CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 gennaio 2019, n. 705
Imposte dirette – IRPEF – Accertamento – Istanza di rimborso – Trattamento pensionistico – Esenzione fiscale
Fatti di causa
C.G.B. ricorreva, con due distinti ricorsi, avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria alle istanze di rimborso delle somme versate a titolo di Irpef per gli anni d’imposta 2005 e 2006, oltre che per l’acconto relativo all’anno 2007, sulla pensione regolarmente dichiarata.
Deduceva, a sostegno della domanda, che, avendo prestato servizio, in qualità di funzionario civile, presso il Quartier Generale della Nato dal 1979 al 2005, il trattamento di quiescenza percepito a decorrere dal 1/5/2005 – formato da quote di stipendi accantonate per ogni anno di servizio prestato alle dipendenze dell’Ente – doveva essere considerato come “retribuzione differita”, esente da imposizione fiscale, a norma dell’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. 18/9/1962, n. 2083, che aveva dato attuazione all’Accordo di Parigi del 28/8/1952.
L’adita Commissione tributaria provinciale respingeva i ricorsi riuniti, osservando che l’esenzione fiscale invocata valeva per gli stipendi elargiti al contribuente durante la sua attività di servizio, ma non per le attribuzioni percepite successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, stante l’assenza di una espressa previsione normativa che derogasse al regime generale del prelievo fiscale.
Interposto appello dal contribuente, la Commissione regionale, riformando la sentenza di primo grado, lo accoglieva, ritenendo che il trattamento di cui usufruiva il contribuente poteva essere definito “retribuzione differita”, considerato che veniva erogato dalla N.A.T.O. ed era composto da quote di stipendio precedentemente accantonate, come tali esenti da imposte.
Avverso la suddetta decisione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, con un unico motivo, cui resiste il contribuente mediante deposito di controricorso.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso, la difesa erariale deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 2083/1962 e dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.” Dopo avere sottolineato che la disposizione normativa richiamata introduce per una parte del personale civile della N.A.T.O. (il cd. International Staff di cui al paragrafo a) 1 del medesimo articolo) una speciale forma di esenzione dal pagamento delle “imposte erariali e locali sui redditi derivanti dagli stipendi ed emolumenti” ad essi corrisposti dai Quartieri Generali Interalleati, lamenta che i giudici di appello, definendo le pensioni percepite dall’International Staff della N.A.T.O. come forma di “retribuzione differita”, hanno ritenuto di poter estendere l’applicazione dell’esenzione anche al trattamento pensionistico del contribuente, adottando in tal modo una interpretazione della norma che si pone in contrasto con la regola della stretta interpretazione delle norme eccezionali, prevista dall’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, in forza del quale “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”.
2. La censura è fondata.
3. La Commissione regionale, all’esito di una disamina di tutti i fatti posti dal contribuente a base della propria domanda – non contestati, né disconosciuti dall’Ufficio – ha riconosciuto che gli emolumenti corrisposti direttamente dalla N.A.T.O. al C. successivamente alla sua collocazione a riposo conservano natura retributiva e sono, per tale motivo, esenti da imposizione.
4. A tale conclusione i giudici di appello sono pervenuti sulla base di una serie di argomentazioni che rendono non condivisibile la interpretazione della norma di cui all’art. 8, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 2083/1962 da essi operata.
Partendo dalla distinzione, nell’ambito del personale N.A.T.O., di due categorie, e precisamente di quella formata dal personale direttamente assunto dall’Organizzazione e di quella formata da dipendenti assegnati dai singoli Stati al servizio dell’Alleanza, la Commissione regionale ha posto in evidenza che le due categorie soggiacciono ad un differente trattamento fiscale che trova giustificazione nel diverso tipo di rapporto che lega il personale all’Organizzazione.
5. Ha, in particolare, spiegato che il personale a Statuto Internazionale, al quale sono affidati compiti molto delicati, anche dopo la collocazione a riposo conserva la dipendenza organica nei confronti della N.A.T.O., e ciò sia sotto il profilo disciplinare, sia sotto quello della tutela del funzionario e dei suoi familiari.
Infatti, il funzionario a riposo rimane pur sempre vincolato agli obblighi assunti all’atto dell’assunzione, tanto che continua ad essere sottoposto al potere disciplinare della stessa Organizzazione, la quale, in caso di violazione di detti obblighi, può anche negargli la corresponsione del trattamento di quiescenza, e gode di una particolare protezione, da parte della N.A.T.O., in relazione a fatti integranti minacce o violenze, per sé e per i familiari.
Tali diritti e doveri, come sottolineato nella motivazione della sentenza impugnata, non sono invece riconosciuti agli altri dipendenti della N.A.T.O., appartenenti alla categoria del “Personale a Statuto Locale”, i quali percepiscono il trattamento di quiescenza direttamente dagli Enti previdenziali dei diversi Stati di appartenenza e non dalla N.A.T.O.
6. Alla luce dei profili sopra evidenziati, i giudici di secondo grado hanno, quindi, affermato che il trattamento corrisposto al personale già in servizio presso il Quartier generale e collocato a riposo, proprio in ragione della rilevata permanenza della dipendenza organica del funzionario nei confronti della N.A.T.O., riveste la natura di “retribuzione differita”, tanto che viene direttamente erogato dalla N.A.T.O. che attinge da uno specifico fondo pensione (cd. Pension Scheme), costituito da quote di retribuzione mensilmente accantonate.
7. L’orientamento espresso dalla Commissione regionale, che depone per il riconoscimento dei benefici fiscali ai redditi da pensione, qualora questi siano stati previsti per i redditi da lavoro dipendente, prende le mosse da principi di diritto espressi da pronunce delle Sezioni Unite (Cass. 3059 del 1/3/2003) e della Sezione lavoro di questa Corte (Cass. 3995 del 27/4/1994; Cass. n. 10615 del 19/7/2002; Cass. n. 5505 del 19/5/1995), secondo cui la funzione previdenziale di una prestazione pecuniaria non è sufficiente per qualificare di natura previdenziale il credito, occorrendo invece che sussista l’elemento strutturale della sua inerenza ad un rapporto giuridico distinto da quello di lavoro, ancorchè connesso; di conseguenza, i trattamenti di pensione corrisposti dallo stesso datore di lavoro, e non da un centro autonomo d’imputazione di un distinto rapporto previdenziale, hanno natura di “retribuzione differita”, costituendo l’oggetto di obbligazioni inerenti al rapporto di lavoro, sicchè l’emolumento aggiuntivo, sulla base di tale orientamento, sfugge alla normativa che regola le pensioni e viene sottoposto alle norme tipiche del rapporto di lavoro in corso di svolgimento.
8. Va, tuttavia, rilevato, che l’art. 8, comma 1, lett. c) del citato d.P.R. n. 2083 del 1962, ai fini della esenzione dal pagamento delle imposte sui redditi, presuppone per l’applicabilità del beneficio due condizioni tassative, ossia che si tratti di “redditi derivanti da stipendi ed emolumenti” e che essi siano corrisposti al personale civile “dai quartieri generali interalleati nella loro qualità di impiegati di detti quartieri generali”.
La disposizione normativa fa, quindi, esclusivo riferimento agli stipendi ed agli “emolumenti” percepiti in costanza del rapporto lavorativo, senza menzionare le pensioni corrisposte dopo la cessazione del medesimo.
9. Tale limitazione, come è stato evidenziato nella Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 16/12/2009, n. 285/E, trova la sua ratio nella funzione stessa della norma che ha lo scopo di prevedere un trattamento speciale in relazione alle finalità istituzionali perseguite dalle organizzazioni internazionali attraverso la loro struttura, della quale fa parte il personale in servizio, per cui tale regime agevolativo non trova applicazione per coloro che non vi prestano più la loro opera.
10. A supporto della diversa interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria soccorre il Regolamento pensionistico delle “Organizzazioni Coordinate”, tra le quali rientra la N.A.T.O., ed in particolare la disciplina dettata dall’art. 42 di detto Regolamento (“Pensioni soggette alla legislazione fiscale nazionale”), laddove si prevede, al comma 1, che “la pensione e l’adeguamento sono tassabili quali redditi ai sensi della legislazione fiscale in vigore in tale paese” (comma 1), ossia sono assoggettate ad imposizione nello Stato di appartenenza in cui risiede il beneficiario e secondo le disposizioni contenute nella legislazione fiscale dello Stato stesso.
11. Il regolamento sopra richiamato, per quello che attiene il trattamento tributario delle pensioni erogate ai dipendenti della N.A.T.O., non introduce una disciplina difforme rispetto a quanto già previsto dalle fonti internazionali N.A.T.O., le quali, con riguardo alle esenzioni fiscali, escludono dalla tassazione i soli salari e gli emolumenti, e dunque quelle attribuzioni che sono erogate in costanza del rapporto di lavoro, senza fare mai riferimento al trattamento pensionistico.
12. Ciò si evince, in particolare, dalla lettura dell’Accordo di Ottawa del 20 settembre 1951 (ratificato con legge n. 1126 del 10 novembre 1954), il cui art. 19 utilizza i termini “salaries and emoluments”, come pure dall’art. X della Convenzione di Londra del 1951 (ratificata con legge n. 1335/1955) e dall’art. 7 del Protocollo di Parigi del 28.8.1952 (ratificato con legge del 30/11/1955, n. 1338), nei quali è assente qualsiasi riferimento al termine “pensione”.
13. La disciplina dettata dalla legge del 1962 non può, ovviamente, discostarsi da quella sovranazionale emergente dal richiamato art. 42 del Regolamento pensionistico, in virtù del quale l’importo della pensione concorre alla formazione del reddito imponibile del percettore residente, considerato che l’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 2083/1962 si configura come norma speciale di stretta interpretazione, il cui tenore letterale depone per l’applicabilità del beneficio solamente a coloro che rivestono la qualità di “impiegati” e con riguardo esclusivamente agli “stipendi ed emolumenti” percepiti.
14. Tale conclusione è, d’altro canto, ulteriormente avvalorata dalla considerazione che lo schema pensionistico applicato alle cd. “organizzazioni coordinate” prevede anche il meccanismo del tax adjustment, ovvero del rimborso ai pensionati delle organizzazioni di circa il 50 per cento delle imposte sul reddito pagate sulla pensione, con ciò riconoscendo implicitamente la legittimità della tassazione delle pensioni stesse.
15. Lo stesso art. 42 del Regolamento parla, inoltre, del calcolo e “dell’importo delle imposte sul reddito per tutti i beneficiari di pensioni che sono contribuenti nel paese interessato” (comma 3) e di “detrazioni e sgravi fiscali” per carichi familiari (comma 4), elementi tutti che evidenziano la esistenza di un regime diverso tra il trattamento economico esente in corso di rapporto, espressamente previsto dal citato art. 8, e quello non esente dopo la cessazione del rapporto, spiegabile solo con l’intento di limitare al massimo ogni forma di soggezione o pressione, diretta o indiretta, degli Stati membri sul singolo dipendente N.A.T.O.
16. La interpretazione letterale dell’art. 8, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 2083/1962, che impone di attribuire la esenzione unicamente agli emolumenti derivanti dai rapporti di lavoro in corso di svolgimento, trova, peraltro, conferma nei principi enunciati da questa Corte nella sentenza n. 16098 del 18/8/2004 (che ha deciso in ipotesi analoga in cui era prevista l’esenzione per i redditi da lavoro prestato all’estero), secondo cui « i redditi da pensione sono equiparati ai redditi da lavoro dipendente solo ai fini della loro inclusione nella base imponibile, ma non anche ai fini della loro esclusione, per cui l’esenzione disposta per gli uni (quali, appunto, i redditi da lavoro dipendente prestato all’estero) non si estende, in mancanza di una espressa disposizione di legge, ai redditi da pensione derivanti dal medesimo lavoro», e ciò in quanto «le norme fiscali che prevedono esclusioni o esenzioni sono regole di stretta interpretazione, che non trovano applicazione se non nelle ipotesi da esse espressamente contemplate».
L’equiparazione dei redditi da pensione a quelli da lavoro dipendente è, infatti, dettata dalla finalità di “omogeneizzare il relativo trattamento tributario” e non anche per estendere ai primi una disposizione speciale prevista solo per una categoria ben precisa di lavoro dipendente.
17. Va, d’altro, ricordato che le Sezioni Unite, sempre nell’ambito di controversie di lavoro, hanno precisato che gli emolumenti pensionistici, anche qualora siano erogati dallo stesso datore di lavoro ed abbiano natura di “retribuzione differita”, conservano la loro funzione previdenziale e non sono esattamente equiparabili ai redditi da lavoro dipendente, perché «sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa» (Cass. Sez. U., n. 974 del 1/2/1997) e sono conseguentemente sottratti al criterio inderogabile di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro che caratterizza gli emolumenti da lavoro.
18. La Commissione tributaria regionale del Veneto, affermando che i trattamenti pensionistici percepiti dal contribuente, avendo natura di «retribuzione differita», sono assoggettati alla medesima esenzione prevista per gli stipendi erogati in vigenza del rapporto di lavoro, ha introdotto, in via interpretativa, una eccezione al principio generale che prevede l’assoggettabilità delle pensioni ad imposizione fiscale, non espressamente prevista da una specifica disposizione di legge, violando in tal modo la regola della stretta interpretazione delle norme eccezionali sancita dall’art. 14 sulla legge in generale.
19. In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza deve essere cassata e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., con il rigetto dell’originario ricorso del contribuente.
20. Le spese dei gradi del giudizio di merito e le spese relative al presente giudizio di legittimità, in ragione della novità delle questioni trattate, vanno integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente.
Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi del giudizio di merito e le spese del giudizio di legittimità.
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