CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 novembre 2021, n. 34054
Tributi – Accertamento – Società di capitali a ristretta base azionaria – Utili extrabilancio – Presunzione di distribuzione ai soci – Attribuzione per trasparenza del maggior reddito – Onere di prova contraria a carico dei soci
Fatti di causa
1. Con sentenza 16 ottobre 2017 n. 8629/10/2017, depositata il 16 ottobre 2017, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore prò tempore, nei confronti di A.S. avverso la sentenza n. 20656/40/2015 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. TF3011302797/2014 con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della G.d.F. a carico della società F. s.r.l., ai sensi degli artt. 38 e 41-bis del d.P.R. n. 600/73, aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, per l’anno 2008, un maggiore reddito da capitale, ai fini Irpef, add. reg. e add. com., attribuitogli “per trasparenza”, a titolo di presunta quota, nella qualità di socio al 50% – in proporzione al periodo in cui, per detta annualità, aveva rivestito tale veste – degli utili extrabilancio imputati alla società F. s.r.l., a ristretta base azionaria.
2.In punto di diritto, la CTR, per quanto di interesse, ha affermato che:
1) il giudice di primo grado aveva accolto il ricorso sul presupposto della non provata veridicità del bilancio redatto dai soci “subentranti” A.R. e G.G. nella società F. s.r.l., relativamente all’anno 2008, approvato il 30.9.09 e presentato il 20.10.2009, tenendo conto della richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura della Repubblica di Napoli in relazione alla presunta falsità di tale bilancio nonché del rinvio a giudizio disposto dal GUP di Napoli, in relazione alla presunta falsità del bilancio presentato sempre da questi ultimi a rettifica di quello, per l’esercizio 2007, a firma dei soci fratelli S., già approvato e depositato il 28.5.2008, presso l’Ufficio del registro delle imprese, antecedentemente alla cessione delle loro quote societarie; 2) circa la veridicità del bilancio redatto dai soci “subentranti” nella F. s.r.l., richiamato nel p.v.c. della G.d.F., posta la assoluta indipendenza del processo penale e di quello tributario, l’accertamento penale a carico dei soci “subentranti” ai S., si era concluso con una sentenza dichiarativa del decorso dei termini di prescrizione, come tale priva di qualsiasi contributo di accertamento sostanziale dei fatti occorsi; peraltro, la mera presentazione della denuncia penale non poteva costituire, di per sé, elemento idoneo a fare ritenere falso il bilancio in esame, tanto più che era stata presentata da S.A. dopo la ricezione dell’avviso di accertamento; 3) la G.d.F., in sede di verifica, non aveva contestato né la veridicità del bilancio presentato dai S. né quello depositato dai soci “subentranti”, essendo la veridicità ininfluente ai fini delle contestazioni avanzate dagli accertatori che non avevano rinvenuto alcuna documentazione, risultando omessa anche la dichiarazione annuale; 4) la ricostruzione reddituale a carico della società era stata operata, con metodo induttivo, partendo dal bilancio (per l’anno 2008) presentato dai soci pro tempore, per quanto concerneva gli elementi positivi, effettuando, per quelli negativi, un calcolo forfettario anche alla luce delle risultanze degli studi di settore e pervenendo all’accertamento del reddito imponibile non dichiarato, in base alla differenza tra gli elementi positivi indicati in bilancio e quelli negativi; ne discendeva che la presunta falsità del bilancio presentato dal S. avrebbe costituito un elemento non decisivo ai fini della ricostruzione reddituale in questione, operata con metodo induttivo; 5) pertanto, a prescindere dalla circostanza della intervenuta denuncia da parte del S. nei confronti dei soci subentranti per falsità nei bilanci della F. s.r.l., il contribuente non aveva fornito a contrario alcun elemento utile al superamento della legittima presunzione di maggior reddito operata dall’Ufficio con metodo induttivo; 6) i presupposti della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili erano costituiti dalla ristretta base azionaria della società di capitali e dal valido accertamento emesso a carico della società medesima e, nella specie, non risultavano concretamente contestati né il maggiore reddito accertato a carico del socio né la ristretta base societaria, rimanendo a carico del contribuente la prova del fatto che i maggiori utili extrabilancio non fossero stati oggetto di distribuzione per essere stati accantonati dalla società o da essa reinvestiti; 7) non risultava violato il divieto di presunzione di secondo grado, dato che il fatto noto era costituito non dalla sussistenza di maggiori redditi nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, normalmente, caratterizzavano la gestione sociale; 8) in assenza di documentazione contraria, la distribuzione dei maggiori utili accertati in capo ai soci doveva presumersi avvenuta nello stesso periodo di imposta in cui gli utili erano stati conseguiti e, quindi, anche nei sei mesi in cui il contribuente era risultato ancora socio;
3. Avverso la sentenza della CTR, A.S. propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi; rimane intimata l’Agenzia delle entrate;
4. La causa, è stata fissata per la trattazione in pubblica udienza ai sensi dell’art. 23, comma 8bis del D.L. 28/10/2020, n. 137 come convertito, con mod., dalla legge 18/ 12/ 2020 n. 176.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente, stante la trattazione congiunta alla medesima udienza pubblica, va disattesa l’istanza di riunione avanzata dal contribuente del presente ricorso con quelli collegati: 1) RG 12474/18 proposto da A.S. (socio al 50% della F. s.r.l.) concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento n. TF3011302692/2014 avente ad oggetto il maggior reddito da partecipazione derivante dalla presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati a carico della società partecipata, per l’anno di imposta 2007; 2) RG. n. 12478/18, proposto da G.S. (germano di A.S. e altro socio al 50% della medesima società) concernente l’impugnazione dell’avviso TF3011302604/2014 avente ad oggetto il maggiore reddito di partecipazione relativo all’anno 2007 e 3) RG12479/18, proposto da G. S. (altro socio al 50% della medesima società) concernente l’impugnazione dell’avviso TF3011302785/2014 relativo all’anno 2008.
2. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 2909 c.c., 2697 c.c., per avere la CTR ritenuto la legittimità dell’avviso di accertamento in questione, in contrasto con il giudicato esterno costituito dalla sentenza penale del Tribunale di Napoli n. 216/2017, con cui era stata accertata inequivocabilmente la falsità del bilancio rettificato il 22.10.2008 dai soci subentranti, falsità che andava, ad avviso del ricorrente, estesa anche al bilancio relativo all’anno 2008, depositato il 20.10.2009, dai medesimi nuovi soci; con ciò, erroneamente considerando il bilancio relativo all’anno 2008 – posto dall’Ufficio a fondamento dell’accertamento operato a carico della società e per trasparenza in capo al contribuente, quale socio della medesima, in proporzione al periodo in cui per detta annualità aveva rivestito tale veste – come indizio grave, preciso e concordante nonostante la falsità dello stesso discendesse da quella accertata giudizialmente relativamente al bilancio rettificato per l’anno 2007.
3. Con il secondo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 2697, 2727 e 2729 c.c., per avere la CTR ritenuto legittimo l’atto impositivo senza valutare correttamente le prove offerte in giudizio dalle parti, e, in particolare, senza desumere dalla accertata giudizialmente falsità del bilancio rettificato dai nuovi soci il 22.10.08, la falsità anche del bilancio redatto da questi ultimi relativo all’anno 2008, con cui si esponevano ricavi triplicati inesistenti.
4. Con il terzo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., per avere la CTR apoditticamente ritenuto correttamente applicate la c.d. “metodologia induttiva” e le “presunzioni” operate dagli accertatori, stante la inesistenza di qualsiasi elemento indiziario- grave, preciso e concordante – atto a suffragare la presunzione di distribuzione di utili ai soci uscenti, al di fuori del bilancio correttivo del 22.10.2008, la cui falsità era stata giudizialmente accertata e del successivo bilancio depositato nell’ottobre del 2009, anch’esso conseguentemente falso.
5. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 del d.P.R. n. 600/73, 2727 e 2729 c.c. per avere la CTR ritenuto legittima la presunzione di attribuzione pro quota di utili extrabilancio prodotti dalla società di capitali, avuto riguardo alla ristrettezza della base sociale e al vincolo di solidarietà esistente tra i soci, senza che sussistesse un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, essendo stata la ricostruzione reddituale basata sull’unico presupposto inesistente della veridicità e attendibilità del bilancio depositato dai soci subentranti, nell’ottobre del 2009, stante la accertata giudizialmente falsità del bilancio rettificato, relativo all’anno 2007.
6. I motivi dal primo al quarto – da trattarsi congiuntamente per connessione- si profilano inammissibili per le ragioni di seguito indicate.
6.1. In primo luogo, il ricorrente non ha assolto, in punto di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., all’onere di riportare in ricorso, nelle parti rilevanti, ovvero di allegare ad esso, l’avviso di accertamento in questione e il p.v.c. della G.d.F. elevato a carico della società F. s.r.l. onde permettere a questa Corte di verificare gli esatti termini della contestazione e di averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza della censura; invero, il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (ex multis, Cass. n. 7825 e n. 12688 del 2006; Cass. n. 14784 del 2015).
6.2. In secondo luogo, il ricorrente, con i mezzi (primo, terzo e quarto) ha cumulato censure ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c. (peraltro, nella specie, applicabile ratione temporis solo nella nuova formulazione come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, per essere stata la sentenza di appello depositata il 16.10.2017) tra loro così inestricabilmente accomunate nell’esposizione da non consentire e, comunque, da rendere assai difficoltoso individuare le questioni riconducibili all’uno o all’altro dei due vizi dedotti (in tal modo precludendo l’applicazione del principio espresso dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 9100 del 2015), non essendo «ricompreso nel compito di nomofilichia assegnato al Giudice di legittimità anche la individuazione del vizio in base al quale poi verificare la legittimità della sentenza impugnata, come emerge dal combinato disposto degli artt. 360 e 366 co. 1 n. 4 c.p.c. che riservano in via esclusiva tale compito alla parte interessata» (cfr. Cass. n. 18242 del 2003 e n. 4610 del 2016).
6.3. Inoltre, tutte le censure muovono dall’erroneo presupposto- sostanzialmente non cogliendo l’effettiva ratio deciderteli sottesa alla decisione impugnata – che l’accertamento dei maggiori ricavi non contabilizzati in capo alla società con conseguente presunzione di attribuzione pro quota al socio degli utili medesimi fosse basata sull’unico presupposto della presunta veridicità e attendibilità del bilancio, relativo all’anno 2008, depositato, nell’ottobre del 2009, dai soci subentranti, circostanza da ritenersi smentita come conseguenza della accertata falsità del bilancio rettificato, relativo all’anno 2007, in forza della sentenza penale n. 216/17 del Tribunale di Napoli, divenuta definitiva.
Invero, dalla sentenza impugnata si evince che, nella specie, l’accertamento a carico della società dei maggiori utili extra contabili che aveva dato origine alla presunzione di attribuzione pro quota degli stessi in capo al socio oggetto dell’avviso in questione – ritenuto legittimo dal giudice di appello – lungi dall’essere unicamente fondato sulla supposta veridicità delle risultanze del bilancio depositato, nell’ottobre del 2009, dai soci subentranti – era stato effettuato, sulla base delle risultanze del p.v.c. della G.d.F. – in mancanza del rinvenimento, in sede di verifica, di alcuna documentazione e, stante, altresì, l’omessa dichiarazione annuale – con metodo induttivo (puro) “partendo” dal bilancio presentato (per l’annualità 2008) dai soci prò tempore per quanto concerneva gli elementi positivi, e determinando il maggior reddito imponibile non dichiarato, avuto riguardo alla differenza tra gli elementi positivi e quelli negativi scaturiti da un calcolo forfettario basato (anche) sulle risultanze degli studi di settore. Da qui la ritenuta sostanziale irrilevanza, sotto il profilo delle contestazioni avanzate dagli accertatori, della veridicità dei bilanci – sia di quello a firma S. che di quelli depositati dei soci subentranti – essendosi l’Amministrazione avvalsa del bilancio presentato dai soci prò tempore (per il 2008) soltanto quale elemento di “partenza” per quanto concerneva la indicazione in esso degli elementi positivi ai fini della ricostruzione del reddito imponibile (netto) societario con metodo induttivo anche in base ad elementi presuntivi c.d. supersemplici, sottraendo agli elementi positivi quelli negativi calcolati forfettariamente in base agli studi di settore. Pertanto, la CTR, pur stimando- con un apprezzamento che assume una valenza ad abundantiam– la inidoneità della sentenza penale dichiarativa dell’estinzione, per decorso dei termini di prescrizione, del reato di falso in bilancio ascritto ai nuovi soci, in relazione al precedente bilancio rettificato per l’anno 2007 e, tantomeno, della relativa denuncia- querela presentata dal socio contribuente, a comprovare la falsità del bilancio per l’anno 2008, preso in considerazione dai militari, redatto dai soci subentranti, ha evidenziato la sostanziale irrilevanza della veridicità dello stesso e quindi anche di quello presentato a firma dei germani S. (“D’altro canto, la Guardia di finanza, in sede di verifica non ebbe a contestate la veridicità del bilancio presentato dai S. né di quello depositato dai soci subentranti, in quanto la veridicità degli stessi era sostanzialmente ininfluente ai fini delle contestazioni avanzate dagli accertatori”.. pag. 4 della sentenza impugnata), avendo l’Ufficio, sulla base delle risultanze del p.v.c., ricostruito il maggior reddito societario con metodo induttivo, attribuendo ad esso valenza di elemento di “partenza” per quanto concerneva l’indicazione in esso degli elementi positivi; premesso che “in tema di rettifica dei redditi d’impresa, il discrimine tra l’accertamento con metodo analitico induttivo e quello con metodo induttivo puro sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili: nel primo caso, la “incompletezza, falsità od inesattezza” degli elementi indicati non è tale da consentire di prescindere dalle scritture contabili, in quanto l’Ufficio accertatore può solo completare le lacune riscontrate, utilizzando ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, anche presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c.; nel secondo caso, invece, “le omissioni o le false od inesatte indicazioni” sono così gravi, numerose e ripetute da inficiare l’attendibilità – e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento – anche degli altri dati contabili (apparentemente regolari), sicché l’amministrazione finanziaria può “prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili in quanto esistenti” ed è legittimata a determinare l’imponibile in base ad elementi meramente indiziari, anche se inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c.(Cass. Sez. 5, n. 33604 del 18/12/2019); in conformità con i detti principi, nella specie, la CTR ha ritenuto legittimo l’accertamento di maggiori utili non contabilizzati a carico della società e, di conseguenza, la presunzione di attribuzione prò quota degli stessi in capo al socio di cui all’avviso in questione, in quanto – a fronte della ricostruzione reddittuale societaria operata dall’Ufficio, per il 2008, con il metodo induttivo (puro), in mancanza di dichiarazione annuale, “partendo” dal bilancio presentato dai soci prò tempore per quanto concerneva la indicazione in esso degli elementi positivi (dunque, prescindendo in parte dalle risultanze del bilancio) ed avvalendosi anche di elementi meramente indiziari, inidonei ad assurgere a prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c., calcolando forfettariamente gli elementi negativi sulla base (anche) degli studi di settore, per poi evincere dalla differenza tra gli elementi positivi e quelli negativi, i maggiori ricavi non contabilizzati – il contribuente, a prescindere dalla circostanza della intervenuta denuncia penale nei confronti dei soci subentranti per falsità in bilancio, non aveva offerto- in base ad un apprezzamento di merito del giudice di appello non sindacabile in sede di legittimità- alcun elemento a contrario idoneo a superare la detta presunzione; ciò in ossequio alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui “in caso di “omessa presentazione della dichiarazione dei redditi” da parte del contribuente, l’Ufficio delle imposte può servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, determinarlo anche con metodo induttivo ed utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui all’art. 38, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, sul presupposto dell’inferenza probabilistica dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti, secondo un legame che non deve essere di necessarietà assoluta, essendo sufficiente che il fatto noto sia desumibile da quello ignoto sulla base di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit” (Cass.sez. 5, Ordinanza n. 19422 del 20/07/2018; 9 maggio 2017, n. 11368; Cass.Civ., 3 maggio 2002, n. 6340) e “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nell’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione, ai sensi dell’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 l’Ufficio può fare ricorso a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, comportanti l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale può fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata induttivamente dall’Amministrazione (da ultimo, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15167 del 16/07/2020; Cass., sez. trib., 20 gennaio 2017, n. 1506).
7. Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del D.L. n. 223/2006 (rectius: d.P.R. n. 600/73) e degli artt. 2722 e 2729 c.c. per avere la CTR, con una motivazione apparente, ritenuto sussistenti i presupposti per l’estensione nei confronti del contribuente dell’accertamento induttivo operato a carico della società ex art. 39, comma 2, lett. d) del d.P.R. n. 600/73, ancorché difettassero ulteriori elementi presuntivi, rispetto alla ristretta base societaria, dai quali potere desumere l’esistenza di utili extracontabili non dichiarati.
7.1. In disparte il profilo di inammissibilità del motivo nell’avere richiamato in rubrica, pur denunciando un vizio di motivazione apparente, il n. 5 in luogo del n. 4 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c. , il motivo è infondato.
Premesso che «ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un ‘approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 9105 del 07/04/2017; Cass. 25456 del 2018; n. 26766 del 2020), nella sentenza impugnata la CTR ha chiaramente affermato che i presupposti per l’operatività della presunzione di attribuzione prò quota ai soci degli utili extracontabili erano rappresentati sia “dalla ristretta base azionaria della società di capitali” che “dal valido accertamento emesso a carico della società stessa”, non essendo stati, nella specie, “concretamente contestati né il maggiore reddito accertato a carico del socio né la ristretta base azionaria”; ciò, peraltro, in conformità all’orientamento di questa Corte secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, ove siano accertati utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione “prò quota” ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24534 del 18/10/2017; tal senso Sez. 6-5, Ordinanza n. 18032 del 24/07/2013, Rv. 628447).
8. Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2468 c.c. e 2697 c.c., per avere la CTR, con una motivazione apparente, ritenuto erroneamente legittimo l’avviso in questione, ancorché gli eventuali maggiori utili avrebbero dovuto essere ripartiti tra i soci titolari delle quote sociali alla data (20.10.2009) del deposito del bilancio relativo all’anno 2008 (A.R. e G.G.) e non già tra i germani S. che avevano trasferito le rispettive quote nel giugno del 2008.
8.1. In disparte il profilo di inammissibilità per avere richiamato il n. 5 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., essendo il motivo argomentato sostanzialmente in termini di violazione di legge, il motivo è infondato.
Questa Corte ha chiarito che “in linea di principio, trattandosi di utili extrabilancio, la presunzione di distribuzione è “in re ipsa”, nel senso che, come già è stato abbondantemente rilevato, non occorre una apposita deliberazione. Questa, per sua natura dovrebbe, comunque, restare “occulta” (e quindi ignota al fisco), al pari degli utili. In altri termini, a differenza di quanto avviene per gli utili regolarmente risultanti dal bilancio, per i quali la prova della avvenuta distribuzione è costituita dalla relativa deliberazione, per gli utili extrabilancio si presume che la distribuzione sia avvenuta al di fuori di qualsiasi deliberazione ufficiale. Non è ipotizzabile che gli utili extrabilancio vengano distribuiti con una formale deliberazione di approvazione di un bilancio che non li contiene. Naturalmente, gli interessati potranno sempre provare che i flussi finanziari non ufficiali abbiano preso altre strade, per evitare una eventuale indebita imposizione (Cass. n. 7564 del 2003). Pertanto, allorquando, come nella specie, si versi dinanzi ad una società di capitali a ristretta base sociale, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, attesa la mancanza – trattandosi di utili occulti – di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio (dopo la quale soltanto può essere effettuata la distribuzione degli utili dichiarati), la distribuzione si presume avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili sono stati conseguiti” (Cassazione n. 7564 del 2003). (Cass. sez. 5, n. 21415 del 2007; nello stesso senso, n. 33463/2018).
La CTR si è attenuta al suddetto principio nel ritenere legittima, la presunzione di distribuzione degli utili al socio S.A. (titolare del 50% del capitale sociale sino alla cessione della quota sociale in data 11.6.2008) operata dall’Ufficio, in proporzione al periodo in cui, per il 2008, aveva rivestito tale veste, che lasciava, comunque, spazio alla prova contraria, nella specie, non fornita (“In assenza di documentazione di segno contrario, la distribuzione dei maggiori utili accertati in capo ai soci deve presumersi avvenuta nello stesso periodo di imposta in cui gli utili sono stati conseguiti e, quindi, anche nei sei mesi in cui l’appellato risultava ancora socio”, pag. 7 della sentenza impugnata).
9. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
10. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità, essendo rimasta intimata l’Agenzia delle entrate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Dà inoltre atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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