CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 luglio 2018, n. 17683
Licenziamento individuale – Risarcimento del danno – Indennità ex art. 18, co. 4, L. n. 300/1970 – Aliunde percipiendum – Detraibilità – Circostanze specifiche
Fatti di causa e ragioni della decisione
1. Avverso la decisione della Corte di appello di Venezia n. 141/2016, emessa quale sentenza definitiva in reiezione dell’eccezione relativa all’aliunde percipiendum il 3.5.2016 con riguardo al diritto della parte reclamata, C. M. – reintegrato nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18, co. 4, I. 300/70 – al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto nella misura di dodici mensilità, oltre accessori di legge, con condanna al pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dalla data del licenziamento alla reintegra, la società T. p.a. propone ricorso con unico motivo – illustrato nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. – cui ha resistito il C., con controricorso.
2. Viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2° comma, 1175, 2697 c.c. e dell’art. 18, comma 4° della I. 300/70, osservandosi che la prima delle norme richiamate non prescrive al danneggiato un comportamento meramente negativo, ovvero di non aggravare con la propria condotta il danno già verificatosi, ma richiede un intervento attivo e positivo, volto non solo a limitare, ma anche ad evitare le conseguenze dannose, in coerenza con i principi di correttezza e buona fede oggettiva.
3. Ritiene la ricorrente che, in applicazione di tali principi, la nuova formulazione dell’art. 18, 4° comma, I. 300/70 espressamente preveda la detrazione, in sede di computo dell’indennità risarcitoria, dell’aliunde percipiendum, ovvero di quanto il danneggiato avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione e che la Corte di Venezia non abbia fatto buon governo della disciplina esaminata, considerando che nel reclamo essa società aveva allegato gli elementi utili all’apprezzamento del giudice ai fini della detraibilità dell’aliunde percipiendum, avuto riguardo alle deduzioni sulla professionalità del C. (macchinista di anni 43 in buona salute occupabile anche in altri settori).
4. Osserva come la mancata occupazione possa accertarsi in via presuntiva tenendo conto della qualificazione professionale e dell’andamento del mercato del lavoro, valutandosi le concrete probabilità di ricollocamento del lavoratore che, usando la diligenza media, deve attivarsi per una nuova occupazione, sicché, trascorso un periodo pari a tre anni, deve presumersi che il predetto avrebbe potuto reperire un’occupazione, ciò che doveva comportare una riduzione dell’indennità risarcitoria.
5. Il ricorso è infondato.
6. Va posto richiamo, per disattendere la censura, ai principi affermati da Cass. 16.4.2013 n. 9137, secondo cui “In tema di esclusione, ai sensi dell’art. 1227, comma secondo, cod. civ., della risarcibilità di quei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, grava sul debitore responsabile del danno l’onere di provare la violazione, da parte del danneggiato (creditore), del dovere di correttezza impostogli dal citato art. 1227 c.c. e l’evitabilità delle conseguenze dannose prodottesi, trattandosi di una circostanza impeditiva della pretesa risarcitoria, configurabile come eccezione in senso stretto”.
7. Sicché, anche ove applicabile il ragionamento presuntivo, sarebbe stato onere del debitore fornire, in sede di allegazione, circostanze più specifiche con riguardo anche alla situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità del C., per consentire che, in base al criterio anche presuntivo, potesse risalirsi dal fatto noto alla prova del fatto ignoto (utilizzo della professionalità per una ricerca di occupazione confacente alle proprie attitudini nelle circostanze di tempo e luogo in rapporto alla dedotta riducibilità del danno risarcibile).
8. Le esposte considerazioni conducono al rigetto del ricorso.
9. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate in dispositivo, in favore del C..
12. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del citato D.P.R..
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