CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 31365 depositata il 10 novembre 2023
Lavoro – Assegno sociale – Condanna con sentenza passata in giudicato – Revoca – Questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 2 commi 60 e 61 della Legge n. 92/21 – Estinzione del giudizio per rinuncia
Svolgimento del processo
Con sentenza del giorno 16.12.2021 n. 654, la Corte d’appello di L’Aquila respingeva il gravame proposto da G.O. quale tutore giudiziale di B.G., avverso la sentenza del Tribunale di Sulmona che aveva rigettato la domanda volta ad accertare l’illegittimità del provvedimento dell’Inps di sospensione dell’assegno sociale e di ripristino di detta prestazione, ritenendo che il comma 61 dell’art. 2 della legge n. 92 del 2012 che ne imponeva la revoca per coloro che risultassero già condannati con sentenza passata in giudicato (alla data di entrata in vigore della legge) per i reati di cui al comma 58 della medesima legge, non era riconducibile all’ambito di applicazione dell’art. 25 comma 2 Cost. e non contrastava con il principio di cui all’art. 38 Cost.
La Corte d’appello, per quanto ancora d’interesse, a supporto degli assunti di rigetto del gravame di G.O. n.q., ha richiamato, in via preliminare, la sentenza n. 137/21 della Corte Costituzionale che aveva accolto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 comma 61 della legge n. 92/12, in riferimento agli artt. 3, 25 e 38, sollevata dal tribunale di Roma, nonché in via conseguenziale dell’art. 2 comma 58 della medesima legge, nella parte in cui prevedeva la revoca di una serie di prestazioni previdenziali, tra cui l’assegno sociale, nei confronti di coloro che scontano una pena, in regime alternativo alla detenzione in carcere. Sulla base di ciò, la Corte del merito ha evidenziato come la Corte Costituzionale, pur riconoscendo al legislatore la facoltà di circoscrivere la platea dei beneficiari delle prestazioni sociali, ha affermato che la possibilità di modulare la disciplina delle misure assistenziali non può pregiudicare quelle prestazioni che si configurano come misure di sostegno, indispensabili per una vita dignitosa, come quella oggetto di controversia, diretta al sostentamento della persona, nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili e alla tutela di bisogni primari della persona, al fine di garantire un minimo vitale di sussistenza a presidio del nucleo essenziale e indefettibile del diritto al mantenimento, garantito a ogni cittadino inabile al lavoro. La medesima Corte costituzionale ha ritenuto che la revoca dei trattamenti assistenziali può concretamente comportare il rischio che il condannato ammesso a scontare la pena in regime di detenzione domiciliare o in altro regime alternativo alla detenzione in carcere, poiché non a carico dell’Istituto carcerario, non disponga di mezzi sufficienti per la propria sussistenza. Ciò detto, la Corte distrettuale rilevato come l’appellante risultava detenuto in carcere per scontare la pena dell’ergastolo ed anche altra pena detentiva, nella specie, la revoca della prestazione in oggetto non
avrebbe inciso sulle sue condizioni di vita e sulla necessità di assicurare il mantenimento dell’appellante stesso. Non riteneva, infine, incidente sulla fattispecie, il nuovo rinvio alla Corte costituzionale, per il riesame delle stesse norme di legge.
Avverso tale sentenza, G.O. quale tutore giudiziale di B.G. ricorre per cassazione, sulla base di un motivo, illustrato da memoria, mentre l’Inps resiste con controricorso.
Il PG ha concluso nel senso dell’inammissibilità e/o del rigetto del ricorso.
Il Collegio riserva ordinanza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della presente decisione in camera di consiglio.
Motivi della decisione
Con il motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 25 comma 2 e 117 comma 1 Cost., in combinato disposto con gli artt. 6 e 7 CEDU, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente, la Corte d’appello non aveva atteso che si fosse pronunciata la Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte di appello di Venezia, della norma di cui all’art. 2 commi 60 e 61 della legge n. 92/21 (ndr art. 2 commi 60 e 61 della legge n. 92/12), ritenendo che tutto fosse stato già risolto con la sentenza n. 137/21 Corte Cost. e che la soluzione della presente controversia dipendesse automaticamente e direttamente dal regime detentivo cui il richiedente la prestazione previdenziale era sottoposto – detenzione domiciliare ovvero detenzione in carcere – facendo discendere solo da tale circostanza, la soluzione, ai fini del decidere, della ammissibilità e rilevanza nel presente giudizio della nuova questione di legittimità costituzionale.
In via preliminare e dirimente, va rilevato come il ricorrente ha dichiarato di rinunciare al ricorso in oggetto, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 169/23 del 6.6.23 (cfr, anche Corte Cost. n. 137/21) che ha deciso la questione di costituzionalità direttamente incidente sull’oggetto del procedimento. Inoltre, nelle more del giudizio, il B. aveva integralmente espiato la pena inflitta, potendo oggi esercitare i propri diritti personalmente, senza più necessità di un tutore giudiziale, potendo nuovamente accedere personalmente alle varie prestazioni previdenziali e non avendo, pertanto, più interesse a coltivare il presente ricorso in cassazione.
Va, pertanto, dichiarata l’estinzione del giudizio per rinuncia.
La sopraggiunta carenza di interesse che ha determinato la rinunzia nel procedimento di natura previdenziale e la mancanza di un’opposizione dell’Inps, rappresentano elementi atti a giustificare la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Dichiara estinto il giudizio per rinuncia.
Spese compensate.
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