COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE MARCHE – Sentenza 12 ottobre 2020, n. 705
Tributi – IVA – Prestazioni di trasporto relative a beni in importazione dalla Repubblica di San Marino – Importo incluso nella base imponibile della prestazione principale – Onere di prova a carico del contribuente – Prova documentale
In primo grado il contribuente, F. SOC. COOP. A R.L. IN LIQUIDAZIONE, ha impugnato l’avviso di accertamento n. TQ903T301260-2013 -anno di imposta 2008, l’avviso di accertamento n. TQ906T301265-2013- anno di imposta 2009 e infine l’avviso di accertamento n. TQ903T301267-2013- anno di imposta 2010.
La controversia tra Agenzia delle Entrate e la “F. SOCIETA’ COOPERATIVA A R. L esercente attività di “trasporto merci su strada”, riguarda l’imponibilità ai fini IVA delle prestazioni di trasporto relative a beni in importazione dalla Repubblica di San Marino.
Dalla documentazione acquisita dall’Ufficio è risultato che, negli anni di imposta in questione, la F., che operava con la C. S.A.- I M- con sede a Rovereto di Falciano (RSM), fatturava, con cadenza mensile, i trasporti effettuati per conto di tale società sammarinese, indicando quale titolo di “non imponibilità ai fini Iva” gli artt. 9 e 71 del d.P.R. n° 633/72.
Le fatture emesse dalla F. nei confronti della C. S.A. riportavano la seguente dicitura: “Trasporti effettuati per Vs ordine e conto in uscita dalla Repubblica di San Marino venduta franco destino relativi al mese di (…)” – Iva non imponibile ai sensi degli artt. 9 e 71 D.P.R 633 del 1972″
La clausola “franco destino” è una clausola contrattuale tipica dei documenti di trasporto che riguarda le condizioni di consegna dei beni e stabilisce che i rischi e le spese di spedizione sono a carico del fornitore della merce fino al destino. L’indicazione relativa viene apposta sul documento di trasporto (o sulla fattura immediata) che accompagna la spedizione e vincola il soggetto che accetta il contratto di spedizione a non richiedere alcun compenso al destinatario indicato sul documento stesso per le sue prestazioni.
Tale modus operandi ha comportato che, a fronte di acquisti imponibili, si sono generati, annualmente, crediti Iva, utilizzati sia in compensazione sia per l’effettuazione di acquisti senza pagamento d’imposta, ai sensi dell’art. 8, comma l lettera c), del d.P.R. n° 633/1972.
Assume l ‘Ufficio che i trasporti fatturati costituiscono operazioni imponibili ai fini Iva. E nel convincimento che le fatture emesse dalla F. s.c.a.r.l. avrebbero dovuto contenere l’esposizione dell’Iva dovuta per le prestazioni in oggetto (con aliquota del 20%), notificava alla società gli avvisi di accertamento, contestando la violazione dell’obbligo di fatturazione previsto dall’art. 21 del d.P.R. n° 633/72 per mancato assoggettamento ad Iva delle operazioni in questione ed il rilascio di dichiarazioni di intento in assenza dei presupposti e la conseguente effettuazione di acquisti in sospensione di imposta in assenza delle prescritte condizioni.
Osserva la Commissione quanto segue.
L’art. 7, c. 4 lett. c), del d.P.R. no 633/72, nel testo in vigore nelle annualità oggetto di controllo, definisce la territorialità per le prestazioni di servizio, precisando che «le prestazioni di trasporto si considerano effettuate nel territorio dello stato in proporzione alla distanza ivi percorsa»: di conseguenza, la tratta eseguita nel territorio nazionale va assoggettata ad imposta, tenendo presente quanto previsto dall’art. 9 circa la «non imponibilità della tratta nazionale».
Quest’ultima disposizione, infatti, considera non imponibili i trasporti relativi ai beni in importazione i cui corrispettivi sono assoggettati ad imposta a norma dell’art. 69, c. 1, che a sua volta prevede che all’atto dell’importazione da paesi extra UE la base imponibile sia determinata aumentando il valore doganale delle merci dei diritti doganali di confine (Iva esclusa), delle spese di commercializzazione e delle spese di inoltro fino al luogo di destinazione. Ne deriva che le spese di trasporto, quando sono fatturate dal vettore, devono essere considerate non imponibili.
Tuttavia, negli acquisti da operatori sammarinesi vi è la particolarità della assenza di un Ufficio doganale che faccia assolvere l’imposta per le prestazioni di trasporto sulla tratta dal confine italo sammarinese al luogo di destinazione in Italia. Tanto determinerebbe, secondo l ‘Ufficio, che per la fatturazione delle prestazioni di trasporto non è possibile applicare il regime di non imponibilità di cui all’art. 9 del Decreto Iva. Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, dunque, il contribuente avrebbe dovuto assoggettare a I va le prestazioni in questione, con applicazione dell’aliquota ordinaria, atteso che l’art. 71 (che disciplina le operazioni con la Repubblica di San Marino) non è richiamato nel citato art. 9 (a differenza dell’art. 69 citato), né può essere interpretato e applicato in modo estensivo per analogia.
La tesi dell’Ufficio è “in parte qua” errata.
Già il giudice di prime cure ha correttamente osservato che ” … pur constatando che San Marino ed Italia hanno definito una normativa specifica solo in relazione alle cessioni di beni e che le prestazioni di servizi come il trasporto di beni da San Marino all’Italia sono, dal punto di vista dell’Iva, soggette alle norme del DPR n. 633 del 1972, non si può però concludere- per l’assenza di un regime di esenzione basandosi solo su una lettura formale delle norme ed in particolare dell’art. 9 del decreto nella misura in cui richiama l’articolo 69 comma l o dello stesso decreto”, valutando come puramente “accidentale” l’assenza tra San Marino e Italia di ogni vigilanza doganale.
Ma vi è di più. Devesi invero considerare che, con una recente serie di sentenze, la Corte di Cassazione ha ulteriormente chiarito rilevanti profili relativi al trattamento IVA delle prestazioni accessorie a scambi internazionali.
Dapprima, con la sentenza del25 maggio 2018, n. 13119, la giurisprudenza di legittimità ha recepito l’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia nella sentenza 4 ottobre 2017, causa C-273/16, E E Inc. stabilendo che alle prestazioni accessorie, tra cui rientrano i servizi di trasporto, si applica il regime di non imponibilità previsto dall’art. 9, comma l del d.p.r. n. 633 del 1972 allorquando il loro valore è compreso nella base imponibile, non essendo richiesta anche la condizione del previo pagamento dell’imposta in dogana all’atto dell’importazione. Di poi, sulla specifica questione portata dall’esame della CTR, in tema di trasporti tra Italia e S. Marino, è intervenuta la sentenza n. 9215 del 03/04/2019 (Rv. 653534- 01) della Corte di cassazione, la quale ha fissato il principio di diritto secondo il quale “in tema di IVA, le spese di trasporto del bene costituiscono operazioni non imponibili, in quanto accessorie a quella principale di cessione del bene, ove il corrispettivo della spedizione sia incluso nella base imponibile di quest’ultima”. E ha osservato: “L’art. 9, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che costituiscono servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali non imponibili, tra gli altri, «i trasporti relativi a beni in esportazione, in transito o in importazione temporanea, nonché i trasporti relativi a beni in importazione i cui corrispettivi sono assoggettati all’imposta a norma del primo comma dell’art. 69».
Tale ultima disposizione stabilisce che l’imposta è commisurata, con le aliquote indicate nell’art. 16, al valore dei beni importati determinato ai sensi delle disposizioni in materia doganale, aumentato dell’ammontare dei diritti doganali dovuti, ad eccezione dell’IVA, nonché dell’ammontare delle spese di inoltro fino al luogo di destinazione all’interno del territorio della Comunità che figura sul documento di trasporto sotto la cui scorta i beni sono introdotti nel territorio medesimo. A livello eurounitario, tali disposizioni trovano corrispondenza negli artt. 11, B, paragrafo 3, e 14, par. l, lett. i), della direttiva 77/388/CE del 17 maggio 1977, oggi 86 e 144 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, secondo cui gli Stati membri esentano dall’IVA le prestazioni di servizi connesse con l’importazione di beni e il cui valore è compreso nella base imponibile. Pronunciandosi sulla compatibilità delle riferite disposizioni interne con la normativa eurounitaria, la Corte di Giustizia, con sentenza del 4 ottobre 2017, F E, ha affermato che ai fini del riconoscimento dell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto alle prestazioni accessorie, fra cui i servizi di trasporto, è condizione necessaria e sufficiente che il loro valore sia compreso nella base imponibile, non essendo richiesto che tali prestazioni siano state effettivamente assoggettate all’imposta sul valore aggiunto in dogana, all’atto dell’importazione. Nelle more, il legislatore nazionale aveva approvato una disposizione, inserita, quale comma 4-bis, all’art. 9, d.P.R. n. 633 del 1972, secondo cui costituiscono servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali non imponibili «i servizi accessori relativi alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle spedizioni di valore trascurabile di cui alle direttive 2006/79/CE del Consiglio, del 5 ottobre 2006, e 2009/132/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009, sempre che i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell’articolo 69 del presente decreto e ancorché la medesima non sia stata assoggettata all’imposta».
E tuttavia, la questione portata all’esame della CTR non si esaurisce qui. L’Ufficio ha infatti contestato altresì con i motivi di appello una ulteriore e diversa questione, certamente rilevante nel caso di specie.
Secondo l’appellante Ufficio, infatti, il contribuente non ha assolto all’onere della prova su di esso gravante, che il corrispettivo delle prestazioni di trasporto sia stato ricompreso nel prezzo di vendita del bene, con la semplice dicitura “franco destino” riportata sulle fatture emesse.
Va detto al riguardo che la stessa sentenza 9215/2019 della Corte di cassazione (e cfr. anche la sent. 9219/2019), ha cura di precisare che il principio di diritto affermato ha valenza “in una situazione, quale quella in esame, in cui non è controverso che il corrispettivo della spedizione sia incluso nella base imponibile della prestazione principale, contestando l’Ufficio solo la mancata separata indicazione dello stesso“; solo in tal caso, infatti, “non sussistono ostacoli al riconoscimento della esenzione dall’i.v.a. invocata dalla contribuente“. In effetti, il ricorrente Ufficio in quel caso aveva “con il secondo motivo, proposto in via subordinata”, dedotto “l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione alla ritenuta presenza della clausola «franco destino» sulle fatture in oggetto”. E tuttavia, detto motivo è stato ritenuto dalla corte inammissibile, in quanto si risolve “in una censura della complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata in ordine alla sufficienza e idoneità della documentazione prodotta a dimostrare l’assunto della contribuente, cui è contrapposta una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti”. Dunque, non è stato preso in considerazione per una ragione meramente rituale (la cassazione “non è mai giudice del fatto in senso sostanziale”), non per infondatezza del medesimo.
Ma già Cass. 23034/2015, richiamata dall’Agenzia, ha avuto modo di stabilire che “in tema d’IVA, ai sensi del combinato disposto degli arti. 9, comma 1, n. 2, e 69, comma l, del d.P.R. n. 633 del 1972, il trasporto di beni in importazione, che si svolge sul territorio nazionale e che andrebbe, pertanto, assoggettato a tassazione secondo il criterio della territorialità, costituisce operazione non imponibile solo se il corrispettivo viene compreso nella dichiarazione doganale e, dunque, già sottoposto ad imposta, per cui il vettore, che intenda fruire del predetto regime, ha l’onere di provare tale condizione, dimostrando altresì che è stata pattuita la consegna dei beni importati presso il luogo finale di destinazione, atteso che, se il trasporto è convenuto “franco confine”, le spese da dichiarare in sede doganale corrispondono solo al costo di trasporto dal luogo di partenza sino all’ingresso nel territorio dello Stato, mentre la prestazione dal confine alla destinazione finale è operazione ordinariamente imponibile“.
Più in particolare, la corte ha avuto modo di ripercorrere funditus l’intera questione anche dal punto di vista sistematico. Ed ha rilevato che “in materia di servizi consistenti in prestazioni di trasporto internazionale l’art. 7, comma primo, lett c), D.P.R. 633/72 vigente all’epoca, adottava, conformemente del resto ai dettami comunitari (cfr. l’art. 9, par. 2, Dir. 1977/388; la situazione normativa non è peraltro mutata né a livello eurounitario ove ora vige l’art. 49 Dir 2006/112, né a livello interno ove ora vige l’art. 7 -sexies, lett. b, D.P.R. 633/72), il criterio della territorialità proporzionale secondo cui “le prestazioni di trasporto si considerano effettuate nel territorio dello stato in proporzione alla distanza percorsa”, di guisa che risulta tassabile (secondo una percentuale convenzionalmente indicata nella misura del 5% per i trasporti marittimi: cfr. Circolare 11/1980), solo quella parte del trasporto che corrisponde alla tratta nazionale, posto che per quella parte di esso che ha luogo fuori dal territorio nazionale, la prestazione è fuori campo difettando il requisito della territorialità. Il medesimo art. 7 l comma quarto si dava pure cura di precisare che “non si considerano effettuate nel territorio dello Stato le cessioni all’esportazione, le operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione e i servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali di cui ai successivi artt. 8, 8-bis e 9″, e tra questi ultimi l’art. 9, comma primo, n. 2 indicava- ma indica tuttora- segnatamente “i trasporti relativi a beni in esportazione, in transito o in importazione temporanea, nonché i trasporti relativi a beni in importazione i cui corrispettivi sono assoggettati all’imposta a nonna del primo comma dell’art. 69”, con la conseguenza che, se nel disegno dispositivo enunciato è di intuiti va ragione perché con riferimento alla prima e alla seconda fattispecie il servizio, anche per la parte che vi sarebbe soggetta in nome del principio di territorialità, pur costituendo operazione rilevante, non è soggetto ad imposizione, in quanto ciò è coerente con la struttura dell’imposta, dato che il servizio sarà tassato nel luogo di consumo ovvero nel luogo di destinazione del trasporto, con riferimento alla terza ipotesi- quella del trasporto di beni in importazione -la norma non si limita a reiterare il principio della non imponibilità accolto per le prime due, ma è tenuta ad accordarsi – per le medesime ragioni di cui sopra – con il principio della territorialità proporzionale, facendo perciò seguire alla declaratoria di principio la puntualizzazione che la non imponibilità ricorre in relazione a quelle prestazioni di trasporto “i cui corrispettivi sono assoggettati all’imposta a nonna del primo comma dell’art. 69“. Va allora ricordato che per l’art. 69, comma primo, prima parte, D.P.R. 633/72- nel titolo che disciplina in correlazione alla definizione di operazione imponibile accolta dall’art. 1, l’applicazione dell’imposta al campo delle importazioni- “l’imposta è commisurata, con le aliquote indicate nell’art. 16, al valore dei beni importati, determinato ai sensi delle disposizioni in materia doganale, aumentato dell’ammontare dei diritti doganali dovuti, ad eccezione dell’imposta sul valore aggiunto, nonché dell’ammontare delle spese d’inoltro fino al luogo di destinazione all’interno del territorio della Comunità che figura sul documento”. È chiaro, coordinando questa norma con quella sopra appena ricordata, che se le spese d’inoltro fino al luogo di destinazione all’interno del territorio della Comunità concorrono a formare la base imponibile ai fini della dichiarazione di valore che l’importatore è tenuto a rendere all’atto dello sdoganamento dei beni importati, la prestazione corrispondente alla tratta nazionale – ovvero la prestazione che in ragione del principio di territorialità costituisce operazione ordinariamente imponibile – è già oggetto di tassazione, sicché, onde evitare che la medesima prestazione sia tassata due volte- una prima volta in sede doganale una seconda volta in sede di effettuazione del trasporto allorché l’imposta diviene esigibile -l’art 9 comma primo, n. 2, D.P.R. 633/72 ne afferma coerentemente la non imponibilità. Dunque la prestazione di trasporto di beni in importazione, che si svolga sul territorio nazionale e che perciò andrebbe soggetta a tassazione costituendo un’operazione imponibile, viene a godere della condizione di non imponibilità se il relativo corrispettivo è ricompreso nella dichiarazione doganale. Questo porta a formulare una prima conclusione con riguardo alla fattispecie in esame nel senso che, se il richiamo all’art. 69 che l’art. 9, comma primo, n. 2, D.P.R. opera con riferimento al trasporto di beni in importazione non è casuale, ma rinviene nella disciplina dell’imposta applicabile alle importazioni la sua giustificazione, non è in conferente ai fini dell’esatto trattamento fiscale della fattispecie la condotta del vettore, non potendo costui rivendicare legittimamente la non imponibilità della prestazione di trasporto, altrimenti tassabile, se non in quanto si dia cura di dimostrare che la relativa prestazione, avendo già formato oggetto di dichiarazione doganale, è già stata sottoposta a tassazione. Il contrario ragionamento della CTR, che assume che “nel panorama normativo non rientra tra gli obblighi del vettore marittimo accertare e documentare l’effettivo assoggettamento ad IVA da parte della dogana della merce trasportata che non viene sdoganata da tale soggetto ma è a carico dell’importatore che deve tener conto anche del costo del trasporto per determinare il valore doganale del prodotto”, risulta per questo riscuotere una prima nitida smentita, in quanto è proprio “il panorama normativo” misconosciuto dalla CTR che porta a credere che il vettore possa andare libero dall’obbligo di assolvere il debito di imposta in conseguenza dell’inquadramento della prestazione nell’ambito previsionale dell’art. 9, comma primo, n. 2, D.P.R. 633 a condizione che il relativo corrispettivo sia stato tassato a norma dell’art. 69, comma primo, D.P.R. 633/72. A questa prima conclusione, che individua nel vettore un “attore” non secondario nella regolazione tributaria della vicenda, reputa il collegio che ne possa seguire nella stessa direzione anche un’altra, dovendo invero osservarsi, sotto un profilo teleologico, che se per un verso, come si è visto, il necessario coordinamento tra l’art. 9 e l’art. 69 deve poter scongiurare il rischio di una doppia imposizione, per l’altro non può risolversi nel suo contrario autorizzando una facile sottrazione di materia imponibile. Si è detto infatti che la tassazione dei servizi consistenti in prestazioni di trasporto transfrontalieri ubbidisce al principio della territorialità proporzionale, essendo l’operazione tassata in funzione della distanza percorsa nel territorio dello Stato. Per contro, si è pure visto che le prestazioni di trasporto di beni in importazione non costituiscono operazioni imponibili se le relative spese concorrono a formare la base imponibile su cui determinare il valore dei beni importati ai fini doganali. In questo contesto non è perciò indifferente il fattore rappresentato dal luogo di destinazione, poiché se il trasporto è convenuto franco confine le spese relative che andranno dichiarate in sede doganale corrisponderanno solo al costo del trasporto dal luogo di partenza fino all’ingresso nel territorio dello Stato, con la conseguenza che il successivo trasporto dal confine alla destinazione finale costituirà un’operazione ordinariamente tassabile; se viceversa il trasporto è convenuto franco destinazione, è comprensivo cioè anche del servizio corrispondente alla tratta territoriale, le spese relative, che andranno dichiarate ai fini doganali, saranno quelle occorrenti per l’inoltro dei beni fino al luogo di destinazione finale e dunque, rilevando ai fini della determinazione dell’imposta da assolvere in dogana, l’operazione non è, per quanto sopra si è detto, oggetto di imposizione. Discende da ciò che, se il vettore non si cura di dimostrare che il trasporto è franco destino, onde il costo relativo andrà a costituire la base imponibile ai sensi dell’art. 69, comma primo, D.P.R. 633/72 ed il relativo servizio non costituirà operazione imponibile, il rischio -che, come quello opposto della doppia imposizione, andrà parimente scongiurato- è che in sede di dichiarazione del valore doganale possa essere l’importatore a dichiarare che il trasporto è franco destinazione, con l’effetto finale che per la tratta territoriale l’imposta non venga pagata né dal vettore, perché si vale dell’agevolazione dell’art. 9, comma primo, n. 2, D.P.R. 633/72, né dall’importatore, perché il costo del trasporto è già stato tassato. Si rafforza, dunque, l’idea che il vettore nella regolazione del trattamento fiscale dell’operazione non possa limitarsi ad invocare l’applicazione del regime di non imponibilità in considerazione del fatto che la prestazione richiestagli riguarda beni in importazione tassabili ai sensi dell’art. 69, comma primo, D.P.R. 633/72, al contrario dovendo invece provare che l’operazione sia stata convenuta con la consegna dei beni importati presso il luogo di destinazione finale. Né vi è dubbio che questa serie di pronunzie abbiano di fatto anticipato e comunque “accompagnato” l’intervento del legislatore nazionale, operato con la legge 3 maggio 2019, n. 37, che ha modificato l’art. 9 del d.p.r. n. 633 del 1972, prevedendo che le spese di trasporto relative all’importazione di beni siano non imponibili a patto che il relativo corrispettivo sia compreso nella base imponibile, anche laddove le stesse non siano state assoggettate a IVA in dogana all’atto dell’importazione. In particolare, l’art. 11, intitolato “Disposizioni relative all’IVA applicabile ai servizi di trasporto e spedizione di beni in franchigia – Procedura di infrazione n. 2018/4000”, è intervenuto sulla disciplina IVA applicabile ai servizi di trasporto e di spedizione connessi agli scambi internazionali, novellando le condizioni richieste per l’applicazione del regime di non imponibilità di tali prestazioni. Infatti, il comma l, alle lettere a) e b), della disposizione in commento apporta modifiche all’articolo 9, primo comma, punti n. 2) e 4), del D.P.R. n. 633/1972. Come anticipato, la novità introdotta è che dette prestazioni, se relative a beni in importazione, beneficiano del trattamento di non imponibilità a condizione che il loro valore, all’atto dell’importazione, sia stato compreso nella base imponibile ai fini IVA. L’intervento normativo si è reso necessario al fine dell’archiviazione della procedura di infrazione 2018/4000 avviata nei riguardi dell’Italia dalla Commissione Europea, la quale aveva contestato l’incompatibilità delle suddette disposizioni con gli articoli 86 e 144 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’IVA. In base alla sua previgente formulazione, l’articolo 9, comma l, punti n. 2) e 4), del citato D.P.R. includeva, tra gli altri, nel novero dei servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali non imponibili:
-i trasporti relativi a beni in esportazione, in transito o in importazione temporanea, nonché i trasporti relativi a beni in importazione, i cui corrispettivi erano stati assoggettati all’imposta a norma del primo comma dell’articolo 69 del D.P.R. n.633/72;
-i servizi di spedizione relativi ai trasporti di persone eseguiti in parte nel territorio dello Stato e in parte in territorio estero in dipendenza di unico contratto, ai trasporti di beni in esportazione, in transito o in temporanea importazione, nonché ai trasporti di beni in importazione sempreché i corrispettivi dei servizi di spedizione fossero stati assoggettati all’imposta a norma del primo comma dell’art. 69 cit.; i servizi relativi alle operazioni doganali.
Com’è noto, ai sensi del suddetto articolo 69, primo comma, l’IVA relativa ai beni importati è commisurata al valore dei medesimi, determinato ai sensi delle disposizioni in materia doganale, aumentato dell’ammontare dei diritti doganali dovuti (ad eccezione dell’imposta sul valore aggiunto), nonché dell’ammontare delle spese d’inoltro fino al luogo di destinazione all’interno del territorio dell’Unione europea che figura sul documento di trasporto sotto la cui scorta i beni sono introdotti nel territorio medesimo.
Pertanto, ai fini dell’applicazione della non imponibilità IVA alle prestazioni in commento, nella sua previgente formulazione, l’articolo 9 suddetto richiedeva l’inclusione dei corrispettivi nella base imponibile e l’assoggettamento all’IVA in dogana all’atto dell’importazione. Come anticipato in premessa, la Commissione UE ha tuttavia ravvisato un contrasto di detta disciplina nazionale con quella unionale (combinato disposto degli articoli 86 (NOTA 1) e 144 (NOTA 2) della Direttiva 2006/112), nella misura in cui la legislazione italiana, ai fini della non imponibilità IVA dei servizi accessori, richiedeva non solo l ‘inclusione del relativo valore nella base imponibile ma anche l ‘assoggettamento all’IVA in dogana all’atto dell’importazione.
Per il superamento della predetta censura, all’articolo 9, comma l, numeri 2) e 4), del D.P.R. n. 633/72, dunque, il riferimento all'<> è stato sostituito con quello all'<>.
In tal modo, conformemente a quanto previsto dalle disposizioni unionali, le spese di trasporto relative all’importazione di beni sono non imponibili a condizione che il relativo corrispettivo sia compreso nella base imponibile anche se non sono state assoggettate ad IVA in dogana all’atto dell’importazione.
In sostanza, la norma entrata in vigore nel 2019 nulla innova per quanto attiene alla fattispecie che ci occupa, quantunque piuttosto appaia utile per dissipare ogni dubbio sulla assoluta necessità, ma al tempo stesso sufficienza, della condizione che il valore dei servizi accessori venga incluso nella base imponibile al fine della esenzione dal pagamento dell’iva.
Ed appare altresì evidente, come a tale fine non sia sufficiente la mera indicazione “franco destino” o “franco destinazione” nelle fatture emesse, stampigliatura che non consente alcun controllo concreto della circostanza che detti beni siano stati effettivamente assoggettati ad IV A al momento dell’importazione, tanto da legittimare il mancato pagamento del tributo da parte del vettore. In altri termini, sarebbe stato necessario per godere dell’esenzione IV A che il vettore avesse prodotto ali ‘Ufficio o nel giudizio tributario documenti di trasporto dai quali risultasse specificata separatamente l’indicazione delle spese di trasporto (così anche CTR MARCHE, SEZ. I, sent. 634/2017).
Su questo punto, dunque, la motivazione della sentenza di primo grado non può, nella sua parte finale, assertiva della sufficienza ai fini probatori della dicitura “franco destinazione”, essere condivisa.
Né può essere oggetto di dubbio che detto onere gravi sul contribuente. Ed invero, quella disciplinata dall’art. 9, comma primo, n. 2, D.P.R. 633/72 “costituisce in senso tecnico un’agevolazione, trattandosi pur sempre di operazioni non imponibili ai fini dell’IVA per la parte di viaggio compiuta in territorio estero, sicché l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di non imponibilità grava sul contribuente” (CASS. 23034/2015; id., 23582/12), dando continuità ad un insegnamento valido in tutti i casi in cui il contribuente voglia fruire di un trattamento fiscale agevolato o di favore. Peraltro, nella fattispecie, tale carenza documentale non può dirsi colmata, come notato anche dall’Ufficio, dalla ulteriore documentazione allegata al ricorso dal contribuente e rappresentata esclusivamente, per ognuno degli anni di imposta in questione, da copia dell’estratto del catalogo della C. riportante le condizioni generali di vendita e da un prospetto riepilogativo dei dati riferiti ai documenti di trasporto. Il contribuente avrebbe dovuto piuttosto, come sopra specificato, dimostrare documentalmente che il corrispettivo del trasporto (e non il costo industriale del servizio) sia stato effettivamente incluso nella base imponibile della prestazione principale. In altri termini, sarebbe stato onere del contribuente dimostrare che il “costo” del trasporto (medio, standard, industriale) ricompreso nel prezzo di cessione (che è convenuta “franco destino” e, quindi, ingloba anche il trasporto), corrisponde esattamente al “corrispettivo” del trasporto di volta in volta fatturato dal vettore alla cedente sammarinese. Solo in questo modo potrà infatti dirsi effettivamente e compiutamente provato l’assoggettamento ad Iva del corrispettivo del trasporto per la tratta nazionale. In effetti, come sottolineato dall’Ufficio, proprio la circostanza per cui il listino prezzi dei beni importati indichi un prezzo uguale su tutto il territorio nazionale conferma che la componente di costo, eventualmente compresa nel prezzo di cessione del bene, è una componente “standard”, rappresentativa cioè del costo “stimato” del servizio di trasporto “franco destino” e non del corrispettivo effettivamente riconosciuto all’autotrasportatore. Ed ancora fondata è l’ulteriore osservazione dell’Agenzia, secondo cui la disposizione normativa invocata (art. 69 del d.P.R. 633/1972) non ammette l’utilizzo di criteri forfettari di determinazione della base imponibile, sicché il contribuente non può non essere onerato di fornire una prova puntuale ed analitica, per singola operazione di trasporto.
Da quanto sopra osservato discendono la fondatezza dell’appello dell’Ufficio, la infondatezza del ricorso di primo grado del contribuente, la erroneità “in parte qua” della motivazione della sentenza appellata, la correttezza dell’avviso di accertamento impugnato.
Consegue in forza di quanto sopra dedotto l’accoglimento dell’appello dell’Ufficio, previa riforma della sentenza di primo grado.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie l’appello dell’Ufficio e per l’effetto riforma la sentenza appellata, con conseguente conferma dell’avviso di accertamento impugnato.
Condanna la contribuente alle spese del presente grado di giudizio, che liquida in E. 2.500,00, oltre accessori di legge, se dovuti.
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- Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell' Abruzzo, sezione n. 6, sentenza n. 705 depositata il 2 ottobre 2023 - Il dividend washing ricorre quando, nell'ambito di un acquisto di titoli presso un fondo comune d'investimento con successiva…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 settembre 2021, n. 24145 - In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'accertamento effettuato dall'ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio…
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