CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 giugno 2013, n. 14137
Tributi – IVA – Operazioni imponibili non dichiarate – Movimenti bancari – Verifica conti correnti dei soci – Operazioni di prelievo e versamenti di cospicue somme non giustificati – Riferibilità alla società
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione (rgn. 15427/07), affidato a due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che ne ha accolto parzialmente l’appello nel giudizio promosso dalla sas S. di L.P. & C. con l’impugnazione dell’avviso di rettifica dell’IVA per l’anno 1997, con il quale venivano contestate l’omessa fatturazione di operazioni imponibili e l’omessa regolarizzazione di acquisti senza fattura, sulla base delle risultanze del verbale di constatazione da cui era emerso che sui conti correnti bancari intestati ai due soci, coniugi, erano stati eseguiti versamenti e prelevamenti, ritenuti riferibili alla società, privi di riscontro nella contabilità di questa e quindi considerati ricavi ed acquisti non contabilizzati, ai sensi degli artt. 51 e 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Secondo il giudice di secondo grado la riferibilità alla società dei conti correnti bancari dei soci, alla luce del rapporto molto stretto, quasi organico, che lega società in accomandita semplice e soci che la compongono, “a parte ogni possibile ulteriore dimostrazione sul piano concreto, si fonda su circostanze di fatto quali la mancata giustificazione dei cospicui versamenti in assenza di altre significative attività lucrative”, circostanze che “costituiscono quelle presunzioni gravi, precise e concordanti che la riferibilità di cui trattiamo richiede. De questo punto di vista l’utilizzo da parte dell’ufficio delle procedure di cui all’art. 51 d.P.R. 633/72 e all’art. 32 d.P.R. 600/73 sembra perfettamente legittimo, determinando per l’effetto un’inversione dell’onere della prova.
Le garanzie per la società contribuente sono date dalla possibilità di fornire adeguate giustificazioni.”
In ordine “al quantum della ripresa fiscale, viceversa”, il giudice d’appello si è detto non convinto delle ragioni dell’ufficio. Posto che la società contribuente, che svolgeva attività di intermediazione nella compravendita di dipinti di valore, vendeva in sostanza dipinti all’acquirente interessato per conto del proprietario che li aveva in precedenza ad essa affidati in conto vendita, ha osservato che la rilevanza economica ai fini dell’IVA non poteva essere che la differenza fra prezzo e commissione. In tale contesto, “i conti correnti dei soci, ai fini della riferibilità delle movimentazioni alla società, dovrebbero essere depurati di tutte quelle operazioni consistenti in spostamenti di liquidità da un conto corrente all’altro, evitando di far assumere agli stessi un effetto moltiplicatore nell’applicazione dell’imposta”. “In mancanza di validi elementi probatori in contrasto con tale valutazione” la Commissione regionale ha perciò ritenuto che la effettiva base imponibile era data dalla differenza fra i versamenti ed i prelievi, “tecnicamente utilizzabili per finanziare i proprietari dei beni venduti, e quindi non costituenti presupposto d’imposta”, ed ha così ridotto l’imponibile da euro 3.159.294 accertato ad euro 164.421, oltre alle corrispondenti sanzioni pecuniarie.
La società contribuente resiste con controricorso, articolando due motivi di ricorso incidentale (rgn. 18533/07).
L’Agenzia delle Entrate propone un distinto ricorso per cassazione (rgn. 25734/07), sulla base di due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia resa nel giudizio promosso da L.P. avverso l’avviso di rettifica n. 801154/2002 IVA 1997 con il quale veniva a lui richiesto, in quanto legale rappresentante della sas S., il pagamento delle sanzioni, con interessi e accessori, relativi al debito erariale contestato alla società con l’avviso di rettifica dell’IVA per l’anno 1997 recante pari numero – del quale si è dato conto appena supra – con il quale si contestava l’omessa fatturazione di operazioni imponibili e l’omessa regolarizzazione di acquisti senza fattura sulla base delle risultanze del verbale di constatazione da cui era emerso che sui conti correnti bancari intestati ai due soci erano stati eseguiti versamenti e prelevamenti, ritenuti riferibili alla società, privi di riscontro nella contabilità di questa e quindi considerati ricavi ed acquisti non contabilizzati.
Nel giudizio promosso dal P. la CTR, rilevato che la controversia traeva origine da quella instaurata dalla società, condivideva le conclusioni cui era pervenuto in quel giudizio il giudice d’appello riducendo il quantum della ripresa fiscale; decideva perciò la controversia motivando per relationem alla decisione resa in appello nell’altro giudizio, ravvisando una sorta di pregiudizialità: “la vertenza in questione è da ritenere superata e va decisa tenendo conto dei nuovi parametri determinati dai giudici”.
Il P. resiste con controricorso, articolando un motivo di ricorso incidentale (rgn. 29727/07).
Motivi della decisione
Nel giudizio originariamente introdotto dalla società il ricorso per cassazione principale e quello incidentale, siccome proposti nei confronti della medesima pronuncia devono essere riuniti per essere definiti con unica decisione.
Del pari, nel giudizio originariamente introdotto dal socio legale rappresentante della società il ricorso principale e quello incidentale, poiché proposti nei confronti della stessa pronuncia devono essere riuniti per essere definiti con unica decisione.Tale secondo giudizio (rgn. 25734/07 e rgn. 29727/07) deve essere riunito per connessione oggettiva a quello (rgn, 15427/07 e 18533/07) promosso dalla società.
In ordine al primo giudizio, con il primo motivo del ricorso principale, denunciando “violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 54 del d.P.R. 633/72 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.”, l’amministrazione assume che, una volta ritenuta la riferlbilità all’impresa contribuente dei conti correnti bancari e riscontrati versamenti e prelievi non contabilizzati, graverebbe integralmente sulla contribuente l’onere di provare che sia gli uni che gli altri si riferiscono ad operazioni esposte nella dichiarazione ovvero ad operazioni non imponibili.
Con il secondo motivo, denunciando “Violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 54 del d.P.R. 633/72 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.” l’Agenzia delle entrate sostiene che per vincere la presunzione cui all’art. 51, secondo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, in virtù del quale i prelievi si considerano acquisti, la società contribuente esercente l’attività d’impresa dovrebbe provare la non riferibilità dei detti prelievi ed acquisti eseguiti nell’esercizio della propria attività, non essendo sufficiente la mera allegazione di circostanze sulle modalità di svolgimento di tale attività dalle quali desumere, in ipotesi, la non riferibilìtà ad acquisti degli importi prelevati.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la società contribuente sotto il profilo della violazione di legge contesta sia sufficiente, per la riferibilità alla società dei conti correnti dei soci, il mero rapporto esistente tra questi e la società, e quindi che la mera circostanza rappresentata da ingiustificati cospicui versamenti sui conti dei soci integri quella prova concreta di riferibilità alla società richiesto dall’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972.
Con il secondo motivo, si duole del regolamento delle spese, assumendo l’illegittimità della condanna alle spese della parte che, pur non essendo risultata totalmente vittoriosa, abbia tuttavia ottenuto il riconoscimento giuridico di una delle proprie pretese.
Il ricorso principale, i cui due motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto strettamente legati, è fondato.
Nell’accertamento dell’IVA, infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “la presunzione, stabilita dall’art. 51, secondo comma, n. 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.633, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal successivo art. 54, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regine IVA, eventualmente dalla persona fisica, e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti; essa può essere vinta dal contribuente che offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili” (Cass. n. 3929 del 2002, n. n. 28324 e n. 26692 del 2005); si è in particolare puntualizzato come “a maggior ragione, nel caso di svolgimento di più attività soggette ad IVA, di intermediazione (nella specie, di preziosi e di antiquariato) e di commercio al minuto, grava sul contribuente l’onere di provare che quei movimenti si riferiscono ad operazioni rientranti nell’attività (di agente che riscuote per conto del preponente, cui riversa il prezzo al netto della commissione) che esclude di qualificare per la loro interezza gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi di acquisti, invece che nell’altra (compravendita al minuto), che tale qualificazione giustifica” (Cass. n. 3929 del 2002).
Una prova siffatta non risulta essere stata raggiunta e tantomeno offerta, sicché incorre negli errori di diritto ad esso addebitati il giudice d’appello che, mentre ritiene riferibili alla società in accomandita i conti correnti bancari dei due soci, fondata tra l’altro “su circostanze di fatto quali la mancata giustificazione dei cospicui versamenti in assenza di altre significative attività lucrative”, circostanze costituenti “quelle presunzioni gravi, precise e concordanti che la riferibilità di cui trattiamo richiede”; mentre afferma la piena legittimità del ricorso, da parte dell’ufficio, alle “procedure di cui all’art. 51 del d.P.R. 603/72 e all’art. 32 d.P.R. 600/73… determinando per l’effetto un’inversione dell’onere della prova. Le garanzie per la società contribuente sono date dalla possibilità di fornire adeguate giustificazioni”; per altro verso, e contraddittoriamente, abbracciando la tesi difensiva della contribuente, non confortata da alcun riscontro probatorio, ha ridotto l’imponibile, muovendo dall’assunto che, nello svolgimento in via prevalente di attività di intermediazione nella compravendita di dipinti, “la rilevanza economica non potendo che essere, ai fini IVA, la differenza fra prezzo e commissione, deve convenirsi come evidenziato dall’appellante che i conti correnti dei soci dovrebbero essere depurati di quelle operazioni..”. Ha quindi escluso dall’ imponibile i prelievi, perché “tecnicamente utilizzabili per finanziare i proprietari di beni venduti e quindi non costituenti presupposto d’imposta. Ed ha infine operato una inversione dell’onere della prova, affermando che il Collegio era portato a ridurre come detto la base imponibile “in mancanza di validi elementi probatori in contrasto con tale valutazione”.
Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato, per le considerazioni sinora svolte, essendo sufficiente ribadire il principio secondo cui “in caso di accertamenti concernenti una società di persone, l’acquisizione ed utilizzazione dei dati bancari, ai sensi dell’art. 51, secondo comma, nn. 2 e 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non deve essere limitata ai conti intestati alla società, ma può riguardare anche quelli formalmente intestati a soggetti diversi – ove legati alla società da particolari rapporti, quali i soci amministratori, atteso che il rapporto intercorrente tra questi ultimi e la società amministrata è talmente stretto da realizzare una sostanziale identità di soggetti, tale da giustificare automaticamente, salvo prova contraria, l’utilizzazione dei dati raccolti” (Cass. n. 4987 del 2003) -, e comunque a “terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi questa ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti” (Cass. n. 18033 del 2010).
L’esame del secondo motivo del ricorso incidentale è assorbito.
Quanto al secondo giudizio, originariamente introdotto dal socio legale rappresentante della società ed avente ad oggetto le sanzioni amministrative a lui applicate quale autore delle violazioni di cui all’ avviso di rettifica l’impugnazione del quale aveva dato l’avvio al giudizio di cui supra, con il primo motivo del ricorso principale l’amministrazione, trascritta la motivazione della sentenza resa nel giudizio di appello relativo all’accertamento dell’imposta, rivolge alla decisione una censura analoga a quella mossa contro quel provvedimento nel relativo giudizio di legittimità.
Il secondo motivo del ricorso è del pari analogo al secondo motivo formulato nel ricorso rubricato come rgn. 15427/07.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale il P. muove alla sentenza le medesime censure rivolte dalla società alla decisione resa in appello nel giudizio promosso dalla S. sas avverso l’accertamento dell’imposta.
I due motivi del ricorso principale devono essere accolti, mentre deve esser rigettato il ricorso incidentale, per le ragioni di cui si è dato conto supra.
Pertanto, una volta confermata, anche nel quantum dell’imposta accertata, la legittimità dell’avviso di rettifica dell’IVA per l’anno 1997 notificato alla S. sas, deve conseguentemente essere confermata la legittimità dell’avviso di rettifica, emesso a carico di L.P., legale rappresentante della società, avente ad oggetto le sanzioni determinate sulla base dell’imposta originariamente accertata dall’ufficio.
In conclusione, quanto al primo giudizio, rubricato come rgn. 15427/07 e 18533/07, va accolto il ricorso principale e rigettato il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata in relazione al ricorso accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, mentre vanno compensate fra le parti le spese relative ai gradi di merito.
Quanto al secondo giudizio, rubricato come rgn. 25734/07 e 29727/07, va accolto il ricorso principale e rigettato il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, mentre vanno compensate le spese per i gradi di merito.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi rgn. 15427/07 e 18533/07, e riunisce ad essi i ricorsi rgn. 25734/07 e 29727/07.
In ordine al primo giudizio, rgn. 15427 e 18533/07, accoglie il ricorso principale e rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della sas S..
Dichiara compensate fra le parti le spese relative ai gradi di merito e condanna la contribuente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 40.000 oltre alle spese prenotate a debito.
In ordine al secondo giudizio, rgn. 25734/07 e 29727/07, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo di L.P..
Dichiara compensate fra le parti le spese dei gradi di merito e condanna il contribuente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 40.000 oltre alle spese prenotate a debito.