Corte di Cassazione sentenza n. 1317 depositata il 22 gennaio 2020
interpello disapplicativo – termini
RITENUTO CHE
Con istanza del 29.9.2011, la società Agricola B. srl, esercente attività di coltivazione di terreni, silvicoltura, allevamento di animali, chiedeva alla Direzione Regionale della Lombardia della Agenzia delle Entrate la disapplicazione, per l’anno 2010, delle disposizioni contenute nell’art. 30 legge n. 724 del 1994, evidenziando l’impossibilità oggettiva di conseguire ricavi nella misura minima prevista dalla suddetta norma.
L’ufficio dichiarava inammissibile l’istanza perchè tardiva, in quanto sottoposta all’ufficio meno di novanta giorni prima della scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, e anzi essendo stata presentata appena il giorno prima di tale scadenza, che cadeva il 30.9.2011.
La società impugnava tale provvedimento davanti alla CTP di Milano evidenziando, tra l’altro, l’inesistenza di un termine entro il quale l’istanza di interpello deve essere formulata a pena di inammissibilità, e l’inapplicabilità della disciplina delle società di comodo.
L’ufficio contestava l’impugnabilità della dichiarazione di inammissibilità di interpello, in quanto atto non previsto dall’art. 19 d. Ivo n. 546 del 1992, e l’infondatezza nel merito dell’interpello.
La CTP accoglieva il ricorso della società, ritenendo l’atto impugnabile.
L’ufficio proponeva appello davanti alla CTR della Lombardia, e quest’ultima rigettava l’impugnazione.
Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre a questa Corte l’ufficio sulla base di quattro motivi.
La società non si è costituita.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo l’ufficio deduce violazione degli art. 100 c.p.c., 37-bis, comma 8, dpr n. 600 del 1973, 30, comma 4-bis, della legge n. 724 del 1994 e 19 d. Ivo 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
La CTR ha commesso error in procedendo laddove ha ritenuto la risposta ad interpello antielusivo ex art. 37-bis comma 8 dpr 600 del 1973 atto autonomamente impugnabile, non contenendo alcuna pretesa impositiva.
Con il secondo motivo l’ufficio deduce violazione degli art. 100 c.p.c., 37-bis, comma 8, dpr n. 600 del 1973, 30, comma 4-bis, della legge n. 724 del 1994 e 19 d. Ivo 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
La CTR ha commesso error in judicando laddove ha ritenuto la risposta ad interpello antielusivo ex art. 37-bis comma 8 dpr 600 del 1973 atto autonomamente impugnabile, non contenendo alcuna pretesa impositiva.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente atteso l’oggetto comune, prospettato sotto diversi punti di vista, sono infondati.
Questa Corte ha avuto modo di affermare, in maniera ormai piuttosto costante nel tempo (quanto meno da sez. V, n. 8663 del 2011 e sez. V. n. 17010 del 2012) che la risposta negativa all’interpello disapplicativo, nel regime anteriore alla riforma del 2015, è atto impugnabile autonomamente, ed il principio è stato confermato successivamente (si veda al riguardo, ancora di recente, sez V n. 12150 del 2019, sez. V n. 18605 del 2019 ed ancora sez. V, n. 5574 del 2019, n. 32962, n. 16120, n. 12353, n. 7497, n. 6466, n. 3775 del 2018, n. 28180, n. 25498, n. 23469, n. 23464, n. 16962, n. 13963 del 2017).
Il principio espresso, molto sinteticamente, dalla CTR sul punto è, quindi, corretto.
Con il terzo motivo deduce violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, 156 e 324 c.p.c., 118 e 124 disp. att. c.p.c., 36, comma 2, n. 4, 61 del d. Ivo n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.
La sentenza è nulla per carenza di motivazione, compiendo un mero rinvio alla giurisprudenza di legittimità senza dare conto del percorso logico seguito per giungere alla decisione, e facendo riferimento a sentenze sulla stessa questione favorevoli al contribuente per altre annualità, senza neppure indicarne il contenuto.
Il motivo è infondato.
La CTR ha infatti espresso, certamente in maniera sintetica, ma non per questo viziata da assenza di motivazione o motivazione apparente, il principio secondo cui la declaratoria di inammissibilità dell’interpello da parte dell’ufficio per tardività era illegittima, in quanto basata sulla asserita scadenza di un termine non previsto da alcuna norma.
Si comprende, quindi, appieno la ragione per cui la CTR ha respinto l’appello.
Con il quarto motivo deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 37-bis, comma 8, dpr 600 del 1973, 30, comma 4-bis, legge n. 724 del 1994, 1 d.m. 19.6.1998 n. 259, 1, 10 e 11 della legge n. 212 del 2000 ed 1 del d.m.26.4.2001 n. 299, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
La CTR non ha tenuto conto del fatto che l’esigenza che l’interpello disapplicativo sia presentato entro un congruo termine anteriore a quello di scadenza della presentazione della dichiarazione dei redditi risponde ad esigenze di certezza, chiarezza, leale collaborazione e buona fede nei rapporti tra contribuente ed amministrazione.
Nella specie, l’interpello fu presentato appena il giorno prima di tale scadenza. La CTR avrebbe pertanto errato nell’interpretazione di tali norme.
Il motivo è infondato.
Una volta ammesso che sia impugnabile autonomamente il diniego, questo motivo attiene al merito della questione: l’ufficio, nel caso di specie, aveva dichiarato inammissibile l’interpello perché tardivo, in quanto presentato appena il giorno prima della scadenza della dichiarazione; l’ufficio ritiene che l’istanza vada presentata in un termine congruo anteriore, almeno il termine tale da consentire la risposta, e quindi novanta giorni prima della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione.
Su tale questione, la CTR afferma sinteticamente che l’interpello non poteva essere dichiarato inammissibile perché la decadenza dichiarata dall’ufficio non è fondata su alcuna norma, dato che non esistono norme che impongano termini per presentare l’interpello disapplicativo, diversi da quello del momento di presentazione della dichiarazione, tra l’altro desumibile dal solo fatto che l’interpello deve essere “preventivo”.
Quindi la CTR, in sostanza, seppure sinteticamente, ha risposto alla questione che l’ufficio aveva dedotto specificamente in appello (pag. 7 ricorso, nota 5), considerato che già la CTP aveva annullato il diniego di interpello basato sulla tardività di quest’ultimo, affermando che tale tardività non era desumibile da alcuna norma.
Ed, in effetti, come detto, non vi sono norme che regolino specificamente il problema.
Il d.m. 259 del 1998 sulle modalità di presentazione degli interpelli disapplicativi, tra l’altro, all’art. 1, comma 2, sanziona con l’inammissibilità soltanto la mancanza, nell’istanza di interpello, dei seguenti elementi:
a) i dati identificati del contribuente e del suo legale rappresentante;
b) l’indicazione dell’eventuale domiciliatario presso il quale sono effettuate le comunicazioni;
c) la sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante,
e non, quindi, la sua presentazione meno di novanta giorni prima del termine di presentazione della dichiarazione. In realtà, tale decreto non afferma nulla sul termine, ma dispone soltanto che l’ufficio deve rispondere entro novanta giorni.
Da questa previsione, che però non riguarda il termine per la presentazione dell’interpello, l’ufficio fa discendere la conseguenza per cui, se il contribuente vuole avere una risposta in tempo utile per la dichiarazione, deve presentare l’interpello almeno novanta giorni prima della scadenza del termine di presentazione di quest’ultima, determinandone altrimenti l’inammissibilità.
L’Agenzia nella circolare 32/e del 2010 sugli interpelli, (vigente quindi all’epoca dei fatti di causa) aveva infatti chiarito, sul requisito della “preventività”, che
Analoghe considerazioni valgono, più in generale, per le istanze di disapplicazione presentate ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del dPR n. 600 del 1973, per le quali l’istanza è preventiva se presentata novanta giorni prima della scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui l’operazione straordinaria è stata posta in essere; tali considerazioni valgono ancorché il contribuente possa utilizzare anche in successivi periodi d’imposta i componenti reddituali oggetto dell’istanza di interpello (alla luce degli eventuali limiti fissati dalla legge in chiave antielusiva), in quanto tali componenti costituiscono oggetto di evidenziazione già nella dichiarazione relativa all’esercizio in cui è avvenuta l’operazione straordinaria. Il difetto del requisito della preventività, secondo quanto appena indicato, comporta l’inammissibilità degli interpelli ed agli stessi, come più volte ricordato, non verrà fornita alcuna risposta nel merito, nemmeno a titolo di consulenza giuridica.
Tuttavia ritiene questo collegio che l’interpello è preventivo quando è presentato prima che il contribuente ponga in essere il comportamento oggetto dell’istanza, per cui, se il comportamento trova attuazione nella dichiarazione, l’interpello è preventivo se proposto prima della scadenza del termine di presentazione della dichiarazione, e non novanta giorni prima della scadenza di tale termine.
La mancanza di una norma, primaria o secondaria, che chiarisca che per “preventivo” si intende che l’interpello debba essere presentato almeno novanta giorni prima della scadenza del termine per la dichiarazione (non potendosi interpretare in tal senso la previsione secondo cui l’ufficio deve rispondere entro novanta giorni), fa sì che un interpello sottoposto all’ufficio entro un termine più breve dei suddetti novanta giorni, purchè prima della scadenza della data di presentazione della dichiarazione, non possa considerarsi inammissibile.
La circolare è un documento di prassi, con considerazioni di una parte, e non può stabilire sanzioni procedimentali non previste dalla legge.
Oltretutto, è stato notato in dottrina, e questo collegio condivide tali considerazioni, che la tesi dell’ufficio non considera l’eventualità che l’Agenzia richieda ulteriore documentazione a supporto dell’istanza, circostanza che sospende i termini per la risposta di cui all’art. 1, comma 6, del D.M. 259/1998; inoltre, non considera né la possibilità di un invio della dichiarazione dei redditi oltre il termine ordinario, purché con un ritardo non superiore a novanta giorni, senza per questo incorrere nell’omessa dichiarazione, né la facoltà data al contribuente di presentare una dichiarazione integrativa quanto meno entro il termine per la presentazione della dichiarazione del periodo di imposta successivo.
La prima questione, in particolare, attiene alla procedura che si attiva al momento di presentazione di un’istanza di interpello ai sensi dell’art. 37 bis, comma 8, del D.P.R. 600/1973. Nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate non sia in grado di formulare una risposta sulla base degli elementi contenuti nell’istanza e nei relativi allegati, infatti, potrà richiedere al contribuente di integrare le informazioni ed i documenti presentati, e tale richiesta sospende il termine di novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza, di cui al già citato comma 6, per l’emanazione del provvedimento definitivo. La sospensione permane fino al giorno in cui l’Amministrazione riceve la risposta da parte del contribuente istante. Pertanto, si è affermato, la circostanza che la stessa Agenzia sospenda il termine per la risposta, in ottemperanza alle regole procedimentali, fa venir meno la ratio del requisito di preventività che sembrerebbe essere quella di garantire una risposta tempestiva entro il giorno ultimo di presentazione delle dichiarazione dei redditi e, quindi, di garantire una certezza nel comportamento che il contribuente deve adottare.
Ora, è certamente indubbio che il principio di leale collaborazione dovrebbe portare anche il contribuente a presentare l’interpello in tempo utile per avere una risposta dall’amministrazione, ma a ciò si può replicare che se il contribuente non presenta l’interpello in tempo utile per avere una risposta prima del termine per la dichiarazione, non è certo per questo esonerato dalla presentazione della stessa, in quel caso senza potersi avvalere, qualora si tratti di interpello disapplicativo, della richiesta disapplicazione delle relative norme.
In altri termini, se il contribuente non ha ancora avuto risposta al momento di presentazione della dichiarazione, deve adempiere i propri obblighi come se la richiesta disapplicazione non fosse stata concessa, salvo regolare, ove possibile, la situazione successivamente, ma questo non significa che l’interpello sia tardivo.
La presentazione dell’interpello in tempo utile risponde, quindi, anche ad un interesse del contribuente, e non solo dell’amministrazione; se è lo stesso contribuente a non porsi in questa situazione, non potrà usufruire – al momento della presentazione della dichiarazione – delle conseguenze favorevoli che una risposta positiva all’interpello avrebbe determinato, ma da questo non discende l’inammissibilità dell’interpello.
A differenza dell’interpello ordinario, di cui all’art. 11 legge 212 del 2000, di cui la legge stessa prevedeva – anche nella versione ante 2015 – la vincolatività della risposta rispetto al contribuente, con esclusivo riferimento alla questione specifica – elemento da cui si poteva argomentare la necessità di presentazione prima della scadenza del termine per la risposta da parte dell’ufficio, in modo che il contribuente potesse utilizzare tale risposta in dichiarazione -, l’art. 37-bis dpr 600 del 1973, sempre nella versione anteriore al 2015, non prevedeva tale vincolatività, per cui anche tale possibile argomento a sostegno dell’interpretazione di “preventività” nel senso invocato dall’ufficio viene meno, e la decisione di questa Corte sez. V n. 16331 del 2014 non è applicabile al riguardo.
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
Non essendo costituito il contribuente, non occorre provvedere sulle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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