CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 settembre 2019, n. 23669
Tributi – T.I.A. – Immobili non utilizzati – Esenzione dalla tariffa – Esclusione
Fatti di causa
1. – Con ricorso innanzi alla CTP di Lucca la soc. “Il R.C. srl.” (che commercializza all’ingrosso oggettistica da regalo nei locali siti nel Comune di Capannori alla via S. ed alla via C.) proponeva impugnazione avverso la cartella di pagamento n. 062 2011 00022626 33 – T.I.A., contro l’Agente di riscossione Lucca, Equitalia Centro S.P.a. e ASCIT Servizi Ambientali S.P.A., per l’importo di Euro 7.474,08, per l’anno di imposta 2010.
La C.T.P. di Lucca, con sentenza n. 119/4/11, accoglieva il ricorso annullando le iscrizioni a ruolo portate dalla cartella opposta. Ad avviso dei primi giudici, la ricorrente, in sede di denuncia di inizio attività, aveva allegato una dichiarazione (DIA) dalla quale risultavano – per lo stabilimento di via S. n. 13 – le aree non tariffabili in quanto oggetto di costruzione/ristrutturazione, pari a mq. 2.109; sempre per quest’area, in data 30.07.10 aveva comunicato la chiusura della DIA e quindi l’inizio dell’attività dal 01.07.10: pertanto dal 16.10.2006 al 30.06.2010 l’area non era soggetta a tariffa. Per lo stabilimento di via C. di mq. 1324, nella dichiarazione di inizio di attività, a far data dal 01.05.2007, era stato specificato che l’immobile era vuoto e inutilizzato, pertanto, invece che magazzino (categoria 103) doveva essere fatturato come categoria 103 bis (immobili a disposizione). La CTP dichiarava, pertanto, la nullità della cartella impugnata, perché emessa in base a fatture, ritenute non idonee a fondare il procedimento di riscossione coatta a mezzo ruolo; per mancanza della preventiva richiesta di pagamento; per illegittima pretesa di I.V.A. e di addizionali.
2. – La sentenza veniva impugnata dalla S.P.A. Ascit Servizi Ambientali e la CTR di Firenze, con sentenza n. 92/13/13 rigettava l’appello con condanna alle spese. Secondo i Giudici della CTR la società contribuente aveva pagato in parte le fatture poste a base della cartella di pagamento, fatture da ritenersi errate in quanto non era stato valutato quanto dichiarato dal contribuente in sede di UND di inizio attività, regolarmente presentata insieme alla DIA, da cui risultavano le aree non tariffabili in corso di costruzione/ristrutturazione e non era mai stata data risposta ai solleciti di correzione degli errori. Anche con riferimento alla mancata applicazione dell’Iva l’impugnazione veniva respinta.
3. – Ha proposto ricorso per cassazione la ASCIT sulla base due motivi.
La parte intimata non ha svolto difese.
Ragioni della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce error in judicando per violazione o falsa applicazione degli artt. 49 D.lgs. n. 22 del 5/2/1997 e 9 del Regolamento Comunale del Comune di Capannori relativo alla applicazione della Tariffa per la gestione dei rifiuti solidi urbani e assimilati, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale del 13.4.2004 n. 26 e successiva modifiche (in relazione all’art.360 comma 1 n. 3 c.p.c.).
A sostegno del motivo la ASCIT rilevava come la categoria n. 103 bis fosse riservata “alle utenze non attive”, mentre il contribuente, in sede di denuncia per l’immobile di via C., in relazione al tipo di attività svolta (commercio all’ingrosso magazzini senza vendita diretta) aveva indicato il codice n. 103, che si riferiva ad utenze attive. Il fatto che nella denuncia fosse stato aggiunto, sotto la voce “eventuali annotazioni”, che il locale era ancora vuoto e che sarebbe stata comunicata la data di effettivo utilizzo non aveva alcun significato ai fini dell’applicabilità della TIA, in quanto il Regolamento stesso non prevedeva questo tipo di esclusioni, ma prevedeva che si dovesse tener conto “della potenzialità di produzione dei rifiuti” e non già dell’effettivo utilizzo che, salvo limitatissime condizioni, non rilevava.
Per l’immobile di via S. non era contestato che le opere edili di cui alla denuncia di inizio attività non fossero tali da impedire l’utilizzo dell’immobile in quanto riguardanti sistemazione di uffici ed una scala esterna all’immobile stesso. Anche in questo caso il fatto che nella denuncia fosse stato aggiunto, sotto la voce “eventuali annotazioni”: “Vedi DIA allegata. Sarà nostra cura comunicare l’effettivo utilizzo delle aree al momento della chiusura dei lavori” non aveva alcun significato ai fini dell’applicabilità della TIA, in quanto il Regolamento stesso non prevedeva questo tipo di esclusioni, ma prevedeva che si dovesse tener conto “della potenzialità di produzione dei rifiuti” e non già dell’effettivo utilizzo che , salvo limitatissime condizioni, non rilevava.
1.1- Il motivo è fondato e deve trovare accoglimento.
Questa Corte ha più volte richiamato in materia di Tia, i principi affermati in tema di Tarsu non solo perché quest’ultima rappresenta – come ormai definitivamente chiarito – una mera variante della Tarsu, conservando anche la relativa qualifica di tributo (v. C. Cost. n. 239/2009; Cass. S.U. 25929/2011; da ultimo S.U. n. 8822/18), ma anche perché la tariffa deve essere applicata (art. 49 d.lgs. n. 22/1997 n.22, comma 3) nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, salva l’applicazione sulla stessa, così come determinata dagli enti locali, di un coefficiente di riduzione proporzionale di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero, mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi (art.49 comma 14 d.lgs. n.22/1997). E ciò anche, con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, costituendo l’esenzione, anche parziale, un’eccezione alla regola generale del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale. (Cass. n. 9790/2018; 17622/2016).
Nel caso in esame, come documentato dalla ricorrente mediante la produzione del Regolamento Comunale, ferme restando le dichiarazioni rese in sede di denuncia per i due immobili, le annotazioni, di cui si è detto, relative al mancato utilizzo dei locali (via C.) e alla presenza di lavori di ristrutturazione (via S.), fatte dalla contribuente, non hanno rilevo ai fini dell’applicazione della TIA, in quanto il Regolamento non prevede tale tipo di esclusioni. Sul punto questa Corte (Cass.n. 19469/2014) ha ribadito che è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione. Nel caso in esame, la contribuente non ha fornito alcuna concreta prova attinente al diritto ad una esenzione, anche parziale, dal pagamento del tributo. La Tariffa pertanto andava integralmente corrisposta.
2. – Con il secondo motivo di ricorso si prospetta un error in judicando per violazione o falsa applicazione degli artt. 3, D.p.r. 26.10.1972, n. 633, 6, co. 13, L. 13 maggio 1999, n. 133, e D.M. 24 ottobre 2000, n. 370, con riferimento al mancato assoggettamento ad IVA della TIA, in relazione all’art.360, 1° comma, n. 3, c.p.c.
La ricorrente, pur facendosi carico del fatto che, sul punto, erano intervenute le sentenze della Corte Costituzionale 24.7.2009 n. 238 e varie pronunce di questa Suprema Corte che avevano ritenuto la natura tributaria della Tariffa di igiene ambientale, rappresentava l’esigenza che la questione fosse rimeditata in quanto l’applicazione dell’IVA non concerneva il corrispettivo tributario della TIA, quanto piuttosto la sottostante prestazione del servizio di cui la TIA era espressione (art. 3 DPR. 26.10.1972 n. 633). Del resto la “natura tributaria” di un importo non escludeva in sé l’applicazione dell’Iva dal momento che, a esempio, scontavano l’IVA anche le accise sui consumi energetici ed altri tributi. Richiamava il parere del Dipartimento delle Finanze 3/DF dell’11.11.2010 secondo cui, stante la sostanziale identità tra TIA1 e TIA2, se la TIA2 aveva natura di corrispettivo (assoggettabile all’IVA), non poteva affermarsi diversamente per la TIA1.
Facendosi carico della pronuncia di questa Corte del 9.3.2012 n.3756 (che aveva escluso l’identità tra Tia1 e Tia 2 ed aveva ribadito che la TIA rappresentava una mera variante della Tarsu, conservando anche la relativa qualifica di tributo), la ricorrente insisteva nel l’afferma re che la sottostante prestazione di servizio di cui la TIA era espressione comportava l’applicazione dell’IVA e faceva, in tal senso, riferimento alla norma di interpretazione autentica di cui all’art. 14 comma 33 della legge n. 122/2010.
2.1. – Il secondo motivo è infondato, in quanto non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’IVA.
Come puntualmente affermato da questa Corte, in controversia di cui l’odierna ricorrente era parte (Cass.3756/12), va esclusa l’identità tra la TIA e la Tariffa integrata ambientale di cui all’art. 238 d.lgs. n. 152/2006. Ciò è stato chiarito dalla Corte Costituzionale con sent. N. 239/2009, che ha affermato che la tariffa integrata espressamente sostituisce la tariffa di igiene ambientale, per “la rilevata formale diversità delle fonti istitutive delle due suddette Tariffe …la successione temporale delle fonti, la parziale diversità della disciplina sostanziale di tali prelievi”.
Sempre nella citata pronunzia, la Suprema Corte ha chiarito che la questione relativa alla affermata (dalla ricorrente) soggezione della tia/1 all’Iva va risolta in coerenza con la pacifica natura tributaria della medesima, con la mancanza di disposizioni legislative che espressamente assoggettano a Iva le prestazioni del servizio di smaltimento dei rifiuti e con l’irrilevanza di diverse prassi amministrative (in effetti esistenti in alcuni territori), posto che la natura tributaria della tariffa va desunta dalla sua complessiva disciplina legislativa, e non da dette eventuali distorte prassi. “.
Va, altresì, evidenziato che questa Corte (da ultimo S.U. n. 8822/18) ha confermato che la TIA costituisce tributo ed ha affermato la giurisdizione del Giudice tributario: “la tariffa di igiene ambientale, ovverosia la cd. TIA-1, regolata dall’art. 49 d.lgs. 05/02/1997, n. 22,…pur soppressa dal d.lgs. 03/04/2006, n.152 (art. 238, comma 1), è rimasta vigente (comma 11), fino all’emanazione di apposito regolamento (comma 6), destinato a disciplinare i criteri generali sulla base dei quali sono stabilite le componenti dei costi ed è definita la tariffa, nonché fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa stessa. Secondo la Corte costituzionale, tale tariffa non costituisce una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU disciplinata dal d.P.R., 15/11/1993, n. 507, di cui conserva la qualifica di tributo (Corte cost., sent. n. 238/2009; ord. n. 64/2010). Restano devolute, pertanto, alla giurisdizione tributaria le vertenze riguardanti la “debenza” della cd. “prima TIA o TIA-1”, ovverosia la tariffa di igiene ambientale, laddove sia ancora disciplinata dal ridetto decreto legislativo n. 22/1997 (art. 49), che le consente di conservare la qualifica di tributo (Cass., Sez. U., 21/06/2010, n. 14903; 12/11/2015, n. 23114; 20/12/2016, n. 26268; conf., da ultimo, 11/07/2017, n. 17113, in motivazione).
Va accolto il primo motivo e rigettato il secondo e va, pertanto, rigettato il ricorso del contribuente con riferimento al motivo accolto. Vanno compensate le spese dei gradi di merito.
P.Q.M.
accoglie primo motivo, rigetta il secondo e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente con riferimento al motivo accolto. Compensa le spese del grado di merito.
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