CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 38121 depositata il 30 dicembre 2022

Tributi – Avviso di accertamento – IVA – Dichiarazione presentata “in bianco” – Plusvalenze tassabili – Raddoppio dei termini previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 – Decadenza dall’azione accertativa – Accoglimento

Fatti di causa

1. In esito a verifica per gli anni 2001 e 2002 riguardante L.T.S. S.P.A. (già attiva nel settore delle telecomunicazioni e dichiarata fallita con sentenza n. 37/2003 del Tribunale di Palermo), verifica conclusasi con l’emissione di PVC addì 4 dicembre 2008, l’Ufficio di Roma 1 dell’Agenzia delle Entrate emetteva, in data 23 dicembre 2008, e notificava alla Curatela del fallimento della società, in data 7 gennaio 2009, avviso di accertamento con cui, rilevato che la dichiarazione ai fini dell’IVA era stata presentata “in bianco”, determinava plusvalenze tassabili, oltre IVA omessa e ricavi non contabilizzati, conseguentemente liquidando l’IVA dovuta ed irrogando le corrispondenti sanzioni.

2. Proponeva ricorso la Curatela, eccependo, tra l’altro, l’intervenuto decorso del termine decadenziale ex art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972 e l’infondatezza di tutti i rilievi.

3. La CTP di Roma, con la sentenza n. 371/22/11 depositata il 26 settembre 2011, respingeva il ricorso.

4. La Curatela proponeva appello, respinto dalla CTR del Lazio con la sentenza in epigrafe.

5. Proponeva ricorso per cassazione la Curatela con quattro motivi, ulteriormente insistiti con memoria in data 21 settembre 2022 (che fa seguito a quella in data 9 dicembre 2021).

L’Agenzia delle entrate si costituiva ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza.

Giusta ordinanza interlocutoria assunta ad esito dell’udienza camerale del 22 dicembre 2021, il ricorso, chiamato all’odierna udienza pubblica, è introitato in decisione sulle acquisite conclusioni, come in epigrafe, del Sostituto Procuratore Generale presso questa Suprema Corte.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., degli artt. 1, 23, 54 e 57 D.Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 7 e 12 l. n. 212 del 2000.

1.1. Il motivo si divide in due parti:

– alla stregua della prima parte, si denuncia che la sentenza impugnata è incorsa in extrapetizione relativamente al capo in cui ha rigettato il motivo d’appello inteso a dedurre, medesimamente, il vizio di extrapetizione, in ragione dell’avere la CTP ritenuto, in difetto di allegazioni dell’Amministrazione, l’applicabilità del raddoppio dei termini di decadenza per l’esercizio dell’azione accertativa stante la sussistenza di violazioni penali comportanti obbligo di denuncia, affermando che la CTP si era limitata ad una mera ricognizione delle norme disciplinanti la fattispecie in ossequio al principio “iura novit curia”.

Più nel dettaglio, la Curatela, con il ricorso introduttivo, aveva eccepito la decadenza dell’Amministrazione dall’esercizio dell’azione accertativa; l’Amministrazione, tardivamente costituitasi, aveva invocato esclusivamente la proroga biennale di cui all’art. 10 l. n. 289 del 2002; la CTP aveva ritenuto la tempestività dell’avviso, ravvisando la ricorrenza di ipotesi di reato, con conseguente proroga ex art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 (“recte”, art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972); la Curatela aveva denunciato in appello che non avrebbe potuto la CTP addurre a giustificazione della tempestività dell’avviso una motivazione non espressa nello stesso e non introdotta nel susseguente giudizio; la CTR, rigettando l’appello con l’anzidetta motivazione, ha essa medesima violato l’art. 112 cod. proc. civ., in uno alle ulteriori disposizioni di legge evocate in rubrica;

– alla stregua della seconda parte, si denuncia che la sentenza impugnata è incorsa in extrapetizione relativamente al capo in cui ha ritenuto che costituisca valido motivo per il mancato rispetto del termine dilatorio ex art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 l’avanzato stato della procedura concorsuale.

La CTR ha inammissibilmente addotto una giustificazione all’emissione anticipata dell’avviso di accertamento non contenuta nello stesso né mai tempestivamente dedotta dall’Amministrazione in giudizio: a cagione di ciò, essa ha violato le norme evocate in rubrica.

2. Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000, degli artt. 18, 23, 24 e 57 D.Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 2697 cod. civ.

2.1. La sentenza impugnata va censurata anche per non aver accolto l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000.

Nell’avviso era specificato che il termine di cui all’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 non veniva rispettato in quanto erano di imminente scadenza i termini di decadenza: termini, nondimeno, non rispettati dall’Ufficio, atteso che la notificazione dell’avviso è intervenuta, non entro il 31 dicembre 2008, ma solo il 7 gennaio 2009.

Alla luce di tale motivazione dell’avviso, la Curatela aveva eccepito la violazione dell’art. 57, commi 1 e 2, d.P.R. n. 633 del 1972. L’Ufficio, nelle controdeduzioni, aveva dichiarato che i termini per l’accertamento, che ordinariamente sarebbero scaduti il 31 dicembre 2008, dovevano, nella specie, considerarsi prorogati di un biennio ai sensi dell’art. 10 l. n. 289 del 2002.

Indi – prosegue il motivo – la Curatela, per difendersi da tale assunto, con la memoria per l’udienza dinanzi alla CTP, aveva osservato che, smentito l’unico presupposto in base al quale l’avviso di accertamento era stato emesso in deroga al termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000, esso doveva considerarsi nullo proprio per violazione di detto termine.

Stante l’omessa pronuncia della CTP sul punto, la Curatela aveva riproposto l’eccezione in appello.

La CTR erroneamente l’ha rigettata in quanto tardiva ed altrettanto erroneamente ha affermato che la violazione del termine di cui all’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000 non comporta nullità dell’avviso.

3. Entrambi i motivi sono manifestamente infondati.

3.1. Muovendo, in ordine logico, dalla prima parte del primo motivo, il denunciato vizio di extrapetizione non sussiste.

A fronte della dedotta – con l’atto introduttivo del giudizio – decadenza dell’Ufficio dall’esercizio dell’azione accertativa per tardività della notificazione dell’avviso di accertamento, incombeva alla CTP – indipendentemente dall’avere l’Ufficio (la tardività della cui costituzione rappresenta una mera affermazione introdotta solo con il ricorso per cassazione) allegato unicamente l’operatività della proroga biennale – verificare se detta deduzione avesse o meno fondamento al cospetto delle norme applicabili, tra cui gli artt. 43 d.P.R. n. 600 del 1973 (citato in sentenza) e 57 d.P.R. n. 633 del 1972 (invece non citato), laddove contemplanti il raddoppio dei termini di accertamento nella ricorrenza di violazioni penal-tributarie soggette ad obbligo di denuncia.

In tal senso, corretto è il richiamo della CTR nella sentenza impugnata al principio “iura novit curia”, riferito alla CTP siccome tenuta ad individuare il termine applicabile alla luce, in specie, dell’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972: invero, “il cd. raddoppio dei termini previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973”, ma evidentemente per estensione anche dall’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972, “attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini prolungati sono anch’essi fissati direttamente dalla legge, non integrando quindi ipotesi di ‘riapertura o proroga di termini scaduti né di reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti, in quanto i termini ‘brevi’ e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ‘ab origine’ diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi, unitari e distinti termini di accertamento” [così Sez. 6-5, n. 23628 del 09/10/2017, Rv. 646408-01; nello stesso senso, Sez. 6-5, n. 10345 del 26/04/2017, Rv. 643961-01, si perita di esplicitare che “il cd. raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, per l’IRPEF, e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, per l’IVA, non integra un’ipotesi di proroga dei termini ordinari, trattandosi di fattispecie distinte disciplinate direttamente ed autonomamente dalla legge in relazione a presupposti diversi, costituiti dal riscontro di elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale (per i primi) e dalla sussistenza di violazioni tributarie per le quali, invece, tale obbligo di denuncia non sussiste (per i secondi)“].

3.2. Passando al terzo motivo, emerge dalla stessa narrativa compiuta dalla ricorrente che l’avviso era stato impugnato, con l’originario ricorso, unicamente per decadenza dall’azione accertativa ai sensi dell’art. 57 d.P.R. n. 600 del 1973 e non anche per inosservanza del termine dilatorio di giorni sessanta previsto dall’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000. Detta inosservanza è stata infatti pacificamente fatta valere solo con la memoria depositata in vista dell’udienza da celebrarsi dinanzi alla CTP.

Ad avviso della ricorrente, ciò è dipeso dall’avere l’Agenzia delle entrate rilevato, per la prima volta con l’atto di controdeduzioni, in riferimento al “thema” dell’eccepita decadenza dall’azione accertativa, che il termine ordinario andava soggetto a proroga biennale: talché siffatta argomentazione, non contenuta anche nell’avviso, contraddicendo la motivazione addotta in questo per l’emissione “ante tempus” basata sull’imminente scadenza del termine di decadenza, sostanzialmente la faceva venir meno.

Una tale pur pregevole prospettazione omette tuttavia di considerare il dato fondamentale che, a fronte dell’emissione dell’avviso “ante tempus” in ragione della motivazione riferita nel ricorso, il quale peraltro non riporta l’esatto tenore testuale dell’avviso, incorrendo, per ciò solo, in inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza, ed a fronte della proposizione dell’impugnazione per ritenuta tardività dell’azione accertativa, la Curatela, per ciò solo consapevole di detta tardività, non ha sin da subito, come avrebbe potuto e dunque dovuto, svolto l’impugnazione anche sotto il profilo, per il caso di rigetto dell’eccezione, dell’insussistenza delle ragioni addotte dall’Ufficio a supporto dell’inosservanza del termine di cui all’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000, siccome “ex se” incompatibili con la notificazione dell’avviso oltre il termine ordinario.

In altre parole, già prima delle, e a prescindere dalle, difese, che sono meramente tali, svolte dall’Ufficio nelle controdeduzioni per render conto della tempestività della notificazione nonostante la scadenza del termine ordinario, la Curatela era “funditus” nelle condizioni di apprezzare sia il fatto in sé dell’emissione dell’avviso “ante tempus” sia la giustificazione fornitane dall’Ufficio e, pertanto, di articolare corrispondenti motivi di impugnazione. Il non averlo fatto comporta, come correttamente rilevato dalla CTR, la sua maturata decadenza, con conseguente inammissibilità per tardività dei corrispondenti motivi proposti solo con memoria. Essi, infatti, in quanto volti a contestare la legittimità dell’avviso sotto profili ulteriori e diversi rispetto a quelli fatti valere con il ricorso introduttivo, avrebbero potuto trovare ingresso nel processo dopo la proposizione di questo esclusivamente nella ricorrenza delle condizioni, e nel rispetto delle formalità, previste dall’art. 24 D.Lgs. n. 546 del 1992: condizioni e formalità, invece, rispettivamente, mancanti ed inosservate, di guisa che, versandosi in ipotesi di domanda nuova inammissibilmente formulata in primo grado, la stessa non avrebbe potuto “a fortiori” esser introdotta in appello ex art. 57  del medesimo decreto legislativo.

3.3. Sotto ulteriore profilo, stante consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr. Sez. U, n. 18184 del 29/07/2013, Rv. 627474-01, recentemente ribadita da Sez. 6-5, n. 15843 del 23/07/2020, Rv. 658560-01), è certamente vero (ed in ciò il ricorso è condivisibile) che “l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ‘ante tempus’, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra Amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva“; tuttavia è anche vero (ed in ciò il ricorso, con particolare riguardo alla seconda parte del primo motivo, non è condivisibile) che “il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio”. Talché, dovendosi avere riguardo all’effettività delle ragioni giustificatrici dell’urgenza, a prescindere finanche dall’assenza della loro enunciazione nella motivazione dell’avviso, ben può il giudice apprezzarne la sussistenza sulla base delle risultanze degli atti, senza essere vincolato da quanto indicato nell’avviso stesso. Per l’effetto, nella specie, legittimamente la CTR ha ritenuto, condividendo le tesi oralmente esposte dall’Ufficio all’udienza, di ravvisare l’effettiva sussistenza del requisito esonerativo dall’osservanza del termine nell’avanzato stato della procedura concorsuale”, essendo, il fallimento della società, stato dichiarato già nel 2003.

Né tale ragione individuata dalla CTR è, di per sé, fatta segno di contestazione in ricorso.

4. Con il secondo motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 7, 8, 9 e 10 l. n. 289 del 2002, dell’art. 2, comma 44, l. n. 350 del 2003 e della “sesta direttiva CEE in materia di IVA”.

4.1. Il motivo (come del resto suggerito dal riassunto dei motivi depositato in uno al ricorso) si suddivide in due parti.

4.1.1. Nella prima parte si afferma esporsi la sentenza impugnata a censura laddove, nel confermare la decisione di primo grado, mostra di aver ritenuto l’operatività del raddoppio dei termini per l’accertamento ex art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, indipendentemente dalla comunicazione della notizia di reato al Pubblico Ministero. La sentenza della Corte cost. n. 247 del 2011, richiamata dalla CTR, ha natura meramente interpretativa di rigetto e pertanto (come confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità) non è dotata di efficacia vincolante “erga omnes”. È inoltre necessario che la denuncia sia stata effettivamente presentata e prodotta in giudizio. Inscindibile essendo il binomio violazione-denuncia quale presupposto dell’applicabilità dell’art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., avrebbe dovuto provare, producendola, l’avvenuta effettuazione della denuncia prima della scadenza del termine per l’accertamento.

4.1.2. Nella seconda parte si afferma esporsi ulteriormente la sentenza impugnata a censura, laddove ha ritenuto applicabile la proroga di cui all’art. 10 l. n. 289 del 2002, nonostante vi ostassero, da un lato, l’art. 2, comma 4, l. n. 350 del 2003 e, dall’altro, la disciplina unionale in materia di IVA. Nella specie, infatti, non era possibile avvalersi del condono ex artt. 7, 8 e 9 l. n. 289 del 2002 (richiamati dall’art. 10 della medesima legge), sia per essere stata totalmente omessa la dichiarazione, tenuto presente che, trattandosi dell’anno d’imposta 2002, l’art. 2, comma 4, l. n. 350 del 2003 stabiliva che, per accedere al condono, la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata entro il 31 ottobre 2003, sia per non essere in sé definibili in via agevolata, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia 17 luglio 2008 in causa C-132/06, le violazioni riguardanti i tributi armonizzati, tra l’IVA. Dall’impossibilità di accesso al condono discende, ad avviso della Curatela ricorrente, l’inoperatività della proroga prevista ai fini dell’accertamento.

5. Il motivo è manifestamente infondato.

5.1. Lo è in particolare nella prima parte.

Costituisce infatti insegnamento ricevuto quello a termini del quale “il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili ‘ratione temporis’, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011” (cfr., da ultimo, Sez. 6-5, n. 17586 del 28/06/2019, Rv. 654733-01, in una fattispecie in cui questa Suprema Corte ha annullato la decisione impugnata che aveva ritenuto inoperante il raddoppio dei termini per mancata prova della comunicazione della “notitia criminis” entro il termine di decadenza ordinario). Da ciò s’è coerentemente tratta la conclusione che “il raddoppio dei termini previsto”, parallelamente, “dall’art. 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nel testo applicabile ‘ratione temporis’, può operare anche se la notizia di reato è emersa dopo la scadenza del termine ordinario di decadenza” (Sez. 5, n. 36474 del 24/11/2021, Rv. 663058-01).

A fronte di ciò, la Curatela, nella parte del motivo in disamina, non allega e men che meno comprova l’insussistenza in fatto di elementi idonei ad integrare ipotesi di reato previste dal D.Lgs. n. 74 del 2000, contravvenendo pertanto al principio (già espresso in termini da Sez. 5, n. 13481 del 02/07/2020, Rv. 658111-01) secondo cui “il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili ‘ratione temporis’, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato il cui accertamento è precluso al giudice tributario“.

5.2. In conseguenza della manifesta infondatezza della censura rassegnata nella prima parte del motivo, inammissibile è quella rassegnata nella seconda parte. Invero la CTR – chiamata a decidere sul dedotto vizio di extrapetizione in tesi difensiva affliggente la sentenza di primo grado per non essere la CTP legittimata a respingere la domanda di nullità dell’avviso per decadenza dell’Amministrazione dal potere accertativo in ragione del raddoppio dei termini, avendo l’Amministrazione allegato nelle controdeduzioni solo la proroga ex art. 10 l. n. 289 del 2002 – non si è limitata a confermare la sentenza di primo grado quanto alla ricorrenza dei presupposti per il raddoppio dei termini, ma, in riforma, “in parte qua”, della stessa, ha affermato che, “inoltre”, la notificazione dell’avviso è tempestiva “anche in virtù della proroga biennale […], atteso che la società ricorrente non si è avvalsa delle disposizioni di cui agli artt. 7 e 9, ostative dell’applicazione della proroga [..3”. Siffatta affermazione integra (come del resto reso evidente dall’impiego dell’avverbio “inoltre”) una “ratio decidendi” aggiuntiva rispetto a quella riguardante la ricorrenza dei presupposti per il raddoppio dei termini. In effetti, a misura che si consideri che il termine ordinario per l’accertamento andava a scadere il 31 dicembre 2008 e che l’avviso è stato notificato alla Curatela il 9 gennaio 2009, sia il raddoppio dei termini (già ritenuto dalla CTP e confermato dalla CTR) che la proroga biennale (invece esclusa dalla CTP, ma ritenuta dalla CTR) costituivano giustificazioni autonomamente ed indipendentemente idonee a sorreggere la conclusione (comune alla CTP ed CTR) della tempestività della notificazione dell’avviso.

Pertanto, censurata dalla Curatela senza successo, per le anzidette ragioni, la prima “ratio decidendi”, che per l’effetto vale a definitivamente render conto “ex se” della legittimità dell’azione accertativa, inutile diviene la disamina altresì della censura rivolta contro la seconda, atteso che l’eventuale accoglimento della stessa sarebbe in ogni caso insuscettivo di produrre l’effetto caducatorio della sentenza impugnata avuto di mira con la proposizione del ricorso per cassazione. Come, infatti, questa Suprema Corte ha già avuto modo di statuire, “quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome ‘rationes decidendi’, ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite ‘rationes’, dall’altro, che tali censure risultino tutte fondate”, ragion per cui, “rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che, anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ‘ratio’ ritenuta corretta”.

5.3. Fermo quanto precede, per completezza, mette soltanto conto di specificare che la censura della seconda “ratio decidendi”, quand’anche fosse stata ammissibile, sarebbe stata comunque manifestamente infondata, con conseguente identico esito decisorio.

Disancorata dalla lettera dell’art. 10 l. n. 289 del 2002 è invero la tesi patrocinata dalla Curatela, secondo cui, nell’impossibilità di accedere alla definizione agevolata ex artt. 7 ss. della medesima legge, dovuta, nella specie, alla mancata presentazione della dichiarazione entro il termine, di cui all’art. 2, comma 44, l. n. 350 del 2003, del 31 ottobre 2003 e comunque alla non definibilità in via agevolata delle pendenze in materia di IVA giusta la sentenza della Corte di Giustizia 17 luglio 2008 in causa C-132/06, inoperante sarebbe altresì la proroga dei termini per l’accertamento. Al contrario, come ineccepibilmente rilevato dalla CTR nella sentenza impugnata, la proroga è testualmente prevista dall’art. 10 l. n. 289 del 2002 “per i contribuenti che non si avvalgono delle disposizioni recate dagli articoli da 7 a 9 della [medesima] legge” e l’interpretazione costante di siffatta disposizione offerta da questa Suprema Corte (da ultimo ribadita, come accortamente ricordato dal Sostituto Procuratore Generale nella requisitoria, da Sez. 5, n. 14630 del 29/05/2019, Rv. 654127-01) è nel senso che “la proroga biennale dei termini di accertamento, accordata all’Ufficio dall’art. 10 della l. n. 289 del 2002, opera sia nel caso in cui il contribuente non abbia inteso avvalersi delle disposizioni di favore, pur avendovi astrattamente diritto, sia nel caso in cui non abbia potuto farlo, non avendone diritto, essendo il meccanismo finalizzato a tutelare il preminente interesse dell’Amministrazione finanziaria all’accertamento ed alla riscossione delle imposte”. La qual cosa equivale a dire che ostativo all’operatività della proroga è unicamente il fatto in sé dell’essersi avvalso il contribuente delle disposizioni di favore, a nulla rilevando che abbia scelto di non farlo oppure che non ne avesse in astratto la possibilità.

6. Con il quarto motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

6.1. Sin dal ricorso introduttivo del giudizio, la Curatela aveva eccepito che, ai fini della ricostruzione del reddito della società nel 2002, dovevano essere presi in considerazione, non solo i ricavi, ma anche i costi, essi pure, come i ricavi, risultanti dai documenti contabili rinvenuti. La CTP aveva rigettato la domanda in quanto non risultava prodotta alcuna documentazione in merito. Nel ricorso in appello (riportato in stralcio per autosufficienza), la Curatela aveva evidenziato che era riuscita a raccogliere giustificativi e fatture attestanti il sostenimento di costi per ingenti ammontari, computabili in deduzione ai fini dell’IRPEG e dell’IRAP ed in detrazione ai fini dell’IVA. La relativa copiosa documentazione veniva depositata all’atto della costituzione in giudizio quali allegati 6 e 7 al ricorso in appello. La stessa Amministrazione ne aveva preso atto nelle controdeduzioni, cui aveva fatto seguito ulteriore memoria illustrativa della Curatela (le une e l’altra medesimamente riportate in stralcio per autosufficienza).

A fronte di ciò, la CTR si è limitata a ritenere legittimo il mancato riconoscimento dei costi per difetto di documentazione. In tal guisa, essa ha totalmente omesso di prendere in considerazione la documentata esistenza dei costi.

7. Il motivo, come ritenuto anche dal Sostituto Procuratore Generale nella requisitoria, è fondato.

7.1. A fronte di copiosa documentazione depositata dalla Curatela in appello a dimostrazione dell’entità dei costi sostenuti dalla società nell’anno d’imposta rilevante, costi di cui la medesima aveva chiesto che si tenesse debito conto sin dall’atto introduttivo del giudizio, la CTR, omettendo alcuna considerazione di siffatta nuova produzione, quantunque effettuata solo dinanzi a sé, e viepiù ignorando il contraddittorio scritto sviluppatosi tra le parti in ordine alla sua efficacia dimostrativa, si è prodotta in una motivazione pedissequamente reiterativa di quella della sentenza di primo grado e perciò deducente, a sostegno della ritenuta legittimità del disconoscimento dei costi, “la mancanza di alcuna documentazione in merito”.

Proprio una tale reiterazione motivazionale rende ragione dell’omessa disamina, da parte della CTR, del “thema” in sé dei costi, siccome venuto specificamente a conformarsi in appello, differentemente che in primo grado, mediante le nuove produzioni della Curatela, la totale pretermissione delle quali emerge dall’affermazione, non corrispondente alla realtà processuale, dell’inesistenza di alcuna documentazione inerente ai costi.

7.2. Ciò impone che la sentenza impugnata sia, “in parte qua”, annullata con rinvio, affinché il giudice di merito, esaminata la documentazione prodotta dalla Curatela a dimostrazione dei costi sostenuti dalla società, pronunci, con assoluta libertà di giudizio, sul riconoscimento o meno degli stessi.

Detto giudice avrà altresì ad attendere alla regolazione tra le parti delle spese di lite, anche con riguardo al presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il quarto motivo di ricorso e, in relazione ad esso, annulla e cassa con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, per nuovo esame e per la regolazione tra le parti delle spese di lite, anche con riguardo al presente grado di giudizio.

Rigetta i primi tre motivi di ricorso.