CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 maggio 2018, n. 10761
Lavoro – Farmacista – Accesso alla pensione di vecchiaia – Requisiti – Esercizio minimo ventennale dell’attività professionale
Fatti di causa
La Corte d’Appello di Ancona con la sentenza n. 625/2012 respingeva l’impugnazione dell’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Farmacisti (E.N.P.A.F.) avverso la sentenza che aveva riconosciuto al dott. C.A. il diritto ad accedere alla pensione di vecchiaia in assenza dell’ulteriore requisito, introdotto dal Regolamento dell’attività statutaria dell’ENPAF approvato con decreto ministeriale del 15 novembre 1994, dell’esercizio minimo ventennale dell’attività di farmacista.
A fondamento della sentenza la Corte osservava che il C. al 31 dicembre 1991, allorché si era cancellato dall’albo e quindi dall’ente previdenziale, vantava 21 anni di iscrizione e di contribuzione, ma non poteva conseguire la pensione di vecchiaia perché non aveva raggiunto l’età pensionabile fissata al compimento del 65° anno di età; sosteneva inoltre che il 4 comma dell’articolo 8 del Regolamento dell’attività statutaria dell’ENPAF approvato il 15 novembre 1994, dovesse essere interpretato nel senso che la disposizione innovativa del possesso dell’ulteriore requisito dei vent’anni di attività professionale di cui alla lettera C del primo comma della stessa disposizione, richiesto per coloro che si iscrivono o si reiscrivono all’ente dopo l’entrata in vigore della presente normativa (ossia dopo il 31 dicembre 1994) riguardava, per i casi di reiscrizione, soltanto i soggetti che non avessero già maturato il requisito assicurativo contributivo minimo; che pertanto in base al criterio della neutralizzazione della contribuzione deteriore enunciato dal tribunale e derivante dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale il diritto alla pensione di vecchiaia spettasse al compimento del 65° anno al dottor C. sulla base del regime transitorio che non contemplava affatto il requisito ulteriore dell’attività professionale minima ventennale; che al compimento del 65° anno di età ed alla data della domanda amministrativa inoltrata lo stesso giorno (22 febbraio 2008) egli poteva però far valere 28 anni di contributi ed aveva pertanto diritto alla pensione di vecchiaia in base alla disciplina transitoria di cui al comma 2 dell’art. 8 – individuata nella decisione come “autonoma ed assorbente ratio decidendi” – indipendentemente dal nuovo requisito dell’attività professionale minima ventennale introdotto dal nuovo regolamento, perché tale requisito non era appunto richiesto per i pensionamenti di vecchiaia ricadenti nel regime transitorio di cui al comma 2 dell’articolo 8 del Regolamento.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ENPAF con un motivo di censura illustrato da memoria; resiste C.A. con controricorso.
Ragioni della decisione
1. – Con l’unico motivo del ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 8 commi 2, 3 e 4 del Regolamento di Previdenza e Assistenza dell’ENPAF approvato con D.M. 15 settembre 94 e degli articoli 1 e 2 del decreto legislativo n. 509/1994, avendo la sentenza errato a riconoscere al dottor Carmine C. l’accesso a pensione di vecchiaia in mancanza del requisito dettato dal regolamento citato di almeno 20 anni di attività professionale siccome richiesto dal quarto comma dell’articolo 8 “per coloro che si iscrivano o si reiscrivano all’ente dopo il 31 dicembre 1994.”
2. – Il motivo è infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.
Risulta pacifico e non contestato in fatto che il dottor C. sia stato iscritto all’ENPAF dal 1969 e che si sia cancellato il 31 dicembre 1991, non avendo a quella data maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia ai sensi del pregresso regolamento in mancanza del requisito dell’età anagrafica di 65 anni. Il dottor C. si è poi reiscritto all’albo dei farmacisti in data 25 giugno 2003.
3. – Nel 1994 il nuovo Regolamento ha stabilito all’articolo 8, comma 1, che la per la pensione di vecchiaia fosse necessario, tra l’altro, possedere il requisito di almeno 20 anni di attività professionale. Nella causa si discute se tale nuovo requisito debba valere anche per il dottor C..
4. – Secondo il primo giudice, che ha riconosciuto il diritto alla pensione, tale requisito non poteva valere per il C. in quanto avendo già egli maturato i requisiti di iscrizione e contribuzione al 31 dicembre 91 la sua posizione doveva essere equiparata a quella degli assicurati (contemplati nel 3° comma dell’articolo 8 del citato Regolamento), che risultavano dimessi dagli albi e dagli ordini ma che avevano già maturato il requisito dell’anzianità assicurativa e contributiva di quindici anni; altrimenti, secondo il tribunale, si rischierebbe di far conseguire da un dato giuridicamente neutro, come la successiva reiscrizione all’albo e dall’ente, una conseguenza pregiudizievole per l’interessato , distinguendo irragionevolmente e in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, tra chi maturati i requisiti non si sia reiscritto (il quale compiuta l’età pensionabile otterrebbe la pensione) e chi, maturati parimenti i requisiti, si sia reiscritto (il quale si vedrebbe privato della pensione in virtù della previsione di un nuovo requisito).
5. – Secondo la Corte d’Appello – che pur ha condiviso e richiamato queste argomentazioni utilizzate dal primo giudice, qualificandole alla stregua dell’istituto della c.d. neutralizzazione (secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di calcolo della pensione) – il ricorrente aveva in realtà diritto alla pensione di vecchiaia al compimento del 65° anno sulla scorta del regime transitorio ( previsto nel 2° comma dell’art. 8) che non contempla affatto il requisito ulteriore dell’attività professionale minima ventennale. E questo diritto è stato posto espressamente alla base della decisione identificata come autonoma ed assorbente ratio decidendi rispetto a quella posta a fondamento della decisione di primo grado.
6. – Si può pertanto prescindere da tutte le (più o meno pertinenti) considerazioni e censure dedicate al criterio della c.d. neutralizzazione (ed alla relativa giurisprudenza pronunciata in materia dalla Corte Costituzionale); come anche da quelle relative all’asserita assimilazione di coloro che si siano reiscritti all’ente dopo il 31 dicembre 1994 con coloro che si siano dimessi alla data del 31 dicembre 1991 (e che conservano il diritto alla pensione di vecchiaia sulla base del requisito di 15 anni di iscrizione e di contribuzione effettive all’ente successive al 1 gennaio 1959; come si contempla nel diverso comma 3° dell’art. 8).
7. – Neppure si tratta di ragionare intorno a diritti quesiti dell’assicurato, essendo pacifico che alla data della cancellazione il C. non avesse maturato alcun diritto a pensione, per difetto del requisito anagrafico.
8. – La Corte d’Appello, come si è sopra ricordato, ha posto alla base della pronuncia la tesi secondo la quale – poiché il C. al compimento del 65° anno di età poteva far valere 28 anni di contributi – egli avesse diritto alla pensione di vecchiaia indipendentemente dal requisito ulteriore dell’attività professionale minima ventennale, requisito non richiesto per i pensionamenti di vecchiaia ricadenti nel regime transitorio. La fattispecie rientrava cioè nel comma 2 dell’articolo 8 ed in particolare nella previsione del decreto ministeriale che delinea il regime transitorio. Nel caso di specie si trattava di applicare la previsione secondo cui la pensione spettava ” nel 2008 e nel 2009 all’assicurato che abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e possa far valere almeno ventiquattro anni di iscrizione e di contribuzione effettive”; nella quale il Camerali rientrava in quanto appunto al 22 febbraio 2008, all’atto della domanda, egli poteva far valere 65 anni d’età e 28 anni di contributi; non applicandosi invece nel regime transitorio l’ulteriore requisito dell’attività professionale minima ventennale.
9. Pertanto, a prescindere dalle considerazioni effettuate ai giudici di merito in materia di neutralizzazione e da quelle volte a parificare la situazione di chi fosse dimesso al 31 dicembre 91 con quella di chi si fosse prima cancellato alla stessa data e poi reiscritto – che in realtà non incidono sul diritto del Camerali a ricevere la pensione di vecchiaia in base al regolamento – la sentenza d’appello ha correttamente affermato che il requisito ulteriore dell’attività professionale minima ventennale non sia contemplato nel regime transitorio. Per cui non si intuisce per quale ragione tale regime transitorio non possa valere per “l’assicurato” che abbia soddisfatto i requisiti anagrafici, di iscrizione e contribuzione effettiva ivi previsti, con una compiuta disciplina, ancorché egli si sia reiscritto all’albo dei farmacisti dopo l’entrata in vigore del nuovo Regolamento.
11. – Non vale perciò osservare che il requisito dello svolgimento dell’attività professionale minima ventennale valga (secondo il 4° comma dell’art. 8) anche per chi si reiscriva all’albo dei farmacisti dopo il 31/12/1994, dovendo escludersi che lo stesso requisito possa essere utile però per “l’assicurato” che rientri nel regime transitorio (previsto nel comma precedente) nel quale il requisito medesimo non vale in partenza.
12. – In altri termini, come si evince dalle interpretazione letterale, logico e sistematica della disciplina regolamentare in oggetto (art. 8 commi 1, 2, 3 e 4) le modifiche introdotte dal regolamento con l’aggravamento dei criteri di accesso alla pensione di vecchiaia ed in particolare con l’introduzione del requisito dell’anzianità ventennale di esercizio della professione, valgono a partire dal 1° gennaio 1995 e si riferiscono sia agli iscritti che ai reiscritti (commi 1 e 4); ad eccezione di coloro che in base al 2° comma dell’articolo 8 rientrano nella disciplina transitoria prevista per il periodo dal 1 gennaio 92 al 31 dicembre 2019; e di coloro che in base al terzo comma dell’articolo 8 si fossero dimessi al 31.12.1991 maturando i 15 anni di contributi.
13. – Talché non vi è motivo per non riconoscere al ricorrente la pensione di vecchiaia, pur rientrando egli nella normativa transitoria stabilita dal regolamento con una esaustiva disciplina dei requisiti necessari per il periodo che va dal 1 gennaio 1992 al 31 dicembre 2019; e richiedere, per il solo fatto che egli si sia reiscritto dopo il 31.12.1994, un requisito (quello dello svolgimento ventennale dell’attività professionale) che la medesima disciplina transitoria non richiede in partenza; essendo stata dettata allo scopo di mitigare l’impatto dei nuovi criteri di accesso e di escludere, per tutti i soggetti in possesso dei requisiti di anzianità contributiva ed anagrafica ivi previsti, anche la necessità del nuovo requisito (dell’aver svolto per almeno 20 anni l’attività professionale).
14. – Deve allora affermarsi che la disciplina transitoria – la quale vale dal 1992 al 2019 e nella quale non è richiesta la regola della anzianità di vent’anni di esercizio della professione – poiché è volta per sua natura a derogare alla disciplina a regime ed a mitigare l’impatto della nuova normativa ordinaria, non può essere a sua volta delimitata dalla previsione del 4° comma per chi si iscriva o reiscriva dopo il 1994 (ovvero dalla necessità della stessa regola della anzianità di vent’anni di esercizio della professione) che la disciplina transitoria stessa intende derogare. Non ha infatti senso sostenere che una disciplina transitoria, sia a sua volta derogata da una disciplina ordinaria; quando il senso della prima è quello di approntare un regime speciale che consenta la non applicazione della stessa disciplina ordinaria. Il requisito dell’anzianità di 20 anni vale nel regime ordinario introdotto dal regolamento; ma non può valere per i casi che rientrano nella disciplina transitoria per sua natura derogatoria.
15. – Né si può sostenere che detta disciplina transitoria non possa valere per intero per coloro che si siano reiscritti dopo il 31/12/94, atteso che tale requisito negativo non è previsto da nessuna norma. Si tratta invece di una disciplina che vale per tutti allo stesso modo e negli stessi termini (“per l’assicurato” dice la norma).
16.- Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’ENPAF al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive € 3700 di cui € 3500 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed oneri accessori.
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