CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 giugno 2018, n. 16574
Prestazioni assistenziali – Assegno sociale – Sostituzione con l’assegno di invalidità – Raggiungimento del 65° anno di età – Integrazione
Fatti di causa
Con sentenza n. 1267/2012 la Corte d’Appello di Catanzaro accoglieva il gravame dell’INPS avverso la sentenza che aveva condannato l’Istituto a corrispondere a T.B. la somma di € 14.335,34 a titolo di differenze tra l’importo dell’assegno sociale e quello dovuto per effetto dell’integrazione al minimo.
A fondamento della decisione di riforma la Corte rilevava che l’istituto dell’integrazione al minimo invocato dalla T. e ritenuto operante dal giudice di primo grado trova applicazione esclusivamente nella materia delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e non già in quella delle prestazioni assistenziali; mentre l’assegno sociale, di cui era divenuta titolare la T. al raggiungimento del 65° anno di età, in sostituzione dell’assegno di invalidità, risultava assoggettato al diverso istituto delle maggiorazioni disciplinato dall’art. 38 della legge n. 448/2001, le quali tuttavia non potevano competere alla ricorrente perché superava i limiti reddituali previsti allo scopo.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.B. con un motivo di censura illustrato da memoria, cui resiste l’Inps con controricorso.
Ragioni della decisione
1. – Con l’unico motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’articolo 19 della legge n. 118/1971 e dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 509/1988 poiché non c’era ragionevole motivo per cui l’assegno di invalidità, una volta sostituito con l’assegno sociale al compimento dei 65 anni di età, cosa avvenuta per la ricorrente in data 12 novembre 1999, dovesse soggiacere a più ristretti limiti reddituali rispetto a quelli precedentemente applicabili; creandosi così un’ingiustificata disparità tra l’assegno di invalidità e quello corrisposto a titolo di assegno sociale dopo la trasformazione al compimento del 65° anno di età ed il cui importo sarebbe inammissibilmente inferiore a quello in precedenza erogato. Tanto che, ai sensi dell’articolo 8, comma 3 del decreto legislativo n. 509/1988 sull’importo della pensione sociale che risulti inferiore rispetto a quello dell’assegno mensile precedentemente erogato, la differenza viene corrisposta a titolo di assegno ad personam come riconoscerebbe anche la circolare n. 86/2000 dell’Inps. Pertanto la corretta applicazione delle norme citate doveva portare a riconoscere l’applicazione dei limiti di reddito previste dalla disciplina relativa all’integrazione al trattamento minimo delle pensioni di cui al decreto legge 463/1983 convertito in legge 638/1983.
2. Il ricorso è infondato. Come risulta dalla sentenza impugnata la ricorrente ha richiesto in giudizio il pagamento di un importo pari ad € 14.335,34 a titolo di integrazione al trattamento minimo dell’assegno sociale percepito nel periodo dal 1999 al 2008, al raggiungimento del 65° anno ed in seguito alla trasformazione dell’assegno di invalidità di cui era titolare dal febbraio 1993.
3. La Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, ha affermato che l’istituto dell’integrazione al trattamento minimo previsto dall’art. 6 l. 463/1983 non trovi applicazione per le prestazioni assistenziali godute dalla ricorrente. La tesi è corretta posto che la norma regola l’integrazione al trattamento minimo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, delle gestioni sostitutive ed esclusive della medesima, nonché delle gestioni previdenziali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, della gestione speciale minatori e dell’ENASARCO.
4. Altro discorso, rispetto alla domanda azionata in giudizio, è dunque quello riguardante l’istituto delle maggiorazioni sociali che spettano sull’assegno di invalidità e l’assegno sociale, con i relativi limiti di reddito, di cui pure si occupa la sentenza impugnata negando pure la spettanza di tali prestazioni per superamento dei limiti reddituali.
5. – Ora, le censure formulate nel ricorso per cassazione si appuntano per lo più verso questa seconda parte della sentenza lamentando l’illegittima decurtazione dell’importo della prestazione già goduta ed, in particolare, sostenendo che i limiti di reddito valevoli in caso di trasformazione dell’assegno di invalidità in assegno sociale non possano essere superiori a quelli valevoli per l’accesso alla prima prestazione.
6. – E’ evidente però che tali considerazioni, pur dotate di un’intrinseca dose di ragionevolezza, spostano però l’oggetto del giudizio rispetto a quello identificato con la domanda originaria che, si ripete, riguardava l’istituto dell’integrazione al trattamento minimo; il quale benché sia a sua volta, nella sua intima essenza, un istituto di natura assistenziale – posto che non attinge ad alcuna provvista contributiva, gravando sulla fiscalità generale – non è certamente applicabile al di fuori delle prestazioni pensionistiche previdenziali alle quali la legge lo destina.
7. – Da ciò consegue che la sentenza impugnata, con la ratio decidendi posta alla base della decisione rispetto alla domanda azionata, si sottrae alle censure fatte valere col ricorso che deve essere quindi rigettato.
8. – Le spese processuali possono essere compensate per la natura della controversia la quale pone anche questioni nuove mai decise prima in questa sede di legittimità. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente soccombente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese. Ai sensi dell’ art. 13,comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002 si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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