CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 agosto 2018, n. 20500
Contratto di lavoro termine – Accertamento di rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Indennità risarcitoria ex art. 32, L. n. 183/2010
Fatti di causa
La Corte di appello di Roma con la sentenza n. 1818/2017, in parziale riforma della sentenza del Tribunale locale aveva dichiarato l’attuale sussistenza tra L. S. e S. R. spa di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 12.6.2006 ed aveva condannato la società al pagamento di una indennità risarcitoria ex art. 32 legge n. 183/2010 nella misura di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto , oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data della sentenza.
La stessa Corte, in base alle risultanze testimoniali del primo grado ed alle dichiarazioni rese dai testi escussi in sede di gravame, aveva confermato la decisione del Tribunale sulla natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso ed aveva quindi ritenuto a ciò conseguente la declaratoria di conversione del contratto di lavoro autonomo a termine in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, non risultando in alcun modo giustificata l’apposizione di termine ex D.lgs n. 368/2001. Riteneva il giudice del gravame che alcuna violazione del divieto di extrapetizione era configurabile nella pronuncia e decisione adottata, rispetto alla domanda azionata originariamente dalla L., atteso che la stessa, sulla premessa del riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro, chiedendo la reintegrazione ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300/70, aveva in concreto richiesto comunque la ricostituzione del rapporto con il risarcimento del danno conseguente.
Avverso tale decisione la L. proponeva ricorso affidandolo a due motivi, cui resisteva la società S. R. con controricorso e ricorso incidentale affidato a tre motivi ed a memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1) – Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 l.n. 183/2010, dell’art. 1414 comma 2°c.c., dell’art. 1344 c.c. dell’art. 1418 c.c. e del D.lgs n. 368/2001, (art. 360 n.3), per aver la Corte erroneamente applicato le regole relative alla conversione del contratto a termine ritenuto illegittimo ed alle conseguenze di tale illegittimità. Ritiene la ricorrente che, poiché la fattispecie in esame non è riferibile alla ipotesi di nullità del termine apposto illegittimamente al contratto, ma alla nullità ab origine del contratto di lavoro autonomo, era da riconoscersi il diritto al risarcimento del danno pari a tutte le retribuzioni maturate dalla cessazione del rapporto sino al suo ripristino.
2) – Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3), dell’art. 2697 c.c. e art. 18 l.n. 300/70, per aver , la Corte, erroneamente ritenuto non qualificabile come licenziamento la cessazione del rapporto di lavoro. Ha assunto la lavoratrice che grava sul datore di lavoro l’onere di fornire la prova delle modalità di risoluzione del rapporto di lavoro, e che, in assenza di allegazioni in tale senso, coerenti con la esistenza di un rapporto continuativo di natura subordinata a tempo indeterminato, la cessazione del rapporto era da imputare a licenziamento orale con le conseguenze a questo inerenti.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente, attesa la stretta correlazione tra gli stessi e la attinenza alla principale questione degli effetti della declaratoria di illegittimità del contratto di collaborazione autonoma.
3) – Questa Corte (ex plurimis Cass., sez. lav., 17 gennaio 2013, n. 1148) ha affermato che l’indennità prevista dalla L. 4 novembre 2010, n.183, art. 32, nel significato chiarito dalla L. 28 giugno 2012, n.92, art. 1, comma 13, trova applicazione con riferimento a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine termine illegittimo e si applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell’illegittimità di un contratto a termine, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione ( anche Cass. n. 10317/2017; Cass. n. 8286/2015).
II principio evidenzia la conseguenza che accomuna tutte le ipotesi di riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in sostituzione di altra ipotesi contrattuale a tempo determinato. La previsione della indennità in questione costituisce la forma risarcitoria individuata ex ante dal legislatore. I motivi devono quindi essere rigettati.
4) La società S. R. spa ha proposto ricorso incidentale affidandolo a tre motivi:
a) – Violazione dell’art. 112, 113, 99 e 421 c.p.c., dell’art. 2909 c.c. e 324 c.p.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c. per aver, la corte d’appello, ritenuto che, confermato l’accertamento sulla natura subordinata del rapporto di lavoro tra le parti, fosse conseguenziale a questo la conversione del contratto di lavoro autonomo tra le parti in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. In tale pronuncia al società riteneva sussistere un vizio di ultra ed extra petizione poiché’ la lavoratrice aveva esclusivamente richiesto l’accertamento di un rapporto di lavoro a termine e non già a tempo indeterminato senza peraltro impugnare il termine apposto e richiedere la conversione del rapporto ed il risarcimento del danno.
b) – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma n. 5 c.p.c.. La società lamenta la mancata valorizzazione ed esame degli elementi costitutivi della fattispecie ( rapporto di lavoro), da parte della corte territoriale , così escludendo il vizio di extrapetizione. La Corte non aveva correttamente esaminato i concreti contenuti della domanda volta all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato e l’illegittimità del licenziamento verbale.
c) – Con il terzo motivo la società rileva la nullità della sentenza , ex art. 360 co. l n. 4 c.p.c., per violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c., avendo , la corte di merito, erroneamente respinto il motivo di appello della società con il quale eccepiva la violazione dell’art. 112 c.p.c.
I tre motivi del ricorso incidentale possono essere trattati congiuntamente poiché attengono alla medesima questione relativa al denunciato vizio di ultrapetizione.
Va premesso che l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito e, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata ed era compresa nel thema decidendum, tale statuizione, prima ancora che sotto il profilo dell’ ultrapetizione, deve essere indagata sotto il profilo della erroneità della motivazione nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass. 27/10/2015 n. 21874, 05/02/2014 n. 2630, Cass. 31/01/2007 n. 2096, Cass. 18/04/2006 n. 8953, Cass. 21/02/2006 n. 3702).
Va del pari rammentato che nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, poi, il giudice del merito non è tenuto ad uniformarsi al tenore letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, (cfr. Cass. 19/10/2015 n. 21087 e 31/07/2017 n. 19002). Sussiste, infatti, il vizio di “ultra” o “extra” petizione ex art. 112 c.p.c., quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. Nell’accertare tale vizio, tuttavia, occorre tenere in considerazione il principio “iura novit curia” di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1. Resta pertanto sempre salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (13/12/2010 n. 25140).
Nel caso in esame, la Corte territoriale sulla base delle allegazioni di fatto delle parti e nel rispetto del contraddittorio, ha prima qualificato il rapporto di lavoro come subordinato e poi ha accertato che lo stesso era assoggettato ad un termine di cui ha accertato la invalidità e, conseguentemente, ha convertito il rapporto e, coerentemente, risarcito il danno applicando la disciplina sopravvenuta dettata dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32 (in tal senso si veda anche Cass. N. 4337/2018).
I tre motivi del ricorso incidentale devono pertanto essere rigettati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale.
Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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