CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 maggio 2018, n. 13588
Tributi – Imposte sui redditi – Impresa – Costi di start up e di intermediazione finanziaria – Prestazioni antecedenti alla costituzione della società – Indeducibilità – Requisiti di certezza e inerenza – Onere di prova a carico del contribuente
Ritenuto in fatto
1. A. Spa, società costituita, in data 25/07/2002, per la gestione del servizio idrico integrato nell’Ambito territoriale ottimale n. 4 della Regione Lazio, con capitale misto, pubblico (51% nella titolarità della provincia di Latina e di 35 Comuni ricadenti nell’«Ambito») e privato (49% nella titolarità di II. Srl, costituita da un gruppo di società appartenenti alla francese Compagnie Générale des Eaux), impugnò l’avviso di accertamento (datato 19/05/2006), relativo all’anno d’imposta 2002, recante, da un lato, il recupero a tassazione, per difetto di «certezza» e «inerenza», della quota di ammortamento del 20% dei costi pluriennali di impianto e ampliamento (c.d. costi di start up, per euro 174.549,49), e, conseguentemente, maggiori IRPEG (per euro 50.412.0) e IRAP (per euro 8.985,00); dall’altro, la ripresa a tassazione, per difetto d’«inerenza», della detrazione dell’IVA (nella misura di euro 32.100.0), sulla fattura n. 1/2002 (dell’importo di euro 160mila), per «attività di ricerca finanziamenti a favore della Va. società» emessa dalla II. Srl nei confronti della stessa A. Spa.
1.2. La sentenza di primo grado (sentenza n. 172/3/2007), in parziale accoglimento del ricorso della contribuente, giudicò legittimo l’avviso solo con riferimento alla non inerenza della fattura emessa da S. Spa (per costi di start up), perché riferita a prestazioni rese a favore di A. Spa, prima della costituzione di quest’ultima.
1.3. Tale pronuncia venne impugnata dall’Ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio (in seguito: CTR) che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la decisione di primo grado.
In particolare, secondo il giudice d’appello, il convincimento della Commissione provinciale, in merito alla certezza e all’inerenza dei costi di start up, sostenuti dalla contribuente in fase di costituzione e di avvio dell’attività gestionale, trovava conforto nell’ampia disamina dei fatti di causa e degli atti prodotti dalla società, compresi quelli già acquisiti dall’Ufficio nella fase amministrativa.
2. Per la cassazione della sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso, affidato a due motivi, cui resiste A. Spa con controricorso.
Considerato in diritto
1. Primo motivo: «Insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.».
L’Ufficio lamenta l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata che non ha dato conto, in modo puntuale e dettagliato, del ragionamento grazie al quale è stata riconosciuta la certezza e l’inerenza dei costi sostenuti da A. Spa nella fase di avvio dell’attività sociale.
Denuncia che il giudice d’appello, limitandosi a confermare, con espressioni apodittiche, la sentenza di primo grado, anch’essa carente di motivazione, ha stabilito che detti costi erano provati, senza però indicare la documentazione di riscontro e, ancora, omettendo di prendere posizione sul contenuto dell’atto impositivo che evidenziava talune anomalie delle relative operazioni, ossia: l’estrema genericità delle prestazioni menzionate nelle fatture recanti i costi d’impianto e avviamento e in quella per l’attività d’intermediazione per l’ottenimento di linee di credito (fattura II.); l’omessa produzione, da parte della società, della documentazione di dettaglio; gli stretti rapporti tra A. Spa e le società emittenti le fatture (titolari del capitale sociale di II. Srl, socio privato della contribuente); la sistematica devoluzione delle risorse di A. Spa, società a capitale misto, a favore dei propri soci «a capitale privato».
In conclusione, si duole che la sentenza non offra alcuna possibilità di rintracciare il percorso logico della motivazione nella duplice componente dell’attività di scienza (conoscenza dei fatti e delle circostanze di causa) e dell’attività di giudizio (valutazione dei fatti e apprezzamento della loro idoneità a sostenere la corretta risoluzione della controversia).
1.1. Il motivo è fondato.
In più occasioni la Corte ha avuto modo di chiarire che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza dell’inerenza e, se contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista la documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità del costo (cfr., ex multis, Cass. 6/02/2015, n. 2179).
Nella specie, la Commissione regionale ha ravvisato la sussistenza della certezza e dell’inerenza dei costi di start up e di intermediazione finanziaria (dedotti ai fini delle imposte sui redditi e detratti ai fini IVA), in quanto correlati all’avvio dell’attività di gestione integrata del servizio idrico, tramite il «ricorso all’outsourcing di risorse umane» (demandata a figure manageriali di alta specializzazione, non inserite nell’organigramma di A. Spa) ed ha soggiunto che: «dall’analisi della documentazione probatoria effettuata dal Collegio risulta che la società aveva fornito sicuramente la documentazione dettagliata riferita ai costi in trattazione.» (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
A fronte delle autosufficienti deduzioni dell’Agenzia delle entrate, una simile motivazione si appalesa come generica, lacunosa e priva di tenuta logica, in una parola, insufficiente, in mancanza di un riferimento, concreto, preciso e analitico – del quale non si rinviene traccia nell’intera trama argomentativa della decisione – ai documenti (per esempio: contratti, prospetti degli incarichi conferiti e dei servizi espletati; rendiconto dei costi addebitati e dei criteri della loro quantificazione) idonei a comprovare la certezza e l’inerenza delle prestazioni (ossia, in termini contabili, dei costi), di cui l’Amministrazione finanziaria ha contestato la deducibilità sia in fase amministrativa che in fase contenziosa.
2. Secondo motivo: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del dpr 917/1986, 2697 e 2729 c.c. 19 del D.P.R. 633/72, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.».
L’Ufficio denuncia l’erronea ratio decidendi della sentenza d’appello, secondo cui l’onere della prova dell’effettività e dell’inerenza dei costi e degli altri componenti negativi del reddito, in caso di loro contestazione da parte dell’Autorità erariale, non incomberebbe sul contribuente, che potrebbe limitarsi ad allegare la riferibilità all’esercizio dell’azienda dei medesimi componenti negativi.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.1.1. In termini generali, è il caso di ricordare che, secondo il consolidato orientamento della Corte, il principio d’inerenza del costo, ai fini della sua deducibilità, è stato ricondotto, sul piano normativo, all’art. 109, comma 5, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) (in precedenza, art. 75, comma 5, TUIR) che stabilisce che: «Le spese e gli altri componenti negativi […] sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi.».
Il giudizio sull’inerenza del costo va riferito all’oggetto sociale dell’impresa, nel senso che esso è deducibile se è funzionale alle singole attività sociali o, comunque, se apporta all’impresa un’utilità, obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata (Cass. 4/10/2017, n. 23164, ha espresso tale principio in merito alla deducibilità dei costi – ai fini delle imposte dirette e per la detrazione dell’IVA contestualmente assolta – per i servizi resi e per le attività prestate dalla «capofila» a favore delle società appartenenti al medesimo gruppo).
L’«inerenza» non integra un nesso tra costo e ricavo, ma si sostanzia nella correlazione tra costo e attività d’impresa, anche solo potenzialmente capace di produrre reddito imponibile.
Con riferimento ai rapporti infragruppo, l’inerenza del costo – ricondotta entro il binario dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità – è stata agganciata ai concetti di coerenza e utilità economica, interpretati come indici della sussistenza o meno dell’inerenza, più che come suoi requisiti essenziali, per così dire, «normativi».
Sicché, l’ipotetica antieconomicità di una spesa (ad esempio: perché sproporzionata sul piano quantitativo) è stata letta come un significativo sintomo (come una «spia») della non inerenza (totale o parziale) e della (conseguente) indeducibilità (anch’essa totale o parziale) del costo (Cass. 27/10/2017, n. 25566).
Lo stesso criterio d’inerenza, rispetto all’attività esercitata, regola il diritto di detrazione dell’IVA sugli acquisti e sulle importazioni di beni e servizi, delineato dall’art. 19 d.P.R. 26 ottobre 1972, 633 e, in proposito, la Corte ne ha sottolineato il carattere di relazione qualitativa, sul presupposto che: «l’impiego del criterio utilitaristico non giova alla corretta esegesi della nozione di inerenza, in quanto il concetto aziendalistico e quello civilistico di spesa non sono necessariamente legati all’elemento dell’utilità, essendo configurabile quale costo anche ciò che, nel singolo caso, non reca utilità all’attività dell’impresa.» (Cass. 11/01/2018, n. 450).
2.1.2. Passando adesso alla questione dell’onere della prova dell’inerenza del costo, la Cassazione ha avuto più volte modo di affermare che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, secondo la disciplina del TUIR, l’onere di dimostrare i presupposti dei costi deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, incombe sul contribuente, anche in base al canone della vicinanza della prova (Cass. 17/09/2014, n. 19600; 8/10/2014, n. 21184; 26/05/2017, n. 13300).
2.1.3. Tanto premesso sul piano generale, tornando al caso di specie, atteso che il giudice a quo ha così argomentato: «Dall’esame degli atti processuali risulta, infatti, che la società A. Spa si era costituita nell’anno 2002 e che, quindi, non disponeva di tutte quelle risorse utili e necessarie per l’avvio della attività di gestione integrale del servizio idrico, da svolgersi nei Comuni ricadenti dell’A.T.O. n. 4 e che quindi, oltre al sostentamento dei costi di primo impianto, capitalizzati ex articolo 2446 c.c., la stessa si era avvalsa di figure manageriali di alta specializzazione nel campo della gestione dei S.I.I., facendo così ricorso all’outsourcing di risorse umane; pratica questa ormai ampiamente diffusa nell’ambito delle imprese.» (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), la censura dell’Ufficio si rivela inammissibile per un duplice ordine di motivi.
Innanzitutto, perché essa, prospettata come violazione e falsa applicazione delle norme in tema di imposte sui redditi e di IVA e delle disposizioni del codice di rito sulla ripartizione dell’onere della prova, si risolve, in realtà, in un’inammissibile richiesta di una nuova valutazione di un fatto – il raggiungimento o meno della prova dell’inerenza dei costi e delle spese – insindacabilmente riservata al giudice di merito e suscettibile di essere posta in discussione solo in connessione con un vizio motivazionale, aspetto, quest’ultimo, sopra esaminato e risolto (cfr. par. 1).
In secondo luogo, perché si pone in contrasto con il coerente accertamento in fatto del giudice di merito.
3. In definitiva, accolto il primo motivo di ricorso e inammissibile il secondo, ne consegue la cassazione della sentenza, limitatamente al motivo accolto, e il rinvio, per un nuovo esame della controversia (in relazione al motivo accolto), alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui è demandata anche la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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