CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 luglio 2022, n. 22110
Controversia previdenziale – Esonero dal pagamento delle spese di lite ex art. 152 att. c.p.c. – Estensione al giudizio per revocazione – Raddoppio del contributo unificato – Presupposti
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 152 att. c.p.c., nel testo modificato dall’art. 42, comma 11, d.l. n. 269/2003 (conv. con I. n. 326/2003), e dell’art. 91 c.p.c., per avere la Corte di merito pronunciato sentenza di condanna alla rifusione delle spese del giudizio di revocazione nonostante che, unitamente al ricorso introduttivo del giudizio poi definito con la sentenza revocanda, ella avesse prodotto la prescritta autocertificazione attestante un reddito inferiore al doppio di quello previsto per l’ammissione al gratuito patrocinio: ad avviso di parte ricorrente, infatti, essendo prescritto il deposito dell’anzidetta autocertificazione soltanto per la fase introduttiva del giudizio e non avendo ella comunicato variazioni di sorta, troverebbe applicazione il consolidato principio di diritto in virtù del quale l’esonero dalle spese di lite di cui all’art. 152 att. c.p.c. vale anche per il giudizio d’impugnazione che riguardi esclusivamente la pronuncia sulle spese relativa ad una controversia previdenziale, nell’ambito del quale rientrerebbe anche il giudizio di revocazione.
Con il secondo motivo, proposto in via gradata rispetto al primo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 6, d.l. n. 203/2005 (conv. con I. 248/2005), nel testo derivato dall’art. 16, comma 9, d.l. n. 5/2012 (conv. con I. n. 35/2012), nonché degli arti. 82, comma 3°, e 91, comma 1°, c.p.c., per non avere la Corte territoriale rilevato la nullità della costituzione in giudizio dell’INPS in sede di gravame nonostante che non fosse avvenuta a mezzo di propri funzionari, ma mercé il patrocinio di un avvocato dipendente dell’Istituto e iscritto all’albo speciale: ad avviso di parte ricorrente, infatti, non solo la difesa nei gradi di merito a mezzo di propri funzionari avrebbe per l’INPS carattere obbligatorio, ma implicherebbe per l’Istituto la necessità di avvalersi esclusivamente di propri funzionari amministrativi, restando esclusa la possibilità di delegare la difesa a dipendenti muniti di ius postulandi in senso tecnico-giuridico e/o comunque di considerare giuridicamente tale difesa utile ai fini della rifusione delle spese di lite.
Con il terzo motivo, infine, la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 1 – quater, T.U. n. 115/2002, per avere la Corte di merito ritenuto la sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, nonostante che ella, unitamente al ricorso per revocazione, avesse prodotto autocertificazione ai sensi dell’art. 9, comma 1 – bis, T.U. n. 115/2002, cit., attestante il possesso di un reddito inferiore al triplo dell’importo utile per l’ammissione al gratuito patrocinio: ad avviso di parte ricorrente, infatti, la presenza di tale dichiarazione avrebbe dovuto indurre i giudici territoriali a non emettere alcuna statuizione concernente il raddoppio del contributo unificato.
Ciò posto, il primo motivo è fondato.
Come correttamente ricordato da parte ricorrente, questa Corte ha da tempo consolidato il principio secondo cui l’art. 152 disp. att. c.p.c., che esenta dal pagamento delle spese processuali nelle controversie relative a prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente in possesso di un reddito pari o inferiore al doppio di quello previsto per l’ammissione al gratuito patrocinio, trova applicazione anche in caso di gravame che concerna il solo capo delle spese di lite di una pronuncia resa nell’ambito di un giudizio volto al riconoscimento di tali prestazioni (così, tra le più recenti, Cass. n. 26738 del 2019; ma nello stesso senso v. già Cass. nn. 5259 del 1985 e 1246 del 1993), ed ha esteso tale principio (sia pure in una fattispecie ratione temporis rientrante nel vigore del testo dell’art. 152 att. c.p.c. anteriore alla novella apportata dall’art. 42, comma 11, d.l. n. 269/2003, cit.) anche al giudizio per revocazione, in considerazione della sua natura di impugnazione, ancorché straordinaria (Cass. n. 13166 del 2009): e trattasi di principio al quale va senz’altro data continuità, costituendo il regolamento di tali spese un aspetto consequenziale ed accessorio rispetto alla definizione del procedimento di accertamento della spettanza del beneficio richiesto e partecipando, conseguentemente, della stessa natura giuridica di quest’ultimo, salvo ovviamente il caso, che qui non ricorre, che si tratti di credito per le spese di lite fatto valere dal difensore distrattario (così, espressamente, Cass. n. 26738 del 2019, cit., in motivazione).
Vero è che, nella specie, risulta agli atti di causa che in calce al ricorso introduttivo del giudizio volto al riconoscimento dell’indennità di accompagnamento e culminato con la sentenza qui impugnata l’odierna ricorrente allegò una autocertificazione attestante “che il reddito dell’intero nucleo familiare relativo all’anno fiscale 2010 è/è stato di Euro 17.644,14”, pacificamente utile a guadagnarle in ipotesi l’esonero dal pagamento delle spese di lite, senza tuttavia accompagnare tale autodichiarazione dall’assunzione dell’impegno di “comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente”, come pure prescritto dall’art. 152, comma 10, secondo periodo, att. c.p.c.; ma non è meno vero che questa Corte ha già affermato che un’assunzione esplicita in tal senso non è necessaria, derivando l’impegno de quo direttamente dalla legge (così Cass. n. 13367 del 2011, cui ha dato continuità, tra le numerose, Cass. n. 16132 del 2016).
Si deve semmai precisare che la non necessità dell’espressa dichiarazione della parte di impegnarsi a comunicare le variazioni reddituali rilevanti non discende tanto dal fatto che il rinvio operato dal terzo periodo dell’art. 152 cit. all’art. 79, T.U. n. 115/2002, sarebbe limitato ai commi 2 e 3 e non riguarderebbe, invece, il comma 1, dove, al fine ivi previsto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, è specificamente indicato il contenuto dell’istanza, stabilito a pena di inammissibilità e comprendente anche l’impegno ad effettuare la comunicazione delle variazioni reddituali rilevanti (così invece Cass. n. 13367 del 2011, successivamente e in termini richiamata da numerose successive conformi): è sufficiente sul punto rilevare che, nella lettera del secondo periodo del comma 10 dell’art. 152 att. c.p.c. l’impegno “a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente” è autonomamente ed espressamente previsto e non v’era dunque alcuna necessità per il legislatore di riprenderlo dalla lett. g) del comma 1 dell’art. 79, T.U. n. 115/2002.
Il vero è che, nel sistema delineato dall’art. 152 att. c.p.c., l’esenzione dalle spese non è conseguenza di una “domanda” dell’interessato, com’è invece l’accesso al gratuito patrocinio, ma è semplicemente conseguenza del “fatto” che la parte soccombente possegga un reddito pari o inferiore al doppio di quello necessario per fruire del patrocinio a spese dello Stato: prova ne sia che la norma cit. esordisce, al primo comma, affermando che “nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente, salvo comunque quanto previsto dall’articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze e onorari quando risulti titolare, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall’ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 76, commi da 1 a 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115”. E se è vero che a rilevare all’uopo è soltanto il possesso di un reddito compreso nella soglia indicata dalla legge, al punto che in presenza di esso il giudice non può condannare la parte soccombente alla rifusione delle spese (e proprio per ciò questa Corte ha precisato che, ove tali condizioni, originariamente insussistenti, si siano concretizzate nel prosieguo del giudizio, è facoltà dell’interessato rendere, anche nei gradi successivi, apposita dichiarazione diretta ad ottenere il riconoscimento del suddetto beneficio: così già Cass. n. 16284 del 2011), si deve necessariamente interpretare la locuzione “e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente”, che pure figura nel secondo periodo del primo comma dell’art. 152, cit., come attestante l’obbligo della parte di provvedere a comunicarle e non anche come un requisito di forma dell’autocertificazione; e ciò in un equilibrato bilanciamento degli interessi potenzialmente confliggenti, tale per cui in tanto l’onere autocertificativo imposto alla parte ricorrente ed assolto con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado esplica la propria efficacia anche nei gradi successivi in quanto a suo carico sussiste ex lege l’impegno di comunicare le eventuali variazioni reddituali all’uopo rilevanti.
Si spiega così, in conclusione, il fatto che il secondo periodo del comma primo dell’art. 152 att. c.p.c. rinvia bensì ai commi 2 e 3 dell’art. 79, T.U. n. 115/2002, ma non anche al comma 1: il comma 1, infatti, disciplina precisamente i requisiti della domanda di ammissione al gratuito patrocinio e di nessuna “domanda” necessita invece la parte soccombente nei giudizi per prestazioni previdenziali e assistenziali per essere esonerata dalla condanna alle spese, rilevando semplicemente il fatto che possegga un reddito utile ai fini dell’esonero.
Dovendo pertanto ritenersi che la dichiarazione a suo tempo allegata al ricorso introduttivo del giudizio poi culminato con la sentenza impugnata fosse idonea a guadagnare alla ricorrente l’esonero in caso di soccombenza, erroneamente i giudici territoriali l’hanno gravata delle spese del giudizio di revocazione; e la sentenza impugnata, in accoglimento del motivo di censura, va pertanto in parte qua cassata ex art. 382, comma 3°, c.p.c., con consequenziale assorbimento del secondo motivo.
Il terzo motivo è invece inammissibile per carenza d’interesse.
Va premesso, al riguardo, che – nel rigettare l’impugnazione proposta dall’odierna ricorrente – la Corte territoriale ha dato atto “che sussistono le condizioni oggettive per il raddoppio del contributo unificato” previsto dall’art. 13, comma 1 – quater, T.U. n. 115/2002.
Come hanno chiarito le Sezioni Unite di questa Corte, l’attestazione del giudice dell’impugnazione concernente la sussistenza dei presupposti che determinano il raddoppio del contributo unificato può riguardare soltanto la ricorrenza del presupposto processuale che determina in astratto il raddoppio del contributo (ossia l’aver adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione), ma non anche la sussistenza dell’altro presupposto richiesto dall’art. 13, comma 1 -quater, che è costituito dalla soggettiva debenza del contributo unificato iniziale: si tratta infatti di un presupposto il cui accertamento compete in via esclusiva all’amministrazione giudiziaria e, in caso di contestazione, alla giurisdizione tributaria (Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
Tale precisazione vale in specie per la disposizione di cui all’art. 9, comma 1 – bis, T.U. n. 115/2002, secondo la quale “nei processi per controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie, nonché per quelle individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego le parti che sono titolari di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, superiore a tre volte l’importo previsto dall’articolo 76, sono soggette, rispettivamente, al contributo unificato di iscrizione a ruolo nella misura di cui all’articolo 13, comma 1, lettera a), e comma 3“: essa infatti prevede una esenzione dal contributo, a beneficio delle parti che siano titolari di redditi non superiori ad una certa soglia, che il giudice non è in grado di verificare e che, per di più, potrebbe venir meno sulla base degli esiti dei controlli svolti dagli organi a ciò deputati (così, espressamente, Cass. S.U. n. 4315 del 2020, in motivazione). E così dovendo interpretarsi la disposizione in esame, è evidente che l’odierna ricorrente non può derivare pregiudizio alcuno da una statuizione come quella qui impugnata, atteso che l’attestazione circa la sussistenza dei presupposti oggettivi per il raddoppio del contributo unificato (sulla cui correttezza, ovviamente, parte ricorrente nulla eccepisce né potrebbe eccepire) giammai può implicare l’obbligo da parte sua di pagarlo, ricollegandosi quest’ultimo all’eventuale sussistenza del presupposto soggettivo, costituito dalla originaria debenza del contributo stesso, che è ciò di cui invece la sentenza nulla dice.
Conclusivamente, il ricorso va accolto quanto al primo motivo. Tenuto conto della soccombenza reciproca, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo e dichiarato inammissibile il terzo. Cassa la sentenza impugnata nella parte in cui ha disposto la condanna di I.M. alla rifusione delle spese in favoredell’INPS e compensa le spese del giudizio di legittimità.
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