CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 ottobre 2018, n. 25546
Lavoro – Personale docente – Periodi di aspettativa non retribuita nella pausa estiva – Mancato pagamento delle ferie maturate – Debito contributivo – Verbale ispettivo Inps
Fatti di causa
1. Con sentenza depositata il 30.8.2012, la Corte d’appello di Salerno, confermando la pronuncia del Tribunale della medesima sede, rigettava la domanda dell’Istituto R. K. s.r.l. di accertamento negativo avverso il verbale ispettivo n. 501 del 2007 redatto da funzionari INPS ove si rilevava un debito contributivo pari a euro 146.932,00 per il periodo luglio 2002 – settembre 2006 in relazione alla concessione, al personale docente dell’Istituto, di periodi di aspettativa non retribuita nella pausa estiva e al mancato pagamento delle ferie maturate in contrasto con il C.C.N.L. Aninsei applicato a fini retributivi.
2. Avverso tale pronuncia la società impugna con tre motivi di censura (erroneamente numerati), illustrati da memoria. L’INPS resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 434 cod. proc. civ. e 9 e 10 della legge n. 335 del 1995 (ex art. 360, primo comma, n. 3.cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, rilevato un contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo della sentenza del Tribunale ed una mancata impugnazione sul punto relativo alla (parziale) prescrizione dei crediti vantati dall’INPS, con conseguente conferma della statuizione (di primo grado) di rigetto della domanda dell’Istituto, nonostante proposizione di appello avverso il suddetto capo di sentenza da parte dell’Istituto stesso e applicazione di un principio contrastante con il regime quinquennale della prescrizione dei contributi.
2. con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 18, 39 e 41Cost. nonché dell’art. 34 C.C.N.L.Filins (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, dichiarato l’inosservanza dei limiti di concessione dell’aspettativa non retribuita sulla base di una norma contrattuale (il C.C.N.L. Aninsei) inapplicabile in quanto strumento negoziale non scelto dalle parti, che hanno invece applicato il C.C.N.L. Filins.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2109cod.civ. nonché dell’art. 31 C.C.N.L.Filins 2001-2005 e dell’art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003 (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) non consentendo, il verbale di accertamento ispettivo impugnato, di capire il criterio di computo dell’obbligazione contributiva applicato dall’ente previdenziale e prevedendo, detto verbale, erroneamente una retribuzione annuale corrispondente a trenta giorni di ferie. La Corte distrettuale, poi, ha attribuito fondatezza al calcolo della pretesa contributiva così come operato dall’INPS.
4. Il primo motivo è inammissibile.
La censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto dell’atto di appello, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726). Il rispetto del suddetto criterio si impone a fronte della statuizione della Corte territoriale che (rilevato il contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza di primo grado e la prevalenza, secondo consolidata giurisprudenza, del dispositivo con il quale il ricorso dell’Istituto era stato integralmente respinto, a fronte di una motivazione che, per un modesto importo, aveva riconosciuto la maturazione della prescrizione quinquennale delle somme pretese dall’INPS) ha sottolineato la carenza di una “specifica doglianza avverso la statuizione di rigetto della domanda contenuta nel dispositivo letto in udienza (l’appellante si è infatti limitato a rimarcare che il primo giudice, pur avendo correttamente riconosciuto l’intervenuta prescrizione quinquennale per le presunte obbligazioni contributive, non aveva esteso tale declaratoria anche alle sanzioni civili)”, con conseguente passaggio in cosa giudicata del capo di sentenza. Correttamente la Corte territoriale ha rilevato che, prima della disamina concernente il regime di prescrizione delle sanzioni civili, andava verificata la sussistenza di un motivo di appello in ordine alla statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza di primo grado, motivo di appello che è risultato mancante.
5. Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi, presentano anch’essi plurimi motivi di inammissibilità.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc.civ.. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione… “ (Cass. n. 17125 del 2007 e negli stessi termini Cass. n. 20652 del 2009).
Nel caso di specie difetta la necessaria riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale non ha operato una “sostituzione pattizia” ritenendo applicabile il C.C.N.L. Aninsei (per il personale della scuola non statale) piuttosto che quello stipulato dalla Filins (Federazione Italiana Licei Linguistici e Istituti Scolastici Non Statali) scelto dalla società, bensì ha affermato che le risultanze probatorie (ossia gli accertamenti effettuati dai funzionari Inps) dimostravano che la società aveva “corrisposto al personale dipendente le retribuzioni previste dal contratto collettivo nazionale stipulato tra l’Aninsei e le sigle sindacali più rappresentative a livello nazionale” aggiungendo che, in base all’art. 1 del d.l. 9 ottobre 1989 n. 388 (convertito dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389), la base imponibile per il calcolo dei contributi andava riferita all’importo delle retribuzioni previste dalla contrattazione collettiva scelta dal datore di lavoro per la corresponsione del trattamento economico.
Le censure, quindi, non colgono la ratio decidendi perché la ricorrente insiste sull’applicazione del contratto collettivo della Filins (adottato con riguardo all’istituto dell’aspettativa non retribuita al fine di contenere la concessione di ferie retribuite) ma – confermata l’applicazione, ai propri dipendenti, del trattamento economico previsto dal C.C.N.L. Aninsei – nulla deduce sull’interpretazione della normativa statale richiamata a fondamento della pronuncia impugnata e sulla inapplicabilità di istituti retributivi attinenti a contrattazione collettiva diversa da quella presa a parametro di riferimento per la corresponsione della retribuzione al proprio personale.
Si tratta, inoltre, con particolare riguardo al secondo motivo, di censure – per giunta non dotate della necessaria specificità – rivolte direttamente contro il verbale ispettivo redatto dai funzionari INPS e non contro la sentenza di appello.
6. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese del presente giudizio seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod. proc. civ.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte dell’Istituto ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, at. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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