di volo dipendenti a tempo indeterminato, trattandosi di danno comunque direttamente discendente dalla nullità del termine”.

48. In conclusione, deve essere accolto il primo motivo del ricorso principale (con rigetto del ricorso incidentale condizionato), assorbiti il secondo e l’ottavo e rigettati gli altri.

49. Per l’effetto, l’impugnata sentenza n. 53/2012 della Corte di appello di Cagliari — Sezione distaccata di Sassari deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Cagliari, cui è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo e l’ultimo, rigettati gli altri; rigetta il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Cagliari.