CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 maggio 2018, n. 13668
Trasferimento di ramo d’azienda – Prosecuzione del rapporto di lavoro con la cessionaria – Nullità del licenziamento per violazione della norma imperativa ex art. 2112 c.c. – Difetta di specificità – Ricorso inammissibile
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 2 febbraio 2016, in riforma parziale della pronuncia di primo grado resa all’esito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, ha respinto la domanda proposta da I.N., dipendente della P.F. Srl come cassiera addetta al punto vendita di T. e licenziata da quest’ultima in data 16 luglio 2013, nei confronti della M. Srl.
La Corte territoriale – per quanto ancora qui interessa – ha ritenuto che non fosse ravvisabile “un passaggio di azienda dalla P.F. alla M. in quanto non vi fu alcun rapporto diretto tra le due società”, poiché quest’ultima solo il 2 settembre 2013 aveva ricevuto in subaffitto dalla D. Srl il predetto punto vendita, nel quale non si svolgeva alcuna attività e dove la N. non aveva più lavorato per tutto il tempo successivo al licenziamento; conseguentemente la Corte ha statuito che non vi fosse un diritto dell’istante alla prosecuzione del rapporto di lavoro con la M. Srl.
2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso I.N. con 4 motivi. Ha resistito la M. Srl con controricorso. Non hanno svolto attività difensiva la P.F. Srl e la D. srl.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 434 c.p.c. in quanto la Corte distrettuale non si sarebbe pronunciata sulla eccezione preliminare proposta nella memoria di costituzione in appello circa l’inammissibilità del reclamo della M. Srl “per mancanza della forma di cui all’art. 434 c.p.c.”.
La censura è priva di pregio.
Il mancato esame, da parte del giudice di merito, di una questione puramente processuale non può dar luogo ad omissione di pronuncia, configurandosi quest’ultima nella sola ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (per tutte v. Cass. n. 22952 del 2015 con la giurisprudenza ivi richiamata;
più di recente, Cass. ord. n. 321 del 2016). Pertanto la sentenza che si assuma avere erroneamente rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello non è censurabile in sede di legittimità per violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. n. 1701 del 2009).
Peraltro non è configurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente (ex plurimis, Cass. n. 7404 del 2014) e, nella specie, la Corte siciliana, avendo esaminato nel merito il reclamo ha implicitamente, quanto inequivocabilmente, ritenuto il medesimo ammissibile.
2. Il secondo mezzo denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione del giudicato interno ed extrapetizione, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., assumendo che con il reclamo della società non sarebbero stati impugnati due capi della sentenza di primo grado in cui veniva statuita: “1) la declaratoria di nullità del licenziamento per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2112 c.c.; 2) che tra P. e D. fosse intervenuto un trasferimento di ramo d’azienda sotto il profilo della retrocessione e fosse applicabile l’art. 2112 c.c..
Il motivo non può trovare accoglimento.
Posto che esso difetta di specificità in quanto, ai fini della delibazione del vizio di violazione dell’asserito giudicato interno e dell’ultra petizione, riporta il contenuto della sentenza di primo grado ma non i contenuti dell’atto di reclamo precludendo a questa Corte di verificare l’ammissibilità della censura (cfr. Cass. n. 17523 del 2009; Cass. n. 4840 del 2006; Cass. n. 1221 del 2006; Cass. n. 18037 del 2014), dalla stessa prospettazione della parte ricorrente si rileva come la reclamante società avesse nel motivo di impugnazione speso l’argomento di “essere stata estranea ai rapporti dedotti in giudizio”, evidentemente contestando in radice l’esistenza di un trasferimento di ramo d’azienda che rendesse a lei opponibile la declaratoria di nullità del licenziamento intimato alla N. e tanto impediva di certo la formazione di un giudicato interno sul punto nei confronti della M. Srl.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. per avere la Corte territoriale negato l’esistenza nella specie di un trasferimento di ramo d’azienda, nonostante la disposizione si applichi anche nel caso di retrocessione del ramo ed anche laddove vi sia una sospensione dell’attività.
Con il quarto mezzo si lamenta l’omesso esame di “due fatti decisivi”: uno rappresentato da “una preesistente realtà economica”, l’altro costituito dalla circostanza che “alla Sig.ra N. venne proposto di continuare a prestare servizio nel punto vendita”.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto anche con il primo, nonostante la formale denuncia di un error in iudicando, nella sostanza si critica il giudizio della Corte territoriale che, avuto riguardo al concretarsi della fattispecie nella realtà dei fatti accertati, non ha ritenuto ravvisabile un trasferimento di ramo d’azienda.
Orbene tali censure sono inammissibili in quanto investono pienamente la quaestio facti e l’apprezzamento fornito dal giudice cui compete, ben oltre i limiti imposti dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., al quale è sottoposta ratione temporis la sentenza impugnata, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 ed 8054 del 2014, delle cui prescrizioni parte ricorrente non tiene alcun conto, in particolare mancando di enucleare l’omesso esame di un fatto realmente decisivo che, ove non trascurato dalla Corte territoriale, avrebbe condotto ad un diverso esito della lite con prognosi certa e non meramente possibile.
4. Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore della M. srl, mentre nulla occorre disporre nei confronti delle altre società intimate che non hanno svolto attività difensiva.
Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di M. Srl, che liquida in euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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