CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 ottobre 2020, n. 24141
Cassa di Previdenza Forense – Restituzione dei contributi versati – Eredi – Annullamento della posizione previdenziale del professionista per avvenuto svolgimento di attività incompatibili con la professione forense – Contributi soggettivi e contributi integrativi – Decorrenza degli interessi
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 23.6.2014, la Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha fissato la decorrenza degli interessi dovuti sulle somme da corrispondere agli eredi dell’avv. L.C. a titolo di restituzione dei contributi da questi versati alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense alla data della presentazione della domanda amministrativa del 19.8.2011, invece che a quella di versamento dei contributi oggetto di restituzione.
La Corte, in particolare, ha confermato la pronuncia del primo giudice nella parte in cui questi aveva ritenuto che, a seguito dell’annullamento della posizione previdenziale del professionista per avvenuto svolgimento di attività incompatibili con la professione forense, l’obbligo di restituzione dei contributi da parte della Cassa concernesse non soltanto i contributi soggettivi, ma altresì i contributi integrativi, e ha invece ritenuto, contrariamente al primo giudice, che la decorrenza degli interessi dovesse aver luogo dalla data della domanda di restituzione, non potendo al riguardo configurarsi alcuna mala fede della Cassa nel riceversi i contributi medesimi.
Avverso tali statuizioni ha ricorso per cassazione la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, deducendo un unico e articolato motivo di censura, poi ulteriormente illustrato con memoria. Gli eredi dell’avv. C. hanno resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale basato a sua volta su un motivo.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo del ricorso principale, la Cassa ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 22, l. n. 576/1980, e 2033 c.c., per avere la Corte di merito confermato la decisione di prime cure nella parte in cui aveva esteso l’obbligo di restituzione anche ai contributi integrativi.
Il motivo è fondato.
Questa Corte ha ormai consolidato il principio di diritto secondo cui l’accertamento da parte del giudice di merito di una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione legale e con la stessa iscrizione all’Albo degli avvocati comporta l’inesistenza di un legittimo rapporto previdenziale con la Cassa forense, con conseguente venir meno di diritti ed obblighi del soggetto illegittimamente iscritto, ancorché tale incompatibilità non sia stata accertata e perseguita sul piano disciplinare dal Consiglio dell’Ordine competente, di talché al professionista che sia rimasto illegittimamente iscritto all’Albo spetta la restituzione dei contributi versati, giusta la disciplina dell’art. 2033 c.c. (Cass. n. 15109 del 2005).
E’ stato nondimeno precisato che l’obbligo di restituzione non si estende ai contributi integrativi che siano stati nel tempo versati dal professionista: posto che l’art. 11, l. n. 576/1980, costruisce il relativo obbligo come strettamente inerente alla prestazione professionale resa in virtù dell’iscrizione all’Albo e che l’art. 2, comma 3°, l. n. 319/1975, nel prevedere che l’attività professionale che sia stata svolta in una situazione di incompatibilità non accertata e perseguita dal consiglio dell’ordine competente dia luogo esclusivamente alla preclusione dell’iscrizione alla Cassa di previdenza e all’impossibilità di considerare utile ai fini previdenziali il periodo di tempo in cui l’attività medesima è stata svolta, non revoca comunque in dubbio che l’attività professionale possa essere stata legittimamente esercitata in virtù della (mera) iscrizione all’Albo, deve ritenersi che il pagamento del contributo integrativo sia esclusivamente collegato all’esercizio dell’attività professionale resa comunque possibile dall’iscrizione e finalizzato all’attuazione del dovere di solidarietà intercategoriale, che non può venir meno per effetto dell’accertamento di una situazione d’incompatibilità rispetto all’esercizio della professione, con conseguente non configurabilità di un obbligo di restituzione dei contributi integrativi (così Cass. n. 30571 del 2019, sulla scorta di Cass. n. 10458 del 1998).
Ciò posto, con l’unico motivo del ricorso incidentale, gli eredi dell’Avv. C. si dolgono di falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che gli interessi sui contributi oggetto di restituzione dovessero decorrere dalla data della domanda amministrativa del 19.8.2011, invece che dal momento del pagamento dei contributi.
Il motivo è inammissibile.
Questa Corte ha ormai consolidato il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 24155 del 2017, 3340 del 2019).
Nella specie, il motivo di censura incorre precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulato con riguardo ad una presunta violazione dell’art. 2033 c.c., pretende di criticare l’accertamento di fatto che la Corte territoriale ha compiuto al fine di escludere che fosse stata data prova della malafede dell’accipiens; né a diverse conclusioni potrebbe giungersi riqualificando il motivo in termini di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (cfr. su tale possibilità Cass. nn. 4036 del 2014 e 23940 del 2017), dal momento che, avendo nella specie la Corte territoriale valutato l’inidoneità della mera conoscenza della situazione d’incompatibilità del de cuius a provare una situazione di malafede della Cassa accipiens, è evidente che parte ricorrente intende dolersi non già di un omesso esame, quanto piuttosto dell’esito di quell’esame, da ritenersi però questione di merito estranea al giudizio di legittimità.
Pertanto, in accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Tenuto conto della declaratoria d’inammissibilità del ricorso incidentale, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti incidentali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
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