CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 marzo 2019, n. 8820
Tributi – IRPEF – Occupazione usurpativa propria – Risarcimento per danno per occupazione usurpativa carente ab origine di titolo legittimante – Plusvalenza tassabile
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, Sezione staccata di Taranto, dal 03/07/12, depositata il 10 maggio 2013, che ha rigettato l’appello dello stesso Ufficio avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Taranto, che aveva accolto il ricorso di A.M. contro il diniego opposto dall’Agenzia delle Entrate all’istanza di rimborso, con maggiorazione degli interessi legali, della somma corrispondente alla ritenuta dell’IRPEF operata dal Comune di Manduria sull’importo liquidato, in favore della stessa contribuente – a titolo di risarcimento del danno conseguente ad occupazione sine titulo, da parte del medesimo ente territoriale, di un terreno di sua proprietà – dalla sentenza n. 172 del 2004 della Corte d’Appello di Lecce, sezione staccata di Taranto.
2. La ricorrente espone che, con istanza del 16 marzo 2007, la contribuente ha chiesto all’Amministrazione finanziaria la restituzione della ritenuta in questione, effettuata dal sostituto d’imposta al momento dell’adempimento della citata sentenza della Corte d’Appello di Lecce, applicando l’art. 11, comma 7, legge 30 dicembre 1991, n. 413, secondo il quale: «Gli enti eroganti, all’atto della corresponsione delle somme di cui ai commi 5 e 6, comprese le somme per occupazione temporanea, risarcimento danni da occupazione acquisitiva, rivalutazione ed interessi, devono operare una ritenuta a titolo di imposta nella misura del 20 per cento. È facoltà del contribuente optare, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, per la tassazione ordinaria, nel qual caso la ritenuta si considera effettuata a titolo di acconto».
Infatti, secondo la contribuente, la fattispecie concreta oggetto della sentenza della Corte d’Appello che aveva accertato e quantificato il suo credito, dovendo qualificarsi come «occupazione usurpativa propria» (ovvero come irreversibile trasformazione del fondo privato, conseguente ad occupazione, da parte dell’ente pubblico, in assenza ab origine di una valida dichiarazione di pubblica utilità), esulava dal perimetro applicativo dell’art. 11, comma 5, legge n. 413 del 1991, richiamato dal comma 7 della stessa disposizione, che sottopone a tassazione le «plusvalenze conseguenti alla percezione, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, di indennità di esproprio o di somme percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi nonché di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane […]». Sarebbe pertanto indebita la ritenuta de qua, che peraltro inciderebbe negativamente sul risarcimento, riducendolo del 20% e quindi alterando la sua corrispondenza al valore venale del bene, parametro al quale il giudice civile lo aveva ancorato nella liquidazione, al fine di ristorare interamente la perdita subita dalla proprietaria del fondo.
Sull’ istanza di rimborso si è prodotto il silenzio rifiuto dell’Ufficio.
3. La contribuente ha impugnato il diniego dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Taranto, che ha accolto il ricorso.
4. L’Ufficio ha quindi proposto appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Puglia. La contribuente ha proposto appello incidentale, chiedendo che sulle somme oggetto della domanda di rimborso le fossero altresì riconosciuti gli interessi e la rivalutazione. Il giudice a quo ha rigettato entrambi gli appelli.
5. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per la cassazione della predetta sentenza di secondo grado, articolando un solo motivo.
6. Resiste con controricorso la contribuente.
7. La controricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, num. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 11 legge n. 413 del 1991, per avere il giudice a quo escluso che la ritenuta fiscale da esso prevista si applichi anche alla fattispecie concreta del risarcimento del valore venale del bene, oggetto di occupazione priva ab origine della dichiarazione di pubblica utilità, nonostante il contrario indirizzo della giurisprudenza di legittimità.
1.1. Il motivo è fondato e va accolto.
Infatti, riguardo alla configurabilità, come plusvalenza tassabile, anche del risarcimento per danno per occupazione usurpativa carente ab origine di titolo legittimante, questa Corte ha già avuto modo di precisare che: « In tema d’imposte sui redditi, la somma erogata dall’Amministrazione a titolo di risarcimento del danno per occupazione usurpativa costituisce una plusvalenza soggetta a tassazione ex art. 11 della l. n. 413 del 1991, alla cui stregua sono tassabili le plusvalenze corrispondenti, tra l’altro, a somme comunque dovute per effetto di acquisizioni coattive conseguenti ad occupazioni prive di titolo (perché carente “ab origine” o dichiarato illegittimo successivamente), sempre che la percezione di detta somma sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge e, cioè, dopo l’1 gennaio 1989, non assumendo rilievo, invece, il momento in cui è avvenuto il trasferimento del bene, salvo che il ritardo nel pagamento sia imputabile alla P.A.» (Cass., 23/11/2018, n. 30400).
Nello stesso senso, del resto, era stato già ritenuto che: «In tema d’imposte sui redditi, è legittima la ritenuta del 20 per cento, a titolo di IRPEF, effettuata dall’Amministrazione sulle somme da essa versate quale risarcimento del danno derivante da occupazione usurpativa, potendo rientrare anch’essa nell’ambito di operatività dell’art. 11, commi 5, 6, e 7, della l. n. 413 del 1991, alla cui stregua sono assoggettabili a tassazione le plusvalenze corrispondenti, tra l’altro, a somme comunque dovute per effetto di acquisizioni coattive conseguenti ad occupazioni prive di titolo, perché carente “ab origine” o dichiarato illegittimo successivamente» (Cass. 26/05/2017, n. 13420, Conformi, ex multis, Cass. 09/02/2017, n. 3503; Cass. 22/05/2013, n. 12533).
Le argomentazioni della contribuente, di cui al controricorso ed alla memoria non appaiono idonee a discostarsi dal richiamato indirizzo di legittimità, al quale questa Corte intende conformarsi anche nel caso sub iudice.
1.2. In particolare, deve ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 l. n. 413 del 1991, se interpretato – in conformità al richiamato orientamento consolidato di questa Corte – nel senso che sono assoggettabili a tassazione anche le plusvalenze corrispondenti a somme comunque dovute per effetto di occupazione priva di titolo ab origine, prospettata dalla contribuente, nel controricorso, per violazione del parametro di riferimento di cui all’art. 1 del protocollo addizionale della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, secondo il quale:
«Ogni persona fisica e giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende».
Infatti, la stessa Corte di Strasburgo ha recentemente stabilito (Corte EDU, 16/01/2018, Cacciato v. Italia; Corte EDU, 8/02/2018, Guiso e Consiglio v. Italia) che l’imposta del 20%, introdotta dall’art. 11 l. n. 413 del 1991, non integra una violazione del diritto di proprietà garantito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, poiché, per quanto la somma tassata costituisca un «bene» tutelato dalle garanzie di cui alla citata disposizione pattizia, tuttavia:
– uno Stato contraente, non da ultimo quando formula e attua politiche in materia fiscale, gode di un ampio margine di apprezzamento, poiché spetta principalmente alle autorità nazionali decidere il tipo di imposte o di contributi che intendono imporre, in quanto le decisioni in tale materia comportano usualmente la valutazione di questioni politiche, economiche e sociali che la Convenzione lascia alla competenza degli Stati parti, poiché le autorità interne sono più idonee della Corte sotto tale profilo;
– l’aliquota fiscale pari al 20% non può essere considerata, dal punto di vista quantitativo, un onere irragionevole e sproporzionato a carico del proprietario, anche perché la cifra da versare non ha una portata tale da rendere il pagamento dell’imposta simile a una confisca, non intaccando l’entità della somma tassata in relazione al valore di mercato dei terreni. In altre parole, la Corte ha ritenuto che la misura fiscale in questione non giunga al punto di compromettere la sostanza stessa del diritto di proprietà il cui ristoro è stato liquidato con l’importo tassato;
– la normativa fiscale italiana offre ai contribuenti la facoltà di accettare la detrazione del 20% applicata alla somma ottenuta, oppure optare per la tassazione ordinaria, che determina l’importo dovuto come imposta tenendo conto delle plusvalenze unitamente alle altre componenti del loro reddito.
Sulla base delle argomentazioni appena riassunte, la CEDU ha quindi escluso la paventata violazione da parte dell’Italia, che con l’art. 11 legge n. 413 del 1991 ha raggiunto un giusto equilibrio tra tutela dei diritti dell’individuo e interesse pubblico a ottenere entrate fiscali (nello stesso senso cfr. Cass., 19/10/2018, n. 26417. V., altresì, Cass., Sez. 5, 25/11/2011, n. 24908).
1.3. La circostanza che, nel caso qui sub iudice, l’importo tassato sia stato liquidato a seguito di occupazione usurpativa non comporta considerazioni diverse, rispetto alla prospettata illegittimità costituzionale dell’art. 11 legge n. 413 del 1991 per contrasto con l’art. 1 del protocollo addizionale della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, poiché anche in questo caso appare decisiva la valutazione della Corte di Strasburgo in ordine all’inidoneità dell’aliquota fiscale ad incidere sostanzialmente sul valore del bene, in misura tale da compromettere la sostanza stessa del diritto di proprietà da risarcire.
2. Va quindi cassata la sentenza impugnata, con conseguente rinvio al Giudice a quo al fine di decidere in ordine alla questione dell’effettiva composizione e quantificazione dell’imponibile cui applicare l’aliquota in questione, anche in relazione all’inclusione, o meno, in esso di importi liquidati o pagati alla contribuente a titolo di spese di lite o di registrazione. Si tratta, infatti, di questione riproposta in appello dalla contribuente e rimasta assorbita dalla decisione del giudice a quo, che ha escluso in radice la tassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata;
rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.