Corte di Cassazione, sentenza n. 33159 depositata il 29 novembre 2023
anatocismo – prova anche con la sola CTU
Fatti di causa
La società N.V. convenne U. s.p.a. dinanzi al tribunale di Gorizia chiedendo che fosse dichiarata la nullità parziale di alcuni contratti di conto corrente, taluni già estinti e altri ancora in essere, con specifico riferimento alla capitalizzazione dell’interesse anatocistico, alla determinazione del saggio ultralegale e alla commissione di massimo scoperto. Chiese in consecuzione la rettifica del saldo dei conti attivi e la ripetizione di quanto indebitamente pagato per il saldo passivo di quelli chiusi.
Il tribunale accolse la domanda per quanto di ragione.
La sentenza, impugnata da U., è stata riformata dalla corte d’appello di Trieste, sull’essenziale rilievo che l’attrice, pur allegandone l’esistenza, non aveva prodotto i contratti di conto corrente ai quali riferire le doglianze.
La corte d’appello ha osservato che la mancata produzione rendeva impossibile stabilire se le clausole menzionate fossero o meno in effetti in contrasto con la normativa vigente al momento della loro stipulazione, e che non doveva darsi ingresso all’ordine di esibizione in
funzione di supplenza rispetto a un onere probatorio non assolto, anche in relazione all’art. 119 del T.u.b.
La società N.V. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo nove motivi, illustrati da memoria.
La banca ha replicato con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 2074-23 la causa è stata rimessa in pubblica udienza e la ricorrente ha depositato una seconda memoria difensiva.
Ragioni della decisione
I – Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 25 e 326 cod. proc. civ. perché in sede di appello U. aveva dimesso soltanto la copia stampata della notifica dell’atto ricevuto per Pec, priva di qualsivoglia attestazione di conformità; il che si assume che avrebbe comportato l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello stesso, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio.
Col secondo mezzo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 2033, 2697, 2726, 2729 cod. civ., 61, 115 e 116 cod. proc. civ, 34 stesso codice per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto che nell’azione di ripetizione di indebito la prova della causa debendi potesse essere data esclusivamente con la produzione dei contratti di conto corrente, non considerando invece che i contratti possono essere provati con ogni mezzo.
Col terzo mezzo è ancora dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 24 Cost, 2033, 2697, 2726 e 2729 cod. civ., 1283 e 1284 stesso codice, 61, 115, 167, e 116 cod. proc. civ., 119 e 117 del d. lgs. n. 385/1993 (T.U.B.), per avere la corte d’appello, anche in conseguenza di quanto sopra, (i) mancato di valutare i fatti e documenti allegati in causa – e cioè gli estratti dei conti correnti – al fine di dimostrare l’inesistenza della causa debendi, cosi come accertato in sede di c.t.u. percipiente, (ii) mancato di applicare il principio di non contestazione; (iii) mancato altresì di applicare il principio secondo cui
la mancata specifica contestazione di un fatto costitutivo del diritto dedotto da uno dei due contendenti lo rende incontroverso e non più bisognevole di prova; così da superare la questione della omessa produzione in giudizio dei contratti di conto corrente.
Col quarto e col quinto motivo la ricorrente ulteriormente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 198, 210, 212, 61 cod. proc. civ., 2697 e 2711 cod. civ. artt. 119 e 117 del T.u.b. 7 del d.lgs. n. 196 del 2003, con riferimento agli artt. 1374 e 1375 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., a proposito della ritenuta inammissibilità dell’istanza volta a ottenere nei confronti dell’istituto bancario convenuto l’ordine di esibizione, e ciò benché l’istanza dovesse intendersi proposta anche ai sensi dell’art. 119 del T.u.b.
Il sesto motivo è volto a denunziare la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2033 cod. civ., 115, 116, 61 e 62 cod. proc. civ., 1283 e 1284 cod. civ., 119 e 117 del T.u.b. con riferimento agli artt. 1374 e 1375 cod. civ., perché l’insussistenza della causa debendi sarebbe stata ritenuta in relazione diretta con i contratti di conto corrente, mentre la stessa andava individuata nell’accertamento in concreto dell’applicazione delle clausole nulle, e non quindi nella loro mera pattuizione negoziale.
Col settimo motivo è denunziata la nullità della sentenza ex artt. 111 cost. e 132 cod. proc. civ., per mancanza o apparenza della motivazione.
Con l’ottavo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 116, 61 e 62 cod. proc. civ., 1283 e 1284 cod. civ., 119 e 117 del T.u.b., per avere l’impugnata sentenza invertito l’onere della prova in relazione alle domande giudizialmente proposte, spettando semmai all’intimata banca produrre in causa i contratti di conto corrente che rappresenterebbero il titolo degli addebiti oggetto di causa.
Infine col nono mezzo è dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per avere la corte territoriale mancato di considerare la c.t.u., che avrebbe consentito di verificare la concreta applicazione delle clausole di cui si era invocata la nullità sulla scorta degli estratti conto dimessi in primo grado.
II. – Il primo motivo è manifestamente infondato.
L’art. 347 cod. proc. civ. prevede che l’appellante inserisca nel proprio fascicolo semplicemente la sentenza impugnata.
Tale precetto non è corredato da sanzione processuale.
La mancanza in atti della sentenza impugnata non comporta la declaratoria d’improcedibilità dell’appello, non essendo questa prevista dall’art. 347 citato; tanto che non è preclusa la decisione di merito ove, per esempio, il contenuto della sentenza impugnata sia desumibile in modo non equivoco dall’atto di appello (v. Cass. Sez. 6-1 n. 12751-21). Che dunque, in sede di appello, l’impugnante abbia prodotto la sentenza impugnata, notificata a mezzo Pec, senza attestare la conformità della ricevuta di notificazione, non ha alcuna conseguenza sull’ammissibilità (o sulla procedibilità) del giudizio.
La ricorrente, da questo punto di vista, confonde il piano d’indagine rispetto al giudizio di cassazione, cui unicamente pertiene la diversa regola dell’art. 369 cod. proc. civ.
È al ricorso per cassazione, e non all’appello, che va correlato il principio di diritto affermato dalla decisione (Cass. Sez. 3 n. 17450-17) richiamata a sostegno della censura; decisione alla quale ben possono aggiungersene altre di eguale segno (cosa che del resto la ricorrente ha fatto in memoria), senza però che abbiano alcuna attinenza al caso di specie.
III. – In ordine logico va ora esaminato il settimo motivo, col quale si denunzia la nullità della sentenza per motivazione apparente.
Il motivo non ha alcun fondamento.
La corte d’appello ha spiegato la ragione per la quale le domande di nullità parziale dei contratti di conto non potevano essere accolte.
Lo ha fatto indicando come essenziale la circostanza della mancata produzione dei contratti stessi, dei quali l’attrice pur aveva allegato l’avvenuta stipulazione per iscritto, con la conseguenza della impossibilità di apprezzamento dell’effettivo contenuto delle clausole tacciate di nullità.
La motivazione – contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – rende pienamente conto della ratio decisionale.
IV. – Sempre procedendo in ordine logico, è infondato anche l’ottavo mezzo, giacché correttamente la corte d’appello ha ritenuto che l’onere della prova del contenuto delle clausole negoziali, delle quali era stata affermata la nullità, dovesse incombere all’attrice.
Si tratta di una inattaccabile applicazione dell’art. 2697 cod. civ. quanto alle azioni di nullità negoziale.
Secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, è il correntista, che agisce in via di ripetizione, il soggetto tenuto a fornire la prova che talune delle somme percepite dalla banca come appostate sul conto a debito del cliente siano prive di una valida causa debendi (cfr., per tutte, Cass. Sez. 6-1 n. 24948-17).
Che poi, in materia di conto corrente bancario, il correntista che agisca per ottenere la declaratoria di nullità di determinate clausole contrattuali possa limitare la domanda di ripetizione alle sole somme percepite dalla banca in dipendenza di quelle clausole, limitando, quindi, la prova del quantum al periodo temporale rispetto al quale è stata formulata la domanda – come assume un certo, ancorché non pacifico, indirizzo giurisprudenziale (v. Cass. Sez. 6-1 n. 5887-21, Cass. Sez. 6- 1 n. 29190-20, ma contra Cass. Sez. 1 n. 30822-18) – è questione che nella specie non interessa, visto che attiene appunto al profilo conseguente (della ripetizione), non a quello della nullità; così che il collegio resta esonerato dall’onere di prender posizione sulla medesima. Nel caso specifico la corte d’appello ha reso la decisione non sul presupposto dell’impossibilità di ricostruzione del saldo dei conti correnti quale effetto della nullità delle clausole, quanto piuttosto sul rilievo – assolutamente preliminare – d’impossibilità di apprezzamento del contenuto delle clausole stesse, che l’attrice – con l’avallo della sentenza di primo grado – aveva affermato in contrasto con la normativa di settore pro tempore vigente.
E questa Corte ha validato un simile criterio di giudizio, nel momento in cui ha stabilito che nei rapporti di conto corrente bancario il cliente, che agisca per ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate in presenza di clausole nulle, ha l’onere di provare l’inesistenza della causa giustificativa dei pagamenti effettuati mediante la produzione del contratto che contiene siffatte clausole, senza poter invocare il principio di vicinanza della prova al fine di spostare detto onere in capo alla banca, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti, almeno di regola, acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione (Cass. Sez. 6-1 n. 33009-19).
V. – La puntualizzazione è sufficiente a spiegare l’inammissibilità del secondo e del nono motivo di ricorso.
Il secondo motivo si risolve in una argomentazione in concreto non rilevante.
In termini generali non si dubita che anche con altri mezzi di prova, quali le presunzioni o gli argomenti di prova ricavabili dal comportamento processuale della controparte (valorizzabile ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ.), sia possibile raggiungere lo scopo di dimostrare l’assenza dei fatti costitutivi del diritto azionato (v. per es. Cass. Sez. 1 n. 1550-22, Cass. Sez. 1 n. 33874-22, Cass. Sez. 1 n. 35258-22). Ove questo accada, la produzione del contratto a base del rapporto bancario può risultare non indispensabile, e a volte, per converso, neppure sufficiente, visto che anche esibito il contratto resta possibile che l’accordo sia stato stipulato con un atto diverso e successivo.
Nondimeno la non indispensabilità riposa – giustappunto – nell’evenienza che con altri mezzi di prova, quali le presunzioni o gli argomenti di prova ricavabili dal comportamento processuale della controparte, sia possibile affermare che è dimostrato il contenuto delle pattuizioni, e di conseguenza la loro invalidità ai fini della insussistenza del presupposto costitutivo del debito.
Ma la valutazione del contegno della parte, onde supplire con la valorizzazione di esso alla mancata produzione del contratto posto a base di una deduzione, è questione di merito.
Quella valutazione non è sindacabile secondo il disposto degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (v. Cass. Sez. U n. 20867-20), ma solo mediante la formulazione di un vizio motivazionale, nei rigorosi limiti che attualmente lo consentono in cassazione (cfr. Cass. Sez. U n. 8053- 14).
Nella concreta fattispecie il vizio di motivazione è sì dedotto (nono motivo), ma in termini generici e assertivi.
La deduzione non soddisfa i requisiti richiesti dalla citata giurisprudenza in ordine alla necessità di una specifica indicazione di non considerati fatti storici dei quali possa in effetti argomentarsi una rilevanza decisiva per il giudizio.
Dopodiché, nel citato secondo motivo, la ricorrente ribadisce l’assunto di non avvenuta contestazione dei fatti a opera della banca.
Incentra l’argomento, cioè, sulla non contestazione.
L’assunto non può condividersi perché dalla sentenza risulta che la convenuta, fin dal primo grado, aveva contestato – in toto – l’avversa pretesa, deducendone l’infondatezza ed eccependo anche la prescrizione.
Né la parziale trascrizione della comparsa di risposta, fatta dalla ricorrente, induce a ravvisare come non contestato il contenuto delle clausole di cui si discute; contenuto che, di contro, tanto era contestato da confluire nell’apposito motivo di gravame infine accolto, teso a sostenere che le clausole non erano state esaminate affatto dal giudice di primo grado “non avendo parte attrice prodotto i contratti”.
VI. – Sono invece fondati, nei limiti che seguono, il terzo (nella prima parte) e il sesto motivo di ricorso.
Dalla sentenza risulta che la società, oltre alle domande incentrate sulla clausola di determinazione del saggio ultra-legale e sulla clausola determinativa della commissione di massimo scoperto, aveva proposto anche e comunque una domanda di ripetizione di tutto quanto pagato in forza della capitalizzazione illegittima dell’interesse anatocistico trimestrale.
Risulta inoltre che tale domanda era stata accolta dal tribunale di Gorizia, unitamente a quella relativa alla c.m.s. e al tasso ultra-legale concretamente applicato, in forza delle risultanze di una c.t.u., che aveva ricostruito il rapporto di dare-avere tra le parti “con assenza di capitalizzazione degli interessi passivi”.
La corte d’appello ha riformato anche questa statuizione, assumendo come condivisibile (e assorbente) il secondo motivo del gravame allora proposto dalla banca; motivo col quale – si ripete – la banca aveva dedotto l’erroneità della dichiarazione di nullità parziale dei contratti in relazione alle clausole che avrebbero comportato addebiti a titolo di interessi ultra legali, di interessi anatocistici e di commissione di massimo scoperto, perché quella nullità era stata pronunciata “senza nemmeno esaminare dette clausole non avendo l’attrice prodotto i contratti”.
La corte d’appello, condividendo il motivo di censura, ha detto che le domande erano state ancorate a vizi genetici dei contratti, sicché la mancata produzione di tali contratti non avrebbe potuto essere supplita da una c.t.u. svolta in funzione ricostruttiva dell’andamento del rapporto.
Ora, se codesto appare rilievo plausibile per giustificare il rigetto delle pretese incentrate sulla previa declaratoria di nullità delle clausole contrattuali (v. Cass. Sez. 1 n. 15774-18, Cass. Sez. 1 n. 512-17), non è sufficiente a giustificare, invece, il rigetto della domanda incentrata sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi.
Non è sufficiente perché la capitalizzazione (unicamente a debito) di interessi anatocistici – a differenza della mera determinazione di interessi a un tasso ultra-legale o della c.m.s. – è prassi di per sé illegittima, a prescindere dall’essere conseguenza di pattuizione negoziale nulla. E quindi può esser dimostrata a prescindere dalla produzione del contratto, mediante l’espletamento di una c.t.u. finalizzata a ricostruire l’andamento contabile del rapporto.
In sostanza, deve essere affermato il seguente principio:
– in materia di bancaria, tutto ciò che attiene alla mancata produzione dei contratti dei quali si affermi la nullità finanche solo parziale non si attaglia alla dedotta indebita applicazione dell’anatocismo, ove questa comunque risulti dagli estratti conto e scalari prodotti in giudizio e oggetto di una c.t.u.: rimarcare da tale punto di vista che in causa non siano stati prodotti i contratti contenenti la pattuizione dell’interesse anatocistico non vale a giustificare – dinanzi a una c.t.u. che sia stata comunque regolarmente esperita sui documenti contabili – il rigetto della domanda di ripetizione e di rettifica del saldo di conto.
VII. – Il quarto e il quinto motivo sono inammissibili perché presuppongono una critica di merito, e in ogni caso sono infondati nel loro presupposto.
La corte d’appello, dopo aver ritenuto di non poter verificare il fondamento della dedotta nullità parziale dei contratti di conto corrente, siccome stipulati per iscritto e tuttavia non prodotti in giudizio, e dopo aver aggiunto che di nessun rilievo era la ricostruzione operata dal c.t.u., in quanto erroneamente basata sulla inesistenza dei contratti, anziché sulla semplice loro mancata produzione, ha infine disatteso l’istanza di esibizione perché tesa a ottenere documenti dei quali, secondo logica, la parte doveva reputarsi già in possesso.
In questo passaggio la motivazione integra una valutazione in fatto.
Il diverso assunto della ricorrente non si può condividere perché in più occasioni è stato affermato che nel contenzioso bancario il diritto del correntista a ottenere copia della documentazione relativa alle operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, previsto dall’art. 119, quarto comma, del T.u.b., non può essere soddisfatto in sede di c.t.u., se il cliente non ha precedentemente formulato la relativa richiesta alla banca e se (come nella specie) la documentazione riguarda fatti che, essendo posti direttamente a fondamento di domande o eccezioni, devono necessariamente essere provati dalla parte che li ha sostenuti (cfr. Cass. Sez. 1 n. 24641-21). È stato anche precisato che al cliente spetta – sì – il diritto di ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi, ad esempio, gli estratti conto; ma pure tale diritto può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l’istanza di cui all’art. 210 cod. proc. civ. solo in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, e a condizione che la documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca, e quest’ultima, senza giustificazione, non abbia ottemperato (v. ancora Cass. Sez. 1 n. 24641- 21, cui adde Cass. Sez. 1 n. 23861-22, Cass. Sez. 1 n. 9082-23).
Tale complesso di principi, da confermare anche in questa sede, osta alla censura e supporta – di contro – la tesi del giudice a quo.
VIII. – In conclusione, vanno accolti, nei sensi di cui sopra, i motivi terzo e sesto.
L’impugnata sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti.
Segue il rinvio alla medesima corte d’appello, in diversa composizione, per il correlato nuovo esame.
La corte d’appello si uniformerà al principio indicato al superiore punto VI e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
p.q.m.
La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, i motivi terzo e sesto, rigetta i restanti, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla corte d’appello di Trieste anche per le spese del giudizio di cassazione.
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