CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 gennaio 2019, n. 2021
Contratto di agenzia – Recesso – Indennità sostitutiva del preavviso – Prova dell’avvenuto pagamento
Fatti di causa
La Corte di appello di Bologna con la sentenza n. 196/2014 aveva confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Forlì aveva ritenuto non sorretto da giusta causa il recesso dal rapporto di agenzia di A.M. effettuato con lettere del 29 gennaio e del 21 aprile 2008, ed aveva conseguentemente condannato l’agente a pagare in favore della società P. spa la somma di E. 16.825,00 a titolo di indennità di mancato preavviso. Il Tribunale aveva altresì respinto la domanda riconvenzionale proposta dall’agente volta ad ottenere la condanna della società al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso, dell’indennità suppletiva di clientela e del corrispettivo del patto di non concorrenza post contrattuale.
La Corte bolognese, a fronte del motivo di gravame inerente il mancato pagamento del corrispettivo del patto di non concorrenza, aveva ritenuto che, stante l’intervenuto accordo relativo al predetto patto in data 1 gennaio 1986 e successiva integrazione del gennaio 2002, e stante il corrispettivo individuato nel pagamento della percentuale dell’1% sulle vendite effettuate ed andate a buon fine, era stata fornita dalla società adeguata prova dell’avvenuto pagamento delle somme in questione. A tal fine richiamava la documentazione allegata ed in particolare gli elenchi clienti sottoscritti per accettazione dall’agente nonché i tabulati degli anni 2001 e 2007 che, posti a confronto, evidenziavano il pagamento delle medesime somme per gli stessi clienti nel tempo, comprensivi della percentuale imputabile al patto di non concorrenza. La Corte rilevava peraltro il comportamento dell’agente che nell’arco di tutto il rapporto, durato 22 anni, non aveva mai denunciato il mancato pagamento di detta voce contrattuale. Tali circostanze nella valutazione complessiva del giudice dell’appello, avevano fatto ritenere non significative le risultanze della ctu contabile anche perché basate su documenti inerenti solo taluni anni del rapporto in questione.
Avverso detta decisione A.M. proponeva ricorso affidandolo a tre motivi di censura cui resisteva con controricorso la società P. spa che depositava anche memoria successiva.
Ragioni della decisione
1)- Con il primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1749 e 1742 c.c. per non aver la corte territoriale considerato che le provvigioni dovevano essere calcolate solo sulla base di quanto risultante dall’estratto conto provvigioni. In particolare il ricorrente denuncia la obbligatorietà della forma scritta del contratto in oggetto e si duole della mancata consegna di tali estratti conto e quindi della impossibilità di controllare la corrispondenza degli importi ricevuti. Rileva che le sottoscrizioni erano apposte alle fatture al solo fine di attestarne la ricevuta ma non avevano il significato di validazione della correttezza degli importi indicati.
Il motivo risulta infondato oltre che inconferente in quanto non ben comprensibile nella parte in cui denuncia la necessità della forma scritta del contratto pur facendo riferimento a tre successivi contratti e scritture del 1985, 1986 e del 1987 (pg. 2 ricorso).
Se poi il richiamo alla prova scritta fosse riferito agli estratti conto di cui lamenta la mancata consegna, si tratta di elemento valutativo di merito che non può essere in questa sede oggetto di esame, non essendo peraltro indicato in ricorso ove, come e in quale maniera sia stato elemento già sottoposto ai giudici di merito e quindi già presente nel processo. Il vizio denunciato afferente alla violazione delle norme richiamate non può certamente costituire modalità per introdurre contestazioni di merito estranee alla presente sede processuale
2) Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.; in esso parte ricorrente censura gli elementi probatori utilizzati dalla corte d’appello (raffronto elenco clienti, comportamento silenzioso dell’agente, sottoscrizione delle fatture). Si tratta all’evidenza di elementi attinenti al giudizio di merito, estraneo alla presente sede processuale, e per i quali non è minimamente indicato in quale modo si sarebbe violata la norma richiamata , avendo parte ricorrente solo opposto una propria differente visione rispetto a quella presente in sentenza. Il motivo deve quindi essere rigettato.
3) Con il terzo motivo è denunciato l’omesso esame di più fatti decisivi per il giudizio, quali la CTU, gli estratti conto provvigioni, la scrittura privata del 9.1.2002, Ie prove orali relative alla assenza di attività concorrenziale dell’agente.
Anche in questo motivo parte ricorrente tenta di veicolare la richiesta di un nuovo esame degli elementi di fatto già valutati dal giudice di appello attraverso il motivo di censura di cui all’art. 360 n. 5 cpc.
Val la pena rammentare che questa Corte ha avuto modo di chiarire che “In tema di ricorso per cassazione costituisce fatto (o punto) decisivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 17761/2016)
Ha anche specificato che “L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 (conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012), introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia idoneo a determinare un esito diverso della controversia” (Cass. n. 23238/2017)
La decisività del “fatto” omesso assume nel vizio considerato dalla disposizione richiamata rilevanza assoluta poiché determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione ( non solo eventuale ma certa).
Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio. Nel caso di specie le “omissioni” denunciate non risultano tali in quanto già considerate dalla sentenza impugnata . Si tratta quindi di una non consentita richiesta di nuova valutazione di circostanze già esaminate e vagliate nelle sedi di merito. Il motivo è inammissibile.
Il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E 4.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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