Corte di Cassazione ordinanza n. 16931 depositata il 14 giugno 2023

tributi – IVA – operazioni soggettivamente inesistenti – buona fede – contraddittorio

RILEVATO CHE

1. La società contribuente D. S.r.l. ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2007, con il quale si disconoscevano come soggettivamente inesistenti gli acquisti di autovetture da un soggetto interposto (l’impresa individuale CM Car’s di CM), con recupero di IVA per indebita detrazione e applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele.

2. La CTP di Padova ha accolto il ricorso sulla preliminare eccezione di difetto di contraddittorio endoprocedimentale.

3. La CTR del Veneto, con sentenza in data 5 maggio 2015, ha accolto l’appello dell’Ufficio. Il giudice di appello ha ritenuto, per quanto qui ancora rileva, che l’atto impositivo sia stato debitamente sottoscritto dal Capo dell’Ufficio. Nel merito, il giudice di appello ha ritenuto provata l’interposizione del terzo nelle operazioni della società contribuente con fornitori esteri, nonché provata la consapevolezza della contribuente di avere preso parte a una frode IVA. Ha, poi, ritenuto inapplicabile il principio del contraddittorio endoprocedimentale (con preventivo invio di un PVC e attesa di un termine dilatorio di sessanta giorni), in quanto accertamento condotto senza accesso presso i locali dell’impresa. L’appello è, invece, rigettato quanto al recupero dei costi per lo ius superveniens ex art. 8, comma 1, d.l. 2 marzo 2012, n. 16.

4. Propone ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso l’Ufficio, il quale propone a sua volta ricorso incidentale affidato a un unico motivo.

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42 P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 56 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e dell’art. 21-septies l. 7 agosto 1990, l. 241, con conseguente inesistenza/nullità dell’atto impositivo. Osserva parte ricorrente che l’atto impositivo sarebbe stato sottoscritto da funzionario privo di funzioni direttive, non avendo detto funzionario superato il relativo concorso.

2. Il primo motivo – in disparte l’inammissibilità per omessa trascrizione dell’avviso in ordine al soggetto sottoscrittore e in ordine all’assenza di funzioni direttive, nonché in disparte l’inammissibilità del motivo perché la questione agitata in appello (per quanto risulta dalla sentenza impugnata) e sollevata come violazione di legge e non come nullità della sentenza sia diversa da quella indicata nel ricorso, in quanto incentrare sull’assenza di delega – è infondato, posto che l’avviso di accertamento, a norma degli artt. 42 d.P.R. n. 600/1973 e 56 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, deve essere sottoscritto dal capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato e, cioè, secondo la classificazione prevista dall’art. 17 del c.c.n.l. comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, da un funzionario di terza area, di cui non è richiesta la qualifica di dirigente (Cass., Sez. V, 15 marzo 2023, n. 7479; Cass., Sez. V, 14 giugno 2022, n. 19203; Cass., Sez. VI, 10 dicembre 2019, n. 32172; Cass., Sez. V, 9 novembre 2015, n. 22800), essendo sufficiente la mera delega da parte del dirigente dell’Ufficio (Cass., Sez. V, 30 settembre 2019, n. 24271).

3. Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 12 l. 27 luglio 2000, n. 212, nonché dell’art. 24 l. 7 gennaio 1929, n. 4, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non necessario l’invio di un preventivo processo verbale di contestazione e del conseguente termine dilatorio di sessanta giorni a difesa del contribuente, dovendosi rispettare tale principio anche nel caso in cui l’accertamento non faccia seguito ad accesso nei locali dell’impresa.

4. Il motivo è infondato, posto che il rispetto del contraddittorio endoprocedimentale e del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, n. 27 luglio 2000, n. 212 in caso di tributi non armonizzati opera soltanto in caso di controllo eseguito presso la sede del contribuente e non anche alla diversa ipotesi, non assimilabile alla precedente, di accertamenti «a tavolino», come nella specie, atteso che la naturale vis expansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento derivanti da controlli eseguiti nella sede dell’Amministrazione sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente (Cass., Sez. V, 14 giugno 2022, 19203; Cass., Sez. V, 14 marzo 2022, n. 8223; Cass., Sez. V, 7 dicembre 2021, n. 38949; Cass., Sez. VI, 5 novembre 2020, n. 24793; Cass., Sez. VI, 19 ottobre 2017; n. 24636; Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823). Quanto, invece, ai tributi armonizzati l’invalidità dell’atto per omesso contraddittorio endoprocedimentale consegue all’assolvimento da parte del contribuente all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823). Nella specie, la sentenza impugnata ha accertato che non vi è stato alcun accesso, per cui non era necessario alcun invio di PVC, così come non si rendeva conseguentemente necessario alcun termine dilatorio. Quanto all’IVA, il ricorrente non ha esposto quali sarebbero state le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede amministrativa. La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

5. Con il terzo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, 3 e n. 5, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 42, terzo comma, d.P.R. n. 600/1973, nonché degli artt. 2697, 2727, 2729 cod. civ., nonché omesso esame di fatti decisivi. Parte ricorrente deduce come sia stata erroneamente accertata la responsabilità della società contribuente nella frode IVA, non essendo risultato dagli atti del procedimento penale il coinvolgimento della contribuente nella frode IVA commessa a monte. Osserva, inoltre, parte ricorrente come sia onere dell’Ufficio dare la prova della malafede del contribuente e che la buona fede va presunta e che tali principi sono costantemente affermati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, ascrivendosi la responsabilità del contribuente in caso di ignoranza colpevole come richiamato dalla sentenza della Corte di Giustizia Mahagében. Si deduce, inoltre, omesso esame degli atti del procedimento penale ai fini dell’accertamento dell’estraneità del legale rappresentante della società contribuente alla frode IVA.

6. Il motivo, inammissibile quanto al vizio di omesso esame di fatto decisivo (sia in quanto il fatto storico non è stato indicato, sia in quanto si tratta di un tentativo di rivalutazione del materiale probatorio), è infondato quanto alla violazione di legge. Il ricorrente principale tende a dare una connotazione della buona fede esimente da responsabilità in caso di frode IVA commessa a monte della catena distributiva in termini meramente soggettivi, laddove il diritto dell’Unione ascrive questa responsabilità a chiari standard di diligenza oggettiva esigibili da un accorto operatore commerciale.

7. Qualora, difatti, l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga a operazioni soggettivamente inesistenti, incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inserisse in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della propria qualità professionale, della sostanziale inesistenza del contraente. Ove l’Amministrazione assolva al proprio onere della prova, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione di evasione di imposta, la diligenza massima (come, del resto, deduce lo stesso contribuente) esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., 28 dicembre 2022, n. 37889; Cass., Sez. V, 13 luglio 2022, n. 22190; Cass., Sez. V, 20 dicembre 2021, n. 40690; Cass., Sez. V, 17 agosto 2021, n. 22969; Cass., Sez. V, 3 agosto 2021, n. 22107; Cass., Sez. V, 20 luglio 2021, n. 20648; Cass., Sez. V, 8 luglio 2021, n. 19387; Cass., Sez. VI, 11 novembre 2020, n. 25426; Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. V, 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851; Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9721; Cass., Sez. U., 12 settembre 2017, n. 21105). Ne consegue che la prova contraria del contribuente non può attenere a circostanze meramente soggettive, ma deve investire l’adozione di tutte le cautele necessarie a evitare di essere coinvolto in una frode IVA. Il giudizio di buona fede è, pertanto, un giudizio di buona fede oggettiva, che va commisurato allo standard di diligenza di un operatore professionale che si trovi ad operare in analoghe condizioni di mercato (Cass., n. 37889/2022, cit.).

8. Con l’unico motivo del ricorso incidentale l’Ufficio deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per inosservanza dell’art. 112 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non dovute le imposte dirette. Osserva parte ricorrente come sin dalla fase amministrativa l’Ufficio si sia limitato a contestare l’indetraibilità dell’IVA, riconoscendo veri e deducibili ai fini IRES e IRAP i relativi costi esposti, tanto che lo stesso ricorrente non avrebbe mai introdotto tale tema in giudizio, per cui la statuizione del giudice di appello sarebbe viziata da extrapetizione.

9. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse, posto che la statuizione del giudice di appello non reca pregiudizio all’operato dell’Ufficio, non potendo tale statuizione costituire giudicato sfavorevole all’amministrazione in assenza di originaria pretesa impositiva.

10. Il ricorso principale va, pertanto, rigettato e il ricorso incidentale dichiarato inammissibile. La soccombenza reciproca comporta la compensazione parziale delle spese del giudizio di legittimità in ragione di metà, che per la restante metà restano a carico del ricorrente principale e vengono liquidate in dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato a carico del medesimo ricorrente principale.

P.Q. M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; dichiara compensate le spese processuali nella misura di metà; condanna il ricorrente principale al pagamento della restante metà delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida, in misura già ridotta, in complessivi € 3.000,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente principale, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.