CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 giugno 2018, n. 14839
Rapporto di lavoro – Dipendenti di enti pubblici – Regione Veneto – Trattamento integrativo di fine servizio – Pagamento
Rilevato che
1. La Corte di appello di Venezia ha accolto l’appello proposto dall'(…) – ARPAV, avverso la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Padova e, per l’effetto, ha rigettato la domanda proposta da P.G. avente ad oggetto la condanna dell’Agenzia al pagamento di euro 21.282,69 a titolo di trattamento integrativo di fine servizio, previsto dalla legge regionale n. 12/91, spettante ai dipendenti di enti pubblici dipendenti dalla Regione Veneto.
2. Preliminarmente, la Corte territoriale ha respinto l’eccezione di improcedibilità dell’appello sollevata dalla parte appellata, che aveva dedotto l’erroneità della concessione di un termine per notificare l’atto d’appello di cui all’ordinanza 29.5.2012. Ha osservato la Corte territoriale quanto segue:
– con decreto emesso dal Presidente della Sezione lavoro del 13 ottobre 2011 era stata fissata l’udienza di discussione per il 17 aprile 2014, ma con successivo decreto del 5 marzo 2012 era stata disposta l’anticipazione dell’udienza al 29 maggio 2012, al fine di consentire la trattazione congiunta con altre cause aventi oggetto analogo;
– in data 18 maggio 2012 si era costituito il P. eccependo in via preliminare la nullità, l’inammissibilità e l’improcedibilità dell’impugnazione avversaria per il fatto che nessun atto di appello gli era mai stato notificato; aveva dichiarato di essere venuto a conoscenza dell’appello casualmente e aveva rilevato che l’omissione della notifica non consentiva di assegnare un nuovo termine per provvedere alla notifica stessa, stante il principio posto dall’art. 111 Cost. della ragionevole durata del processo ed essendo passata in giudicato la sentenza di primo grado; in via subordinata, il P. si era difeso compiutamente nel merito;
– all’udienza del 29 maggio 2012 il procuratore dell’appellante dichiarava di non avere proceduto alla notifica in quanto il decreto del 5 marzo 2012, con il quale era stata disposta l’anticipazione dell’udienza, conteneva l’ordine di comunicazione alle parti, ma non conteneva la specificazione che la notificazione era a carico dell’appellante; diversamente, in un procedimento analogo, ugualmente chiamato alla medesima udienza a seguito di anticipazione, era stato specificato che la notifica era carico dell’appellante;
– stante la richiesta del difensore dell’appellante di concessione di un termine al fine di notificare l’atto d’appello, la Corte con ordinanza fissava l’udienza di discussione per il 17 luglio 2002, fissando il termine perentorio per la notifica;
– la particolarità del secondo decreto, che a differenza del precedente aveva contenuto di mera anticipazione della trattazione dell’udienza senza specificazione che la notificazione era carico dell’appellante e che conteneva la dicitura “si comunichi con urgenza le parti”, costituiva un elemento suscettibile di rilevare ai fini dell’interpretazione della condotta dell’appellante, consistita nel non avere provveduto alla notifica per udienza del 29 maggio 2012; in altri termini, il contenuto del secondo decreto era tale da far escludere un comportamento omissivo, privo di valida giustificazione;
– occorreva altresì aggiungere che l’appellato, pur in mancanza di notificazione, si era tempestivamente costituito con data 18 maggio 2012 per l’udienza del 29 maggio 2012, difendendosi compiutamente nel merito.
3. Quanto al merito, la Corte di appello ha ritenuto che la sentenza impugnata non fosse condivisibile, poiché l’indennità di cui all’art. 111 L.R. Veneto n. 12 del 1991 spetta al personale dipendente della regione o di enti dipendenti dalla regione e tale non poteva essere considerata l’ARPAV, avente natura di ente strumentale e non dipendente.
4. Per la cassazione di tale sentenza P. G. propone ricorso affidato a cinque motivi, cui resiste con controricorso l’ARPAV.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che
1. Con i primi due motivi si denuncia violazione e falsa applicazione: a) dell’art. 435, commi 3 e 4, cod. proc. civ. per non avere la Corte d’appello dichiarato l’improcedibilità del ricorso in appello di ARPAV; b) degli artt. 421 e 291 cod. proc. civ. per avere il giudice di appello ritenuto sanabile l’inosservanza da parte dell’appellante del termine di cui all’art. 435, commi 3 e 4 cod. proc. civ. e quindi aver fissato con ordinanza una nuova udienza di discussione, con assegnazione allo stesso appellante di un termine perentorio per la notifica del ricorso, del decreto del 13 ottobre 2011 e della predetta ordinanza di fissazione di un’ulteriore udienza di discussione. Con il terzo motivo si denuncia violazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo ex art. 111, secondo comma, Cost. per un irragionevole allungamento dei tempi del processo con la fissazione di una nuova udienza di discussione, a causa della mancata notificazione a cura dell’appellante del ricorso in appello e pedissequo decreto. Con il quarto motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla circostanza che la mancata notificazione da parte dell’appellante del ricorso in appello non costituirebbe, nella fattispecie, condotta omissiva priva di valida giustificazione.
2. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L.r. Veneto n. 12 del 1991, artt. 1, comma 2 e 111, nonché della L.r. Veneto n. 32 del 1992, art. 7, comma 1, e omessa insufficiente motivazione in ordine alla pretesa mancata corrispondenza tra enti strumentali ed enti dipendenti dalla Regione.
3. Preliminarmente, il ricorso è ammissibile, ancorché le diverse censure, chiaramente riferibili alla denuncia di errata interpretazione e/o applicazione di norme processuali, siano state in parte rubricate (con il quarto motivo) come “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” circa la valenza da attribuire alla condotta omissiva di parte appellante. Anche l’erronea indicazione dell’art. 435, commi 3 e 4 cod. proc. civ., anziché dell ‘art. 435, commi 2 e 3, cod. proc. civ. (di cui al primo e al secondo motivo), pure rimarcata da parte resistente, non assume rilievo determinante perché dal tenore delle censure esposte il vizio è correttamente denunciato (cfr., quanto al rilievo non determinante delle indicazioni contenute nella rubrica del motivo, S.U. n. 17931 del 2013).
4. Tanto premesso, i primi quattro motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, meritano accoglimento con assorbimento del quinto, vertente sul merito della domanda.
5. Come è noto, le Sezioni Unite della Corte, con sentenza n. 20604 del 2008, mutando un precedente orientamento, hanno affermato che nel rito del lavoro l’appello, pur tempestivamente proposto nel termine previsto dalla legge, è improcedibile ove la notificazione del ricorso depositato e del decreto di fissazione dell’udienza non sia avvenuta, non essendo consentito – alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata imposta dal principio della cosiddetta ragionevole durata del processo “ex” art. 111, secondo comma, Cost. – al giudice di assegnare, “ex” art. 421 cod. proc. civ., all’appellante un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell’art. 291 cod. proc. civ.. Il principio è stato più volte confermato dalla giurisprudenza successiva (cfr. Cass. n. 29870 del 2008, n. 1721 del 2009, n. 11600 del 2010, n. 9597 del 2011).
5.1. Il vizio della notificazione omessa o inesistente è assolutamente insanabile e determina la decadenza dell’attività processuale cui l’atto è finalizzato (con conseguente declaratoria in rito di chiusura del processo, attraverso l’improcedibilità), non essendo consentito al giudice di assegnare all’appellante un termine per provvedere alla rinnovazione di un atto mai compiuto o giuridicamente inesistente (Cass. n. 20613 del 2013; v. pure Cass. n. 19191 del 2016).
6. Né le ragioni prospettate in sentenza (la mancata specificazione, nella comunicazione di cancelleria, che l’onere di notificazione era a carico della parte appellante) costituisce ragione idonea a giustificare l’omessa notifica dell’atto di appello e del pedissequo per l’udienza del 29 maggio 2012 (nel rispetto del termine minimo di comparizione di cui all’art. 437, terzo comma, cod. proc. civ.), poiché tale onere grava sull’appellante per espressa previsione di legge, atteso che il secondo comma dello stesso art. 435 cod. proc. civ. prescrive che “L’appellante….provvede alla notifica del ricorso e del decreto all’appellato”‘, sicché non occorreva la sua specificazione nella comunicazione di cancelleria relativa all’anticipazione dell’udienza di discussione.
6.1. Resta determinante che la comunicazione di cancelleria sia pervenuta in tempo utile a consentire tale adempimento, ma sulla tempestività della comunicazione di cancelleria non vi si fa questione in giudizio, come si evince dalla sentenza impugnata, da cui non risulta che fossero state sollevate eccezioni in tal senso da parte dell’appellante alla stessa udienza del 29 maggio 2012.
7. Nel caso in cui il ricorrente, nonostante la rituale comunicazione della udienza di discussione, fissata ex art. 435 cod. proc. civ., non provveda a notificare l’atto di appello, né, partecipando a detta udienza, adduca alcun giustificato impedimento al fine di essere rimesso in termini ai sensi dell’art. 153 cod. proc. civ., consegue l’improcedibilità dell’impugnazione (cfr. Cass. n. 1175 del 2015).
8. In conclusione, i primi quattro motivi di ricorso vanno accolti, con assorbimento del quinto. La sentenza va cassata senza rinvio, stante il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado per effetto della improcedibilità dell’appello proposto da ARPAV.
9. L’ARPAV va condannata al pagamento delle spese del giudizio di appello e del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
10. Stante l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Accoglie i primi quattro motivi di ricorso, assorbito il quinto; cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e condanna ARPAV al pagamento delle spese del giudizio di appello, che liquida in euro 3.000,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi e al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi; il tutto oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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