CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 1244 depositata l’ 11 gennaio 2024
Lavoro – Nullità termine apposto a contratto individuale di lavoro – Sussistenza rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Riammissione in servizio – Pagamento indennità – Rigetto
Fatti di causa
La Corte di appello di Milano aveva parzialmente accolto il ricorso proposto da B. srl avverso la decisione con cui il tribunale di Varese, per quel che qui interessa, aveva accolto le domande di C.M., accertato la nullità del termine apposto al contratto individuale di lavoro stipulato in data 17.6.2011 e dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con conseguente condanna della società alla riammissione in servizio del lavoratore ed al pagamento dell’indennità pari a 5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ex art. 32 l. n. 183/2010.
Il tribunale aveva escluso la natura pubblica della società B. e dunque, valutata la nullità della clausola appositiva del termine, perché priva di causale giustificatrice, aveva disposto la “conversione” del contratto, non ritenendo vigenti i divieti previsti per gli enti pubblici.
La corte di merito, confermando la valutazione sulla illegittimità del termine, riteneva invece non applicabile la conversione del contratto e sul punto riformava la sentenza di primo grado, confermandola nel resto.
Avverso detta decisione proponeva ricorso C.M. con due motivi cui resisteva la società B. con controricorso anche contenente ricorso incidentale affidato a due motivi. Entrambe le parti depositavano successive memorie.
Ragioni della decisione
Ricorso principale
1)-Con il primo motivo del ricorso principale è dedotta la errata applicazione dell’art. 1 co.1 d,lgs n. 368/2001 (art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.), avendo la corte milanese utilizzato motivazioni in contrasto con la giurisprudenza di legittimità in tema di conversione del contratto di lavoro a tempo indeterminato in caso di nullità del termine apposto. Deduce che l’attività svolta era continuativa e non legata a esigenze eccezionali e temporanee e che il rapporto risultava continuativo.
Il ricorrente deduce inoltre la natura privatistica della società al fine di sollecitare una rivalutazione in tema di conversione del contratto di lavoro a tempo indeterminato.
2)- Con il secondo motivo il ricorrente si duole della compensazione di tutte le spese, anche quelle del primo grado del giudizio in cui la società era risultata soccombente.
Ricorso incidentale
1)-Con il primo motivo la società denuncia la violazione dell’art 1 l.n. 368/01 con riguardo alla ritenuta assenza delle ragioni giustificatrici del termine.
2)- La seconda censura ha ad oggetto la violazione dell’art. 32 della l.n. 183/2010 poiché parte ricorrente incidentale si duole della valutazione della misura del danno riconosciuto.
3)-Per ragioni di priorità logica rispetto alla validità o meno del termine apposto, si valuta per primo il ricorso incidentale.
3 a)-Il primo motivo è infondato. Dalla lettura della impugnata sentenza emerge con chiarezza come la corte di merito (pg. 7) abbia evidenziato che il contratto stipulato tra le parti in data 17.6.2011, successivamente prorogato, non conteneva le ragioni determinatrici del termine poiché in esso era richiamato soltanto il D.lgs n. 368/2001 senza alcuna indicazione delle effettive causali giustificatrici dell’assunzione a termine, neppure ricavabili dagli atti prodromici all’assunzione.
Questa Corte ha chiarito che in tema di contratto a tempo determinato, costituisce regola generale l’obbligo di apporre nel contratto individuale di lavoro la ragione giustificativa del termine, la cui enunciazione deve essere specifica nel regime previsto dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (Cass. n. 23702/2013). Infatti l’art. 1 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, richiedendo l’indicazione, da parte del datore di lavoro, delle “specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, ha inteso stabilire, in conformità alla direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (sentenza del 23 aprile 2009, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04), un onere di indicazione sufficientemente dettagliata della causale con riguardo al contenuto, alla sua portata spazio-temporale e, più in generale, circostanziale, sì da assicurare la trasparenza e la verificabilità di tali ragioni. (Cass. n. 343/2015).
Rispetto a tali specifici oneri di chiarezza risulta pertanto coerente la decisione del giudice di appello che ha fatto corretta applicazione del dettato legislativo e dei principi sopra evidenziati.
3b)- Inammissibile è il secondo motivo del ricorso incidentale relativo alla valutazione e determinazione dell’indennità risarcitoria conseguente alla accertata nullità della clausola appositiva del termine.
La corte di merito ha condiviso la valutazione effettuata dal tribunale ritenendo che la liquidazione di cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto fosse proporzionata al caso di specie, considerata la durata del contratto, la gravità della violazione, il comportamento delle parti e le dimensioni aziendali. Si tratta di una valutazione di merito, non suscettibile di rivalutazione in sede di legittimità. Il giudice di appello, muovendosi nell’ambito del margine stabilito dalle norme (da 2,5 a 12 mensilità), ha prescelto la misura più coerente rispetto al caso concreto, tenuti presenti tutti i parametri di cui all’art. 8 della l. n. 604 del 1966, richiamati dall’art. 32 citato (in tal senso recentemente Cass. n. 36659/2022).
Il ricorso incidentale, per quanto detto, deve essere rigettato.
4)- Anche il ricorso principale deve essere rigettato.
4a)- Con la prima parte della censura il lavoratore si duole sostanzialmente della nullità del termine apposto al contratto in discussione assumendo di aver svolto mansioni di carattere continuativo e stabile non assegnate per fronteggiare una esigenza temporanea.
Tale doglianza non sembra confrontarsi con quanto già valutato dalla corte di appello che ha statuito proprio sulla nullità del termine apposto valutando l’illegittimità dello stesso.
Inconferenti risultano pertanto le argomentazioni e ragioni espresse a riguardo.
La seconda parte del motivo proposto si sofferma sulla natura privatistica del rapporto di lavoro esistito tra le parti e sulle regole privatistiche di gestione del rapporto pure utilizzate da una società a controllo pubblico, quale la società B.. In particolare, il ricorrente denuncia la mancata conversione in contratto a tempo indeterminato, sostenendo il contrasto tra la decisione di nullità della clausola appositiva del termine e la mancata conversione del contratto.
Anche tale profilo della censura risulta inconferente rispetto al dictum della corte territoriale che ben spiega (pg.8) perché, pur in presenza di un termine illegittimo, non si possa trasformare il contratto a tempo indeterminato.
Il giudice d’appello richiama infatti la natura di società a partecipazione pubblica quale elemento di preclusione per la invocata conversione del contratto. Tale statuizione risulta coerente con il dettato legislativo applicabile, ratione temporis, al caso di specie e con i principi espressi da questa Corte in tale materia.
Il rapporto di lavoro in esame ha avuto inizio il 17.6.2011; risulta poi incontestato che la società ricorrente abbia natura di società c.d. in house della Provincia di Varese e di alcuni Comuni di quel territorio. La stessa è dunque assoggettata, ratione temporis, alla disciplina del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. in l. n. 133 del 2008, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla l. n. 102 del 2009 di conversione del d.l. n. 78 del 2009.
A riguardo questa Corte ha avuto occasione di statuire che (Cass. 21378/2018) in tema di società cd. “in house”, il reclutamento del personale, a seguito dell’entrata in vigore del d.l. n. 112 del 2008, conv. con modif. in l. n. 133 del 2008, nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla l. n. 102 del 2009 di conversione del d.l. n. 78 del 2009, avviene secondo i criteri stabiliti dall’art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001, che impongono l’esperimento di procedure concorsuali o selettive, sicché la violazione di tali disposizioni, aventi carattere imperativo, impedisce la conversione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti a tempo indeterminato.
Come chiarito ulteriormente dal giudice d’appello la società B. ha anche approvato un Regolamento del personale in cui è espressamente previsto l’assoggettamento della società alle modalità di assunzione del personale secondo i criteri, le modalità ed i principi di cui al D.lvo n. 165/2001.
Rispetto a tali precisazioni ed alle specifiche statuizioni contenute in sentenza sono pertanto prive di fondamento le doglianze del lavoratore perché non si confrontano minimamente con il percorso decisionale del giudice d’appello che, si ripete, è coerente con disposti normativi e principi del diritto vivente.
La censura è pertanto infondata.
4b)- Altresì da rigettare è anche il secondo motivo del ricorso principale relativo alle spese del giudizio, compensate interamente dal giudice d’appello per entrambi i gradi.
A riguardo questa Corte ha chiarito il principio secondo cui “In tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 19613/2017).
Il principio pone dunque un limite al sindacato di legittimità prevedendone la possibilità con riguardo alla sola violazione del principio di soccombenza.
Nel caso di specie tale principio non risulta violato, avendo la corte territoriale regolato le spese, compensandole, con una complessiva valutazione dell’andamento del processo e della sorte delle diverse domande.
Anche il ricorso principale deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità sono da compensare in ragione della reciproca soccombenza.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale; rigetta in ricorso incidentale. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.