CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 gennaio 2019, n. 2386
Tributi – Accertamento – Indagini bancarie – Processi verbali – Contenzioso tributario
Fatti di causa
1. A conclusione di due distinte indagini, la Guardia di Finanza indirizzava alla Sig.a M.F.T. due processi verbali: l’uno in data 26 agosto 1999, relativo alle annualità 1997, 1998, 1999; l’altro in data 5 dicembre 2000, relativo ai periodi di imposta 1994, 1995 e 1996. Questa seconda fase di verifica si è caratterizzata per l’indagine bancaria svolta sui conti correnti intestati all’impresa individuale sottoposta a controllo, alla sig.ra T. e al consorte, sig. G.P.
L’estensione ispettiva nei confronti del coniuge veniva giustificata per l’emergere del suo ruolo all’interno dell’impresa, quale – fra le altre cose responsabile dei rapporti con i fornitori, operatore sui conti correnti riferibili alle attività imprenditoriali, garante finanziario dell’attività di cui era titolare la moglie, ovvero l’esercizio del commercio al dettaglio di articoli di pelletteria in quel di T..
2. Ai predetti processi verbali seguivano sei avvisi di accertamento, notificati fra il dicembre 2000 ed il marzo 2003 e relativi ai periodi di imposta dal 1994 al 1999, riguardanti IVA, ILOR, IRPEF ed altre imposte dirette, oltre le relative sanzioni.
La contribuente insorgeva con doglianze in rito e nel merito, chiedendo la sospensione cautelare dei pagamenti, l’annullamento degli atti impositivi e, in subordine, la rideterminazione degli imponibili, delle imposte e delle relative sanzioni.
Più in particolare, contestava che potessero essere riferiti alla sola attività commerciale della sig.a T. i movimenti dei conti bancari su cui opera il coniuge sig. P., uno dei quali conti in titolarità di un terzo soggetto, estraneo alla coppia, non sottoposto ad accertamento e di cui il sig. P. sarebbe procuratore o legale rappresentante. Lamentava che le somme recuperate a tassazione dovessero essere rideterminate, scorporando l’IVA e, quindi ripartite fra i coniugi, anche in ipotesi di impresa familiare.
Si costituiva l’Ufficio, difendendo il proprio operato e chiedendo la conferma degli atti impugnati.
La CTP riuniva i ricorsi e li accoglieva limitatamente alla quantificazione delle sanzioni, compensando parzialmente le spese del giudizio.
3. Interponeva appello la contribuente, contestando le conclusioni del giudice di prime cure e riproponendo le doglianze di primo grado come critica ai capi di sentenza impugnati. Resisteva l’Ufficio.
La CTR accoglieva in parte il gravame della contribuente, annullando gli avvisi di accertamento relativi agli anni 1994 e 1995, prescrivendo all’Amministrazione di ricalcolare anche le sanzioni in ragione delle diverse annualità di recupero a tassazione determinate in sentenza.
Propone ricorso per cassazione la contribuente, affidandosi ad otto motivi di censura.
Ha notificato rituale controricorso l’Avvocatura generale, controdeducendo specificamente ai motivi di doglianza.
In prossimità della pubblica udienza la contribuente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
In via preliminare di rito, svolte le verifiche sul fascicolo d’ufficio, viene disattesa l’eccezione di improcedibilità sollevata in udienza dal Sostituto Procuratore generale.
1. Col primo motivo si eccepisce violazione dell’art. 7, comma 1, I. 212/2000 in parametro all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., nonché omessa pronuncia per errata applicazione art. 57 d.lgs. n. 546/1992, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.
1.1 Come lesione del diritto di difesa, lamenta infatti la ricorrente che agli atti impositivi non sia stato notificato né il pvc del 5 dicembre 2000, né i suoi allegati, fra cui le autorizzazioni alle indagini bancarie.
Segnatamente censura la sentenza posta alla cognizione di questo Collegio, da un lato, per non aver valorizzato la mancata notifica del p.v.c. e, dall’altro, per aver erroneamente ritenuto che la doglianza circa la mancata notifica integrale degli allegati fosse stata introdotta in secondo grado, mentre era stata posta ritualmente fin dal primo ricorso e diligentemente coltivata anche come motivo di gravame.
1.2 Quanto al primo profilo, emerge dallo stesso ricorso per cassazione (p. 7, penultimo capoverso) come già la CTR abbia riconosciuto che i p.v.c. fossero nella disponibilità della parte privata prima ancora della notifica degli atti impositivi.
E su tale circostanza non vi è contestazione.
Quanto al secondo profilo, in ordine cioè alla mancata allegazione di tutti gli atti al p.v.c., sussiste l’errore lamentato, perché è in atti che la doglianza fosse stata tempestivamente proposta e riproposta (inizio di p. 7 e metà di p. 8 del ricorso) e che la CTR l’abbia ritenuta tardiva (p.4, fine terzo capoverso della sentenza). Non di meno, occorre considerare quanto esposto dalla difesa erariale che, richiamandosi all’orientamento di questa Corte, replica che la mancata allegazione al p.v.c. o all’atto impositivo delle autorizzazioni alle indagini bancarie non costituisce lesione del diritto di difesa, sia perché le indagini bancarie possono non sfociare in accertamento, sia -e soprattutto- per l’esegesi combinata del testo degli art. 51 e 52 d.P.R. n. 633/1972, ove il primo non richiede l’indicazione di scopo o motivo e, a fortiori, di motivazione dell’autorizzazione alle indagini, di cui è sufficiente l’esistenza, eventualmente dimostrata in giudizio dall’Ufficio (cfr. Cass. n. 20420/2014; n. 449/2010; n. 16874/2009; n. 2293/2009). Questa Sezione non ritiene di discostarsi dall’orientamento per cui la produzione tardiva delle autorizzazioni (esistenti) alle indagini bancarie non integra lesione al diritto di difesa. Né emerge dagli atti di causa che vi fossero altri documenti non allegati diversi dalle prefate autorizzazioni alle indagini bancarie.
Il motivo è quindi infondato e va disatteso.
2. Con il secondo e terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, rispettivamente in riferimento agli articoli 32, comma 1, n. 2 d.P.R. 600/1973 e 51, comma 2, n. 2 d.P.R. n. 633/1972, nonché agli art. 1, 2 e 3 d.P.R. 917/1986; 1, 4 e 17 d.P.R. 633/1972.
Di fronte ad un’indagine essenzialmente bancaria, si contesta che non potessero essere portati ad accertamento il conto corrente del marito della contribuente accertata e quelli intestati ad un terzo, non sottoposto ad indagine, di cui il marito era procuratore o legale rappresentante.
2.1. Questa Corte, anche di recente, ha ritenuto che, in tema di accertamenti bancari, l’art. 32, comma 1, n. 1 e 7 d.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di imposte dirette) e l’art. 51, secondo comma, numeri 2 e 7 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (in materia di IVA).
– che accordano all’ufficio il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione – trovano applicazione unicamente ai conti intestati o cointestati al contribuente, e non con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, ancorché legate al contribuente da vincoli familiari o commerciali, salvo che l’ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale che l’intestazione a terzi è fittizia o comunque è superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti (cfr., e pluribus, Cass. n. 14089/2017; n. 11145/2011).
2.2 Peraltro, questa Corte ha da tempo consentito -a precise condizioni- l’estensione dello scrutinio dell’Amministrazione anche per verificare le posizioni giuridiche di soggetti terzi legati da particolari rapporti con il contribuente (legami familiari, rapporti di collaborazione e lavoro) utilizzati per scopi elusivi ovvero per evasione fiscale (cfr. Cass. 10573/2011).
Di tali principi non ha fatto buon governo la CTR, non rinvenendosi nella motivazione alcun passaggio relativo all’imputabilità alla contribuente dei conti intestati, rispettivamente, al coniuge e ad un soggetto terzo di cui il coniuge aveva la disponibilità per essere procuratore o legale rappresentante del terzo titolare.
Il motivo è fondato e merita accoglimento con conseguente rinvio alla CTR.
3. I motivi 4, 5 e 6 lamentano la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., nell’ordine: per non aver considerato nella motivazione le giustificazioni portate dal Sig. P. a chiarimento del proprio ruolo nell’impresa della moglie e per non aver comunque tratto le conseguenze dall’accertamento di fatto, cioè che il sig. P. fosse titolare di impresa propria, ovvero socio di fatto della moglie.
I motivi sono inammissibili ove richiedano a questa Corte una nuova valutazione di merito che è inibita in questa sede e sono infondati ove siano critica alla motivazione della sentenza impugnata. Il lungo terzo capoverso della sentenza impugnata argomenta in ampia forma la configurazione del coniuge della contribuente accertata unicamente come suo prestatore di copertura finanziaria, escludendone la qualità sia di socio. Ed in questo senso la pronuncia impugnata non presenta profili di censura.
4. Con il settimo motivo si lamenta error in procedendo per omissione di pronuncia su esplicito motivo di appello, che viene riprodotto in ossequio al principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione. Segnatamente la ricorrente lamenta di aver spiegato motivo di appello avverso la sentenza della CTP che non ha rideterminato le somme accertate, scorporando l’IVA che vi si presume compresa anche per la contabilità ritenuta irregolare. Si duole di non trovare traccia di tale doglianza nella sentenza impugnata che ritiene così affetta per non liquet.
Il motivo è fondato. Da una attenta lettura della pronuncia della CTR non si rinviene alcun passaggio relativo alla doglianza ritualmente proposta in appello.
5. Con l’ottavo motivo la contribuente propone la medesima doglianza in ordine alla rideterminazione delle sanzioni.
Ed infatti, all’ultimo capoverso della penultima pagina della sentenza impugnata, la CTR afferma che la rideterminazione delle sanzioni non sia stata riproposta in appello perché accolta dal giudice di prime cure. Sennonché, la lettura della doglianza di cui a pag. 24 dell’atto d’appello – debitamente trascritta nel ricorso per cassazione, in ossequio al già citato principio di autosufficienza- era stata proposta specifica impugnazione sul punto, per aver il giudice di primo grado opinato il calcolo delle sanzioni sul testo meno favorevole al contribuente. Al capo di sentenza CTP così impugnato non è seguito capo di questione nella sentenza CTR qui all’esame.
Il motivo è quindi fondato e la pronuncia merita rinvio alla CTR.
In definitiva, debbono essere accolti i motivi terzo, settimo ed ottavo, nei limiti di cui in motivazione.
P.Q.M.
Accoglie il terzo, settimo ed ottavo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia alla CTR di Trieste in diversa composizione, cui demanda anche la definizione delle spese del giudizio di legittimità.
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