Corte di Cassazione sentenza n. 30485 depositata il 2 novembre 2023

revocazione – la falsa percezione di norme giuridiche, anche se indotta da errata percezione di interpretazioni fornite da precedenti indirizzi giurisprudenziali, integra gli estremi dell’error iuris, sia nel caso di obliterazione delle norme medesime (riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione), sia nel caso di distorsione dei loro effetti 

FATTI DI CAUSA

1. Secondo quanto emerge dalla sentenza oggetto di revocazione, l’Agenzia delle entrate aveva indirizzato alla s.p.a. N.S., nella qualità di controllante, atto di recupero concernente compensazioni dell’IVA di gruppo liquidata in relazione a un credito riferibile alla controllata N.F. s.r.l. che a giudizio dell’Ufficio scaturiva da operazioni inesistenti.

2. La contribuente aveva impugnato l’atto senza esito in primo grado, mentre la Commissione tributaria regionale (CTR) della Campania, con la sentenza n. 191/23/13, aveva accolto l’appello della società, sostenendo che ad essa l’Agenzia avrebbe dovuto, in quanto coobbligata solidale della controllata, notificare l’avviso di accertamento prodromico al recupero.

3. Contro questa sentenza aveva proposto ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione (proc. 1126/14 RG), sulla base di tre motivi, cui la contribuente replicava con controricorso, seguito da istanza con la quale aveva rappresentato la circostanza dell’intervenuta dichiarazione di amministrazione straordinaria e corredato di memoria.

4. Contestualmente, tra le parti era pendente altro giudizio, relativo all’escussione da parte dell’Agenzia della polizza fideiussoria rilasciata a suo beneficio da Assitalia; successivamente a tale escussione, la contribuente aveva chiesto il rimborso del relativo importo, provvedendo a impugnare il relativo silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione.

5. La Commissione tributaria provinciale (CTP) aveva respinto il ricorso e quella regionale, con sentenza n. 184/2016, aveva rigettato il successivo appello proposto dalla contribuente, sostenendo al riguardo che, sebbene l’atto di recupero dell’Agenzia fosse stato annullato con l’indicata sentenza n. 191/23/13, era da ritenere corretta la sospensione della disponibilità della somma, sino alla definizione del rapporto.

6. Contro questa sentenza aveva proposto ricorso la società per ottenerne la cassazione (proc. n. 17544/16 RG), articolato in due motivi, mentre l’Agenzia aveva replicato con controricorso.

7. Con la sentenza n. 1286/2020 depositata il 22.1.2020, questa Corte, riuniti i ricorsi, con riguardo al procedimento n. 1126/14 RG aveva accolto il secondo motivo dell’Agenzia delle entrate, dichiarato inammissibile il primo e assorbito il terzo, cassando la sentenza impugnata di conseguenza; non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti di fatto, aveva deciso nel merito il giudizio col rigetto dell’impugnazione originariamente proposta, mentre, con riguardo al procedimento n. 17544/16 RG, aveva dichiarato la sopravvenuta carenza d’interesse ad agire in relazione al primo motivo del ricorso e infondato il secondo motivo.

8. Avverso questa pronunzia ha proposto ricorso per revocazione la N.S. srl a socio unico in amministrazione straordinaria.

9. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deve premettersi che, secondo quanto risulta dalla sentenza di questa Corte, la CTR della Campania aveva accolto l’appello della società controllante, «sostenendo che a essa l’Agenzia avrebbe dovuto, in quanto coobbligata solidale della controllata, notificare l’avviso di accertamento prodromico al recupero». Con il motivo accolto, proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., l’Agenzia aveva lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 73, u.c., del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e del d.m. 13 dicembre 1979, «là dove il giudice d’appello ha affermato la nullità dell’atto di recupero per mancanza di titolo, dovuta all’omessa notificazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società controllata».

2. La Corte aveva ritenuto il motivo fondato sulla scorta della seguente motivazione: «In relazione alla medesima società, e in analoga fattispecie, questa Corte (con sentenza 18 maggio 2016, n. 10207) ha già affermato che, in tema di liquidazione dell’iva di gruppo, nel regime dell’art. 73, 3° comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, ratione temporis vigente, la speciale modalità di compensazione infragruppo dell’obbligazione tributaria, che consente il sollecito rimborso dei crediti iva vantati da una, o da alcune società del gruppo, mediante compensazione con l’eventuale iva a debito delle altre del medesimo gruppo, presuppone che la controllante presenti, unitamente al prospetto di liquidazione, la propria dichiarazione e quelle delle controllate, di cui fa propri i contenuti tramite la sottoscrizione del proprio legale rappresentante. Per conseguenza l’attività di controllo e accertamento è legittimamente esercitata, senza necessità di pregiudiziali rettifiche alle controllate, nei confronti della sola controllante e, cioè, del soggetto fiscale sul quale ricadono gli obblighi della dichiarazione ed a favore del quale matura il diritto ad ottenere il rimborso o la compensazione dell’eccedenza detraibile».

3. Secondo la ricorrente, la Corte è incorsa in errore revocatorio presupponendo, in punto di fatto, la mancata notifica alla controllata dell’avviso di accertamento prodromico al recupero nei confronti di N.S. e l’avvenuta notifica del suddetto avviso di accertamento nei confronti della controllante. Invece, prosegue la società, dagli atti di causa emerge che il presupposto di fatto rilevante era un altro, cioè l’omessa notifica alla controllante dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della controllata.

4. La stessa ricorrente trova conferma del denunziato errore nel riferimento alla «analoga fattispecie» esaminata dalla citata sentenza n. 10207/2016, in cui l’avviso di accertamento era stato notificato alla controllante e non alla controllata e ricorreva, quindi, l’ipotesi inversa a quella all’esame della Corte, osservando altresì la decisività dell’errore, in mancanza del quale la stessa Corte avrebbe rigettato il ricorso dell’Ufficio.

5. Il ricorso è inammissibile in quanto l’asserito errore riguarda il piano della valutazione e interpretazione e non presenta i caratteri dell’errore di fatto che può dar luogo alla revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c.

6. Va premesso che la revocazione dei provvedimenti della Corte di Cassazione è consentita soltanto nel caso previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c. di “errore percettivo” che consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto la cui verità sia incontestabilmente esclusa ovvero l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita dagli atti o documenti di causa, qualora il fatto non sia stato un punto controverso oggetto della sentenza impugnata (Cass. n. 37382 del 2022; Cass. n. 25752 del 2022).

7. A questa stregua, la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. n. 10040 del 2022; Cass. n. 20635 del 2017) e ricadenti su un punto controverso (Cass. n. 2236 del 2022).

8. In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha specificato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c. idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., deve: «1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri dell’evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo» (Cass. n. 11744 del 2021).

9. Non può affermarsi inequivocabilmente che la Corte sia incorsa nel dedotto errore – aver ritenuto, cioè, l’omessa notifica dell’avviso di accertamento nei confronti della controllata anziché della controllante – atteso che dalla sentenza della Corte risulta ben chiaro che nel caso in esame l’avviso di accertamento non era stato notificato alla controllante, come si desume dalla sintetica esposizione delle ragioni della impugnata decisione della CTR sopra riportata; anche laddove si trascrive il primo motivo di ricorso, quello dichiarato inammissibile, la Corte riporta esattamente la questione di fatto («la Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel ritenere che il primo motivo d’appello concernesse il tema dell’omessa notificazione dell’accertamento alla controllante»); lo stesso motivo accolto, con cui l’Agenzia lamentava «la violazione e falsa applicazione dell’art. 73, u.c., del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e del d.m. 13 dicembre 1979, là dove il giudice d’appello ha affermato la nullità dell’atto di recupero per mancanza di titolo, dovuta all’omessa notificazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della controllata», può essere letto nel senso di un implicito riferimento dell’omessa notificazione alla controllante, e non alla controllata, in linea con il ricorso dell’Ufficio che censurava la pronunzia della CTR per aver ritenuto l’atto impugnato dalla controllante «nullo per mancanza di titolo, per il fatto che non è stato ad Essa notificato l’atto di accertamento emesso nei confronti della società controllata» (enfasi aggiunta, v. trascrizione a pag. 20 del ricorso della società).

10. Ancora, il fatto su cui sarebbe caduto l’errore revocatorio (omessa notifica di avviso di accertamento alla controllante) ha costituito un punto oggetto di discussione tra le parti, tanto è vero che su di esso si fonda la sentenza della CTR impugnata dall’Agenzia, la quale ha proprio contestato, con il motivo accolto, che il recupero verso la controllante dovesse essere preceduto dalla notifica di avviso di accertamento nei confronti di questa; la Corte ha esaminato questa questione e ha individuato il principio di diritto applicabile, a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali, dando rilevanza decisiva al fatto che «la controllante presenti, unitamente al prospetto di liquidazione, la propria dichiarazione e quelle delle controllate, di cui fa propri i contenuti tramite la sottoscrizione del proprio legale rappresentante»; la circostanza che la regola sia stata tratta da una pronuncia che si occupava del caso inverso (omessa notifica alla controllata) non dimostra l’errore di fatto revocatorio alla base della decisione ma piuttosto conferma che ci si muove sul piano della valutazione degli atti e dell’interpretazione di norme e dei precedenti giurisprudenziali.

11. Invero, la falsa percezione di norme giuridiche, anche se indotta da errata percezione di interpretazioni fornite da precedenti indirizzi giurisprudenziali, integra gli estremi dell’error iuris, sia nel caso di obliterazione delle norme medesime (riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione), sia nel caso di distorsione dei loro effetti (Cass. n. 4584 del 2020; Cass. n. 29922 del 2011); quindi, esperiti tutti i possibili rimedi apprestati dalla legge, la decisione finale emessa in sede di legittimità è destinata a passare in giudicato, in senso sia formale che sostanziale, senza possibilità – a parte i casi eccezionali previsti dagli art. 395 e 404 cod. proc. civ. – che la stessa sia rimessa in discussione (Cass. n. 14840 del 16/11/2000; Cass. n. 27094 del 2011; Cass. n. 9527 del 2019).

12. Conclusivamente, dichiarato inammissibile il ricorso, le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 33.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;

ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13