CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 gennaio 2022, n. 1096
Rapporto di lavoro – Mansioni di autista di scuolabus – Decesso del lavoratore – Riconoscimento della rendita ai superstiti
Fatti di causa
La Corte d’appello di Lecce, a conferma della sentenza del Tribunale di Brindisi, ha rigettato il ricorso proposto da A.C.C., I. e P.V.D.C., eredi di V.D.C., dipendente del Comune di Latiano con mansioni di autista di scuolabus, i quali rivendicavano il riconoscimento in loro favore della rendita ai superstiti, a seguito del decesso del loro dante causa per infarto del miocardio subito contestualmente ad un incidente stradale occorso mentre era alla guida del pulmino,- determinato dallo stress psico – fisico accumulato negli anni di lavoro in svariate mansioni presso lo stesso Comune.
La Corte d’appello ha escluso, alla luce dell’istruttoria e della Consulenza medico legale espletata, che l’infarto potesse essere derivato causalmente dallo svolgimento della prestazione lavorativa, atteso che gli appellanti, cui spettava di dimostrare la condizione di superlavoro e/o di stress psico-fisico comunque intervenuto, anche a ridosso dell’evento mortale, non avevano fornito prova di quali fossero stati in concreto i fattori che avevano causato direttamente o concorso a causare l’evento mortale.
Nello specifico, ha accertato che mancava qual si voglia allegazione circa l’articolato dei turni di lavoro, la loro durata e la protrazione di ore per -lavoro straordinario; che l’attività svolta per sua natura non risultava correlata a condizioni di stress particolari o che richiedessero lo svolgimento di lavoro straordinario, né a ritmi particolarmente usuranti, specie se, come attestato dal medico curante di V.D.C., il lavoratore era esente da patologie.
Ha escluso quindi che quest’ultimo fosse soggetto a condizioni di superlavoro, valorizzando l’elemento istruttorio emerso in causa per cui egli non era il solo a condurre i tre automezzi destinati al servizio di scuolabus del Comune di Latiano, essendo di ciò incaricati altri due lavoratori, dipendenti di una ditta subappaltatrice; quanto allo stress asseritamente accumulato per lo svolgimento (anche) del servizio di guardiania, la Corte d’appello ha escluso la probabilità che vi fosse un nesso tra la morte e tale condizione lavorativa, in assenza di allegazione da parte degli appellanti circa la durata di assegnazione alla mansione e l’articolazione dei turni di lavoro. Ha infine valorizzato la CTU medico legale la quale, dando conto degli approdi a cui è giunta la letteratura scientifica in tema di morte improvvisa per arresto cardiocircolatorio, ha escluso che in assenza di prova di uno stato morboso preesistente o di una specifica condizione favorente possa riscontrarsi un nesso di concause tale da poter confermare la natura professionale dell’evento.
La cassazione della sentenza è domandata A.C.C., I. e P.V.D.C., quali eredi di V.D.C. sulla base di due motivi.
L’INAIL ha depositato tempestivo controricorso.
Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Col primo motivo i ricorrenti deducono “Erronea e non veritiera interpretazione delle emergenze processuali con particolare riguardo alle produzioni documentali ed alla prova testimoniale – Violazione degli artt. 112 e ss. c.p.c.”; contestano alla Corte d’appello di non aver riconosciuto la sussistenza del raggiungimento della prova, documentale e testimoniale, circa la gravosità delle mansioni espletate dal D.C. e della concorrenza dell’antefatto costituito da un malore mattutino quale concausa rilevante ai fini della rilevanza del nesso causale.
Col secondo motivo lamentano “Omessa valutazione di fatti circostanze e documenti – Missiva del 12.02.2013 del Comune di Latiano – Rilevanti ai fini della decisione – Violazione degli artt. 210 e ss. c.p.c. nonché degli artt. 112 e ss. c.p.c.”; lamentano che la Corte territoriale non abbia accolto la richiesta istruttoria di acquisire i fogli di presenza degli autisti che si trovavano al lavoro con il loro dante causa il giorno della morte di questi e di non averli chiamati a deporre in qualità di testimoni.
I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per connessione, concernendo entrambi l’apprezzamento degli elementi probatori da parte del giudice di secondo grado.
Essi sono inammissibili.
Le censure dei ricorrenti si limitano genericamente, per un verso a contestare l’accertamento del nesso causale tra evento e attività professionale, oggetto del giudizio insindacabile del giudice del merito quando sorretto, come nel caso in esame, da logica e adeguata motivazione, per altro verso a denunciare l’errata valutazione del materiale probatorio posto, secondo insindacabile apprezzamento del giudice del merito, a sostegno della decisione.
Si rammenta in proposito che in base a quanto ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte, la critica di errore di valutazione in cui sia eventualmente incorso il giudice di merito e che investa l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare non è mai sindacabile in sede di legittimità (ex plurimis, cfr. Cass. n. 27033 del 2018). Quanto alla denuncia di mancata ammissione di mezzi istruttori e di eventuali vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente le fonti, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (Così, Cass. n. 23194 del 2017).
Anche sotto quest’ultimo profilo il ricorso è carente, atteso che la censura non specifica la decisività dell’acquisizione dei nominativi dei due dipendenti della Cooperativa R.S..
Contrariamente a quanto affermato nella censura, la Corte d’appello ha adeguatamente motivato il mancato accoglimento della richiesta istruttoria in oggetto, intanto dichiarandola inammissibile perché tardiva, sebbene in questa sede, i ricorrenti affermino, omettendo qual si voglia allegazione in proposito, di avere proposto l’istanza già in primo grado.
Tuttavia, la Corte è anche entrata nel merito della richiesta, ritenendola ininfluente, perché diretta unicamente a ottenere conferma che il malore mattutino del D.C. si era verificato mentre lo stesso si trovava collocato al centro della colonna di tre scuolabus, e non era invece rivolta a dimostrare – come avrebbe dovuto – che l’evento mortale si era determinato a causa dell’abnorme stress psico-fisico subito dal lavoratore.
In definitiva, il ricorso è inammissibile.
Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
In considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della I. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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